Regno Unito, il «radicalismo silenzioso» di Keir Starmer: meno petrolio e più Stato
I laburisti britannici sbloccano l'eolico, fermano le trivelle e rilanciano l'intervento pubblico. Ma molte contraddizioni restano sul tavolo
Via alla moratoria sulle pale eoliche a terra, stop a nuove trivelle nel mare del Nord, tasse sulle multinazionali del comparto energia e luce verde a un’azienda 100% pubblica dedicata alla transizione ecologica. Che l’annunciata vittoria del partito laburista nel Regno Unito avrebbe messo fine all’accanimento dei governi conservatori contro le politiche climatiche era atteso. Ma gli analisti non si aspettavano l’iper-attivismo che l’esecutivo guidato da Keir Starmer sta dimostrando nelle prime settimane al potere. Molto del merito è di Ed Miliband, già guida del partito tra il 2010 e il 2015 e ora Segretario di stato per i cambiamenti climatici e il net-zero. Sta a lui dimostrare che i Labour sono pronti a superare le loro tante contraddizioni in materia ambientale e climatica.
Sì all’eolico, no alle trivelle e tasse sui combustibili fossili: le scelte di Keir Starmer
Il 4 luglio i laburisti guidati da Keir Starmer hanno ottenuto la più larga vittoria della loro storia recente. Grazie anche al tracollo nella popolarità del principale rivale, il partito conservatore, ottenuto il 33% dei voti. Una maggioranza relativa che, grazie al sistema maggioritario britannico, è diventata assoluta nella ripartizione dei seggi: 412 su 650.
A pochi giorni dalla vittoria, l’appena nominato ministro Ed Miliband ha iniziato la sua girandola di annunci. Come prima cosa il governo laburista ha revocato le leggi che rendevano quasi impossibile installare parchi eolici in-shore, cioè a terra, nel Regno Unito. Si trattava di una moratoria de facto, composta da un insieme di regole che rendevano estremamente facile bloccare nuove pale. Le ragioni che spinsero i Tories a promulgare queste norme nel 2015 erano essenzialmente di tipo paesaggistico. Ora il governo Starmer centralizza le autorizzazioni del settore, che verranno erogate direttamente da Londra.
La seconda novità riguarda le trivelle off-shore, cioè in mare. Le acque al largo della Scozia sono ricche di petrolio e gas naturale e il Regno Unito, prima di Brexit, era il principale produttore di idrocarburi dell’Unione europea. Già durante la campagna elettorale i laburisti avevano promesso di non autorizzare nuovi impianti estrattivi, pur lasciando in funzione quelli esistenti. Ora, secondo il Financial Times, Miliband starebbe considerando l’ipotesi di bloccare anche quei progetti il cui iter autorizzativo è già iniziato. Stando all’autorevole testata specializzata Carbon Brief, in seguito a questa svolta il Regno Unito potrebbe aderire alla Beyond Oil&Gas Alliance (BOGA). Si tratta di un piccolo consorzio di Stati, capitanato da Danimarca e Costa Rica, uniti dall’impegno a non cercare nuovi combustibili fossili nel proprio territorio. Se la decisione verrà confermata – gli esperti ipotizzano la Cop29 di Baku a novembre come location per l’annuncio – il Regno Unito diventerebbe la nazione più ricca di idrocarburi ad entrare in BOGA.
Una società pubblica guida la transizione: GB Energy
Altre novità sono la scelta di ritirare l’appoggio governativo a una nuova miniera di carbone in Cumbria, nel nord-ovest dell’Inghilterra, e aumentare delle tasse sulle compagnie del settore energetico. Ma la decisione potenzialmente più trasformativa è la prossima istituzione di Great Britain Energy. Si tratterà, secondo quanto spiegato dal governo, di una compagnia 100% pubblica col compito di intervenire direttamente nella transizione alle fonti energetiche pulite. L’azienda, scrive Bloomberg, «investirà in produzione, distribuzione, stoccaggio e fornitura di energia pulita, nonché nella riduzione delle emissioni di gas serra derivanti dall’energia prodotta da combustibili fossili». Il budget di partenza dovrebbe essere più che significativo: 8,3 miliardi di sterline. Una decisione, quella di istituire GB Energy, che rompe in parte con il blairismo, la lunga stagione politica che ha visto i laburisti in prima fila nel ridurre l’intervento dello Stato in economia. A picconare la strategia delle privatizzazioni, d’altronde, erano stati già i Tories. In piena emergenza Covid fu l’allora premier conservatore Boris Johnson a rinazionalizzare alcuni vettori ferroviari per evitarne il fallimento.
