Libano, le banche al centro di una delle peggiori crisi al mondo
I cittadini del Libano possono accedere solo in minima parte ai propri risparmi depositati in banca, mentre l’economia della nazione crolla
Da mesi una serie di restrizioni d’accesso ai risparmi custoditi presso le banche del Libano stanno di fatto congelando i risparmi della popolazione. Si tratta di una delle conseguenze dirette della crisi di liquidità che sta colpendo la nazione mediorientale. C’è chi si è visto imporre un tetto massimo al denaro che può prelevare ogni mese. Ma anche commissioni stratosferiche per ciascuna operazione.
L’economia del Libano è sull’orlo del collasso
Una situazione che sta diventando insostenibile per la popolazione. C’è chi ha dovuto abbattere i propri consumi per poter, ad esempio, pagare le bollette elettriche o il riscaldamento. E soprattutto manca un piano di uscita da una spirale che dura ormai da anni. Con il settore bancario alle prese con perdite colossali, superiori ai 70 miliardi di dollari.
La maggior parte del “rosso” si trova a carico della banca centrale, la Banca del Libano. È presso tale istituto che le banche commerciali avevano infatti depositato gran parte dei loro capitali, attratte da tassi di interesse particolarmente elevati. La banca centrale, però, oggi non riesce a rimborsare i certificati di deposito. La stragrande maggioranza della liquidità è stata infatti utilizzata per sostenere la moneta locale, la lira libanese, il cui valore è crollato negli ultimi anni.
Il FMI chiede una riforma del segreto bancario
A pesare ci sono poi le conseguenze dell’esplosione al porto di Beirut, che il 4 agosto del 2020 ha distrutto buona parte dello scalo. Ancora oggi quest’ultimo attende un piano di ricostruzione, che risulta difficile anche per l’entità dei danni, che sono stati valutati attorno a 4 miliardi di dollari. Il tutto in un Paese economicamente sull’orlo del collasso, con il tasso di povertà che ormai supera l’82%.
Il Fondo Monetario Internazionale potrebbe sbloccare un programma di aiuti finanziari, ma attende prima l’approvazione di una riforma del segreto bancario. Quest’ultimo è disciplinato da una norma che risale al lontano 1956: da giugno il Parlamento sta discutendo un (blando) cambiamento. Che non è detto possa soddisfare il Fmi.
A maggio, inoltre, il governo di Beirut ha presentato una bozza di piano di ristrutturazione del settore bancario. Che però sconta l’opposizione di tutte le parti in causa: le banche, i correntisti e un bel pezzo della politica libanese. Con molti esponenti dei partiti che sono anche membri dei consigli d’amministrazione degli istituti di credito.
Il piano del governo per salvare i depositi osteggiato dalle banche
L’idea dell’esecutivo è di far gravare proprio sulle banche commerciali la maggior parte delle perdite. Chiedendo loro di coprire i depositi per almeno 100mila dollari per ciascuno correntista. Ciò consentirebbe di garantire circa l’88% dei depositi, chiedendo di fatto uno sforzo ai grandi patrimoni e agli azionisti.
Di qui l’opposizione delle stesse banche e dei potentati locali. Che chiedono, al contrario, che sia lo Stato ad intervenire, accusando in particolare la banca centrale di malagestione. Gli stessi istituti di credito minacciano poi di cedere gli asset pubblici, il che sta appunto frenando il governo. Nel frattempo, la crisi in Libano ha raggiunto limiti insopportabili, con l’inflazione che ha superato il 200% ad aprile, il salario minimo che è sceso sotto ai 35 dollari al mese e il tasso di disoccupazione attorno al 40% della popolazione attiva.