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La buona sanità cura la povertà

Gli Stati che investono in salute e vaccini hanno più entrate fiscali e maggiore produttività. Tutti gli articoli dal dossier sui diritti umani.

Emanuele Isonio
Salute e sanità, cure mediche e ospedali. Operazione chirurgica in sala operatoria. CC0 Creative Commons da Pixabay.com
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Valori 155, febbraio 2018 – dossier Gli abusi non fanno crescere

copertina VALORI 155 febbraio 2018

La buona sanità cura la povertà

di Emanuele Isonio

Gli Stati che investono in salute e vaccini hanno più entrate fiscali e maggiore produttività

Non ditelo a Donald Trump, ma gli Stati che più investono per garantire accesso a cure sanitarie adeguate hanno significativi ritorni economici. Sia che si concentrino sugli Stati più ricchi o al contrario su quelli più poveri, sia che si riferiscano all’intera popolazione o a una sua parte, il messaggio degli analisti è molto chiaro: una popolazione che può contare sull’accesso a cure di qualità e gratuite contribuisce a costruire società più produttive, oltre che più istruite e coese. “Un’ampia letteratura – spiegano ad esempio tre ricercatori dell’università di Harvard, Kristine Onarheim, Johanne Iversen e David Bloom in un’indagine sulla condizione femminile – conferma che la salute delle donne è legata alla produttività a lungo termine. Lo sviluppo e le prestazioni economiche delle nazioni dipendono, in larga parte, dal modo in cui ciascun Paese protegge e promuove la salute delle donne. Fornire opportunità per una pianificazione familiare deliberata, avere madri sane prima, durante e dopo il parto, garantire salute e produttività delle nuove generazioni possono catalizzare un ciclo di sviluppo sociale positivo”.

grafico OBAMACARE STRUMENTO ANTIDEFICIT – Valori 155 febbraio 2018 – clicca e ingrandisci

Un toccasana per l’Africa Esiti analoghi a quelli dell’indagine svolta dall’ICRAF (World Agroforesty Centre) concentrandosi sugli Stati della Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (Cemac) e su altri cinque Stati che avevano effettivamente raggiunto l’obiettivo, previsto dalla dichiarazione di Abuja del 2001, di destinare alla sanità il 15% del budget pubblico. “I risultati – si legge nella ricerca – hanno mostrato che gli investimenti in sanità hanno un effetto positivo e significativo sulla crescita di entrambi i gruppi di Stati considerati”. In particolare, lo studio rivela che un punto percentuale di incremento della spesa sanitaria “può potenzialmente aumentare il Pil pro capite di 0,38 punti per i Paesi Cemac e di 0,3 per gli altri cinque Stati. Esiste inoltre un legame a lungo termine tra la spesa sanitaria e la crescita economica per entrambi i gruppi di Paesi”.

Con l’Obamacare deficit giù Ma qualcosa di simile accade anche nella prima economia del mondo, gli Stati Uniti, secondo le previsioni dei benefici che garantirà nei prossimi anni l’Affordable Care Act, il programma di assistenza sanitaria approvato durante l’amministrazione Obama, riuscendo a superare la potente lobby delle assicurazioni private e l’opposizione repubblicana. Le analisi del capo del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca, Jason Furman, hanno rivelato che la garanzia di accesso a cure di qualità avrebbe aiutato a rallentare la crescita dei costi dell’assistenza sanitaria, incentivato l’assunzione di nuovi lavoratori nel breve periodo e incrementato le loro buste paga dei lavoratori: “un importante economista esperto di sanità – ricordava Furman – ha spiegato che la riduzione dei costi della sanità provocati dalla riforma potrebbe aumentare la crescita dell’occupazione da 250mila a 400mila posti entro il 2020. In più la ricerca mostra che, nel tempo, una parte sempre più consistente dei risparmi sui premi assicurativi sarebbe stata trasferita ai lavoratori sotto forma di salari più alti”. Un calcolo prudente quantificava tali aumenti in 1.200 dollari l’anno. E le buone notizie arriverebbero anche per il budget federale il cui deficit, per effetto della riforma, calerebbe di mezzo punto di Pil all’anno tra il 2023 al 2032, secondo i conteggi del Congressional Budget Office. Un totale di 1,6 trilioni di dollari in dieci anni (vedi ).

Vaccini: investi 1, recuperi 18 Tra gli investimenti in sanità con il ritorno economico maggiore per uno Stato ci sono quelli dei vaccini. Messi in discussione negli Stati ricchi da chi senza dubbio non ha memoria di cosa accadeva quando non esistevano. Eppure essenziali. Anche nella lotta contro la povertà: un’indagine pubblicata sulla rivista Health Affairs e condotta dall’università di Harvard su 10 vaccini in 41 Paesi ha calcolato che, oltre a evitare 36 milioni di morti entro il 2030, permetteranno a 24 milioni di persone di non finire in condizioni di povertà estrema nei Paesi in via di sviluppo: 14 milioni grazie al vaccino anti-epatite B, 5 milioni per quello della meningite, 3 per l’anti-morbillo (che però è primo per numero di vite salvate: 22 milioni). Un altro studio, dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’università Cattolica, ha invece stimato che, per ogni euro speso in vaccinazioni, l’impatto economico positivo per uno Stato è di 18 euro: 2 in termini di gettito fiscale e 16 come produttività sul lavoro. Anche per la “banale” influenza, 900mila adulti vaccinati in più farebbero guadagnare all’economia nazionale 450 milioni di euro l’anno. I ritorni maggiori sarebbero però quelli garantiti dal vaccino anti-pneumococco (19,5 volte l’investimento) e anti-varicella (21,5 volte). ✱

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Tutti gli articoli del dossier sono resi disponibili su Valori.it man mano che ci avviciniamo all’inizio del Festival dei Diritti Umani (20 marzo) e Fa’ la cosa giusta! 2018 (23 marzo). Li trovate qui.