I laburisti britannici e la sfida ambientale, tra ambizione e contraddizioni
Gli impegni presi dal nuovo governo nelle sue prime settimane sono state una sorpresa anche per il movimento ambientalista britannico. Keir Starmer è espressione della corrente moderata del suo partito: favorevole alla spesa sociale, ma restia ad inimicarsi i mercati e le grandi aziende, anche quelle del settore energetico. Per questo in campagna elettorale il mondo ecologista è rimasto scettico sulla sua candidatura.
Greenpeace UK, nella sua analisi pre-voto, metteva i Labour al terzo posto su quattro nella classifica dell’ambizione. Non solo il programma dei verdi, ma anche quello dei liberaldemocratici veniva giudicato più ecologista di quello laburista. Per l’organizzazione ambientalista, le promesse della segreteria Starmer erano lacunose o deleterie su inquinamento da plastica, pesca industriale, trattamento dei liquami, repressione delle proteste. Ma è l’insufficienza delle risorse economiche messe in campo a decretare la bocciatura. Non ha aiutato il fatto che, poco prima del voto, i Labour abbiano dimezzato il loro impegno finanziario sulla transizione: da 28 a 13 miliardi di sterline, di cui solo una parte nuovi fondi. Un deciso passo indietro rispetto al programma presentato alle elezioni del 2019, poi vinte dai conservatori, che aveva ottenuto valutazioni ben più favorevoli da parte dell’ecologismo inglese. Da dove proviene dunque l’inaspettato impegno verde del Labour?
L’eccezione britannica
«Le scelte di Starmer vanno inserite nel contesto britannico, cioè nel Paese che ha avuto e tutt’ora ha il più forte movimento ecologista d’Europa» spiega a Valori Alberto Manconi, ricercatore dell’Università di Losanna ed esperto di mobilitazioni ambientali nel Regno Unito. «Il partito laburista esprime oggi il governo più a destra della sua storia. Ma anni di pressione dal basso lo costringono a concedere delle vittorie all’ecologismo. Anche perché alla sua sinistra la crescita dei Verdi e l’ingresso in Parlamento di alcuni candidati indipendenti – tra cui l’ex segretario Jeremy Corbyn – rappresentano un piccolo campanello d’allarme per il partito».
L’eccezione britannica viene da lontano. Già nel 2019, quando in tutto il mondo emerse una nuova ondata di movimenti per il clima, il Regno Unito si distinse. A dominare le piazze non erano gli studenti di Fridays For Future e Greta Thunberg, ma gli adulti e più combattivi militanti di Extinction Rebellion. Nel 2021 in occasione del summit globale sul clima di Glasgow oltre 200mila persone accorsero in Scozia per protestare. Una delle manifestazioni ecologiste più imponenti della storia europea. Pratiche poi diffuse in tutto l’Occidente come l’imbrattamento simbolico di opere d’arte e i blocchi stradali sono nate a Londra grazie al movimento Just Stop Oil. «Ciò che negli ultimi anni ha distinto le mobilitazioni ecologiste inglesi è stata la convergenza con altre cause molto sentite. Gli attivisti per il clima hanno scioperato in massa assieme ai lavoratori del servizio pubblico, in difesa della sanità, contro il massacro in Palestina» continua il ricercatore.
Le prossime sfide del «radicalismo silenzioso» di Keir Starmer
All’esecutivo non mancheranno nuovi banchi di prova. Il Parlamento si troverà presumibilmente a discutere della possibilità di uno stop alla vendita di caldaie a gas e auto endotermiche. A novembre la Cop29 di Baku, il prossimo incontro negoziale delle Nazioni Unite sul contrasto al riscaldamento globale, costringerà il governo a scoprire le sue carte sul tema complicatissimo degli aiuti per la transizione nel Sud globale – in buona parte composto da ex colonie britanniche. Anche le scelte di governance della nascitura Great Britain Energy saranno un momento cruciale per capire le intenzioni dei Labour. «Non è ancora chiaro su cosa esattamente GB Energy investirà i suoi fondi», spiega Bloomberg. In mezzo il problema della repressione: alcuni militanti ecologisti sono appena stati condannati a cinque anni di carcere per una protesta. Ed Miliband ha espresso più volte dissenso verso i metodi usati da organizzazioni come XR o Just Stop Oil. «È un piccolo paradosso. Interrompendo le trivellazioni nel mare del Nord il governo accontenta la principale richiesta degli attivisti di Just Stop Oil. Ma, al contempo, sceglie di non allentare la pressione giudiziaria su di loro» conclude Manconi.
Politico ha definito l’approccio di Starmer e Miliband alla questione climatica «quiet radicalism», radicalismo silenzioso. Nelle prime settimane di governo, la radicalità ha avuto la meglio sul silenzio. Solo il tempo ci dirà se si è trattato di una parentesi, o se il governo di Keir Starmer rappresenterà davvero un’inaspettata quanto necessaria eccezione climatica.