Il caso di Leonardo e della “fuffa” Esg

Leonardo è nell'occhio del ciclone per le accuse di complicità con sterminio a Gaza. Ma gran parte dei rating Esg la ritiene “sostenibile”

Cannone navale OTO Melara 76/62 Super Rapido © Hunini/Wikimedia Commons

Sono tante le aziende accusate di complicità diretta o indiretta con lo sterminio a Gaza per mano dell’esercito israeliano, che di recente anche la Commissione internazionale indipendente d’Inchiesta dell’Onu sui Territori Palestinesi Occupati ha dichiarato essere un genocidio. Fra queste c’è Leonardo, principale azienda italiana (partecipata dallo Stato) nel settore degli armamenti. O della “difesa”, per dirla in modo politically correct. Il caso di Leonardo è emblematico del tracollo di credibilità dei criteri Esg (ambientali, sociali e di governance).

Le credenziali Esg vantate da Leonardo

Partiamo dalle credenziali Esg, cioè le performance ambientali, sociali e di governance che Leonardo mette in bella mostra sul suo sito. A cominciare dalla sezione “Indici e rating Esg” che riporta le valutazioni favorevoli, chi più e chi meno, di alcuni fra i maggiori fornitori al mondo. Leonardo è anche inclusa nell’indice Mib Esg di Borsa Italiana. Tutti giudizi che nel loro insieme si possono considerare un campione piuttosto rappresentativo dell’opinione del mondo Esg su Leonardo.

Nella sezione “Partecipazione ad associazioni” la società guidata da Roberto Cingolani, ex-ministro per la Transizione ecologica del governo di Mario Draghi, presenta a mo’ di stelline appuntate sul petto le organizzazioni attive nell’ambito della sostenibilità a cui partecipa. In Italia, Europa, nel mondo. Mentre nella sezione “Business responsabile” l’azienda dichiara di impegnarsi a «svolgere le proprie attività nel pieno rispetto dei diritti umani». E nella policy sui diritti umani afferma di essere impegnata a «prevenire rischi di pratiche illecite legate alla vendita e distribuzione dei propri prodotti» e a monitorare le attività in Paesi sensibili, ad esempio quelli «protagonisti di serie violazioni alle convenzioni internazionali sui diritti umani».

L’accusa di complicità con lo sterminio a Gaza

Per il rovescio della medaglia non si può che partire dall’inferno di Gaza. Perché Leonardo è fra le aziende messe all’indice nel rapporto “From economy of occupation to economy of genocide” pubblicato in estate da Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati (Opt) dal 1967. Un rapporto che ha innescato un terremoto politico globale ma non sembra aver turbato i “sacerdoti” del rating Esg.

Ma c’è di più e di peggio. Perché l’amministratore delegato di Leonardo, Cingolani, insieme ai vertici del governo italiano è stato oggetto di una denuncia per «presumibile complicità nei crimini israeliani» presentata a inizio ottobre alla Corte penale internazionale da Giuristi e Avvocati per la Palestina. Nell’arco di pochi giorni, l’iniziativa ha raccolto oltre 40mila adesioni.

Altro che Esg: gli altri «j’accuse» nei confronti di Leonardo

Leonardo è citata nel database ExitArms, rivolto ad attori finanziari che intendono disinvestire da esportatori di armi verso Stati in guerra. E nel tool online Watermelon Index che denuncia la complicità del mondo aziendale e finanziario con i crimini a Gaza. È nel mirino del movimento Bds (Boycott, Divestment and Sanctions) che, in un recentissimo dossier, la accusa di «relazioni ininterrotte con Israele». È nell’occhio del ciclone per la partnership con l’altrettanto contestata Rheinmetall, la maggiore impresa di armi tedesca – anch’essa tuttavia accreditata di buon rating, Esg s’intende.

Per non dire delle frequentissime proteste di organizzazioni studentesche o delle azioni di attivisti contro i suoi siti di produzione. C’è persino un account X dedicato alla campagna contro lo stabilimento Leonardo di Edimburgo, «un produttore chiave di sistemi di puntamento laser per i jet F-35 israeliani». I lavoratori dello stabilimento Leonardo di Grottaglie, in provincia di Taranto, hanno appena lanciato la petizione “Non in mio nome, non col mio lavoro” che chiede lo stop alle forniture belliche a Israele. Mentre il Vaticano di Papa Francesco, attraverso l’Ospedale Bambin Gesù, nel 2024 ha detto no a una donazione di un milione e mezzo di euro da parte di Leonardo. Definendola inopportuna, in un momento di guerre sanguinose imperversanti.

Sulla difesa si gioca la differenza tra finanza etica e finanza sostenibile

Almeno dallo scoppio della guerra in Ucraina, che ha dato il via al bellicismo tuttora imperante, il business delle armi ha registrato un boom e le aziende del settore hanno visto i loro titoli galoppare in Borsa. Il sospetto è forte: non è che certi investitori Esg, a caccia di rendimenti anche se “sostenibili”, hanno fatto carte false per cavalcare questo boom? Incuranti del rischio di rendere siderale la distanza con la finanza etica che ha sempre escluso il settore degli armamenti?

Illuminante al riguardo quanto successo appena dopo il cessate il fuoco a Gaza, quando il titolo di Leonardo, come di altre società del settore, è “scivolato” in Borsa. Perché le prospettive di pace possono rallentare le spese militari. «Finché c’è guerra c’è speranza», recitava il titolo di un film di Alberto Sordi di cinquant’anni fa, ahinoi attualissimo. Detto altrimenti: queste società prosperano con la guerra, attività umana insostenibile per eccellenza, e soffrono con la pace. Ma per gran parte della finanza Esg, come abbiamo visto, restano sostenibili. E quindi investibili.

La posizione degli azionisti critici

Fondazione Finanza Etica è impegnata da nove anni in iniziative di azionariato critico su Leonardo. Con la lente puntata sulla questione armi nucleari. «Dopo tutti questi anni – spiega Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica – possiamo dire che Leonardo Spa ha perfezionato una certa abilità nel mostrarsi diversa da quello che in realtà è. Si chiama social washing, dal nostro punto di vista».

«Leonardo, ad esempio, insiste nel negare la sua partecipazione a programmi di costruzione di armi nucleari, per noi “controverse” perché a renderle tali è la stessa natura di queste armi (che hanno effetti indiscriminati, causano sofferenze eccessive e danni sproporzionati ai civili, e/o hanno effetti duraturi e indelebili) – continua Siliani –. Com’è noto, Mbda, società consortile a guida francese di cui Leonardo detiene il 25%, realizza “solo” il vettore. Ovvero il missile e non la testata nucleare. Ci sono data provider Esg che escludono Leonardo dai fondi d’investimento ex artt. 8 e 9 della tassonomia europea sulla finanza sostenibile proprio per la sua partecipazione alla realizzazione di armi controverse».

Leonardo è consapevole di questa condizione, afferma Siliani. Lo dimostra il fatto che all’assemblea degli azionisti 2025 gli azionisti critici le hanno specificamente chiesto se avesse stimato l’impatto economico-finanziario derivante da queste esclusioni. L’azienda ha risposto che «non ha prodotto una valutazione di rischio Esg specifica riferita alla partecipazione in Mbda». «Per cui ci si può anche far valutare da tutte le società di rating Esg di questo mondo – conclude –, ma quando si viene poi ai concreti comportamenti, fatti come quelli qui richiamati parlano da soli».

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