Cosa pensa Kamala Harris della crisi climatica?
Harris si è opposta al fracking e ha indagato Big Oil. Ma da vicepresidente ha fatto poco per il clima. Come si comporterà se sarà eletta?
Il repentino cambio al vertice del Partito Democratico statunitense, con l’attuale vicepresidente Kamala Harris quasi certamente al posto del presidente Joe Biden nel ruolo di candidata, ha messo in difficoltà gli analisti climatici. Chi corre per la Casa Bianca, infatti, passa normalmente prima da una lunga elezione primaria, nella quale ha modo di spiegare agli elettori i suoi intenti.
L’insolito percorso che ha portato Harris alla nomination – primarie vinte da Biden, poi ritiratosi per i suoi vistosi problemi di salute – ha fatto sì che questa fase preliminare sia stata di fatto saltata. I giornalisti sono così costretti a spulciare tra le dichiarazioni passate della vicepresidente alla ricerca delle sue posizioni su temi energetici e ambientali. New York Times, Washington Post, CNN, Guardian, Bloomberg, Euronews, tutti si pongono la stessa domanda: come pensa di rispondere alla crisi climatica Harris?
Da procuratrice a deputata, abbastanza verde
New York, 2019. La rete all-news CNN ospita un dibattito interamente dedicato alla transizione ecologica tra i dieci candidati alle primarie democratiche. Quella consultazione sarà vinta da Joe Biden che, poi, diventerà presidente con le elezioni del 2020. Ma in quel momento l’esito è ancora lontano, e Kamala Harris è in corsa. «Citerebbe in giudizio ExxonMobil?» le chiede la moderatrice. Il riferimento è alle numerose inchieste giornalistiche che hanno provato come la compagnia petrolifera abbia finanziato campagne di disinformazione sul riscaldamento globale pur conoscendo le evidenze della comunità scientifica. «Io ho citato in giudizio ExxonMobil», risponde Harris.
Si trattò di un piccolo passo falso. Come emerse immediatamente dopo il dibattito, Harris aveva soltanto aperto un’indagine su ExxonMobil, senza mai arrivare a una citazione. Una gaffe che però rimanda a un primo passaggio fondamentale della carriera della vicepresidente: il suo periodo da procuratrice generale in California.
Quando Kamala Harris citò in giudizio l’amministrazione Obama
Da donna di legge, Harris portò in tribunale sia piccoli inquinatori sia multinazionali delle fossili – anche se non per le accuse cui si riferiva la moderatrice del dibattito CNN. «Harris aveva l’abitudine di citare in giudizio le aziende produttrici di idrocarburi, accumulando 50 milioni di dollari in risarcimenti per cause contro Chevron, BP, ConocoPhillips e Phillips 66», scrive Politico.
Non solo: Harris citò anche l’amministrazione Obama. Durante il suo primo mandato da presidente, Barack Obama aveva autorizzato l’estrazione di petrolio tramite fracking – la più inquinante delle procedure estrattive – al largo di Santa Barbara. Harris da procuratrice cercò di fermarlo. «Dobbiamo fare tutto il possibile per proteggere le nostre coste e l’oceano» disse all’epoca. Si tratta anche della prima vera divergenza tra la politica ambientale del presidente Biden e le idee di Harris. L’attuale presidente è a favore del fracking, come Obama e come i repubblicani. La candidata democratica è contraria – o quantomeno, sappiamo per certo lo sia stata.
Il mandato da senatrice, a sinistra del Partito Democratico sui temi ambientali
Passata dalle aule di tribunale a quelle parlamentari, Harris continuò a posizionarsi alla sinistra del partito per quanto riguarda le questioni ambientali. Da senatrice, firmò assieme all’ala più progressista dei democratici il progetto di legge per un Green New Deal – un grande piano di transizione ecologica, trainata dal pubblico, per decarbonizzare gli Stati Uniti in un ventennio. Quando un pezzo di legislazione climatica venne fermato dall’ostruzionismo repubblicano tramite la procedura parlamentare nota come Filibuster, lei si espose in favore della sua abolizione.
Nel suo ultimo mandato Kamala Harris ha votato a favore di misure ecologiche nel 90% dei casi, secondo l’ong League of Conservation Voters. Durante la campagna per le primarie nel 2019, Harris promise di abolire i sussidi governativi alle fonti fossili e di istituire una tassa sulla CO2. Ma, soprattutto, inserì nel suo programma l’inedita cifra di 10mila miliardi di dollari in transizione. Per confronto, l’amministrazione Biden ha stanziato 1.500 miliardi in totale sulle infrastrutture verdi.
La vicepresidenza sottotono di Kamala Harris
Gli analisti più ottimisti si concentrano sul passato di Harris. Da procuratrice ha sfidato le multinazionali del fossile, da senatrice ha appoggiato il Green New Deal: se diventerà presidente, potrà mettere in pratica le sue convinzioni. «Harris ha mostrato più forza di volontà [rispetto a Biden] nel combattere le lobby del fossile», spiega R.L. Miller, presidente del comitato ecologista Climate Hawks Vote.
I critici, al contrario, puntano il dito sui suoi anni da vicepresidente. Harris non ha mai preso le redini di alcun dossier relativo a clima e ambiente da quando si trova alla Casa Bianca, e la locuzione Green New Deal è sparita dai suoi discorsi. Le divergenze con Biden, a quanto racconta la stampa statunitense, sono arrivate più per ragioni personali che di posizionamento politico. Anche della sua contrarietà al fracking non ha più fatto menzione.
Durante la Cop28 di Dubai, l’incontro negoziale sul riscaldamento globale promosso dalle Nazioni Unite nel novembre scorso, Harris è stata il volto dell’amministrazione statunitense. Ma la delegazione che rappresentava è stata timida sulla riduzione dei combustibili fossili e ostile a nuova finanza climatica per il Sud globale. «Parlare è facile. Promettere in campagna elettorale è ben diverso dall’agire», scrive a proposito la giornalista ambientale Emily Atkin.
Continuità o cambio di passo rispetto a Joe Biden?
Non è detto che un’ipotetica presidenza di Kamala Harris segni un cambio di passo rispetto al passato. Lei per prima si presenta come la prosecutrice dell’operato di Biden, e nelle sue prime dichiarazioni non ha mai parlato di tematiche ecologiche. La continuità è un’opzione probabile. In questo senso, per capire Harris è utile guardare a Biden. Durante l’ultimo mandato presidenziale la Casa Bianca ha promosso il più grande piano di investimenti verdi della storia statunitense, tramite Infrastructure Act e Inflation Reduction Act. Nonostante l’opposizione da parte dell’ala più centrista dei democratici, capitanata dal senatore della Virginia occidentale Joe Manchin, gli ultimi cinque anni hanno visto un’accelerazione della transizione ecologica americana.
Al contempo, gli Stati Uniti sono diventati il primo produttore mondiale di idrocarburi. Mentre dava luce verde a parchi eolici e ferrovie, il presidente autorizzava nuove trivellazioni per petrolio e gas. «Mentre i democratici promuovono importanti nuovi investimenti nell’energia pulita – e sono importanti – la legislazione include la creazione di nuovi progetti solari ed eolici subordinati all’espansione dei contratti di locazione di petrolio e gas su terre e acque federali», scrive l’analista David Sirota, tra gli autori del colossal ecologista Don’t Look Up, su Jacobin Magazine. «Biden era disposto a dire di sì alle rinnovabili, ma non a dire no alle fossili» gli fa eco R. L. Miller.
I dati danno ragione a entrambi. Biden è stato efficace nell’aggiungere nuova energia pulita, a differenza di Donald Trump e anche dei democratici che lo hanno preceduto. Ma non ha potuto o voluto inimicarsi le compagnie del fossile iniziando a ridurre quella sporca. Una transizione efficace, però, ha bisogno di sostituzione, e non di affiancamento delle fonti. Harris avrà la forza di fare questo passo?