Mango, la fast fashion che punta sull’ambiente è davvero sostenibile?

Per la prima volta il gruppo spagnolo Mango ha ottenuto un prestito i cui costi sono legati a performance ambientali. Ma restano alcuni dubbi

Un negozio di Mango a Madrid © Zarateman/Wikimedia Commons

Mango, celebre azienda della fast fashion, ha sottoscritto per la prima volta un prestito collegato a criteri di sostenibilità. Il cui costo diminuirà, infatti, qualora l’azienda dovesse raggiungere alcuni obiettivi ambientali.

Un prestito ESG che muove ingenti capitali

Si tratta di una linea di credito già esistente, nell’ambito di un’operazione da 236 milioni di euro. La scadenza è stata prorogata al 2028 (in precedenza erano al 2022 e al 2023). A gestire l’operazione è la cassa di risparmio CaixaBank, in collaborazione con BBVA e Banco de Sabadell. Ma a partecipare sono anche Banco Santander, Erste Bank, Deutsche Bank, Ibercaja e Unicaja.

Con loro, Mango ha convenuto anche la costituzione di un nuovo credito da 200 milioni di euro, di cui 150 saranno ammortizzati in modo lineare fino al 2027. Mentre i restanti 50 milioni corrispondono ad una linea di credito che può essere utilizzata fino al 2023 per investimenti aziendali. E che, se utilizzata sarà rimborsata con una rata unica nel 2028.

Secondo Margarita Salvans, direttrice finanziaria del marchio, «si tratta di un’operazione storica per l’impresa. Non soltanto abbiamo per la prima volta legato il costo del nostro indebitamento a degli indicatori di sviluppo sostenibile. Ma abbiamo anche potuto allungare le scadenze e ridurre i costi del credito ottenuto. Nonché raddoppiare la nostra capacità di finanziamento».

A quali criteri è legato il costo del prestito ottenuto da Mango

Il finanziamento vedrà dunque una sensibile diminuzione del suo costo se l’impresa dovesse centrare i target di sostenibilità a cui esso è legato. Nello specifico, si punta a raggiungere entro il 2025 il 100% di utilizzo di cotone definito dall’azienda come sostenibile, di poliestere riciclato e di fibre di cellulosa da origine controllata.

Inoltre, Mango dovrà agire anche sul fronte del riscaldamento globale, in particolare diminuendo le emissioni di CO2 dei cosiddetti scope 1 e 2 del 10% o più. Nel primo caso (“scope 1”) si intendono le emissioni dirette: ad esempio la combustione di energie fossili. Nel secondo (“scope 2”) quell indirette legate al consumo di energia necessario per la fabbricazione di un prodotto.

Una vetrina del marchio Mango © Kevin Krejci/Wikimedia Commons

L’azienda, invece, non menziona lo “scope 3”, relativo alle altre emissioni indirette. Ad esempio quelle provocate dall’estrazione di materiali necessari per realizzare un prodotto. O ancora le emissioni legate ai trasporti utilizzati dai dipendenti per recarsi al lavoro.

Quantificare la sostenibiltà è difficile se non ci sono parametri e regolamentazioni univoci

In apparenza si tratta di una buona notizia. E si può pensare che l’azienda abbia davvero a cuore le questioni ambientali e climatiche. Tuttavia, comprendere la reale portata dell’impegno – e conseguentemente capire se si tratta di una buona pratica che vale la pena replicare – è più complesso.

Va detto, in primo luogo, che – ad esempio – le proposte dell’Unione Europea presentano obiettivi sensibilmente più ambiziosi rispetto a quelli che si è fissata Mango. Bruxelles punta infatti a diminuire le emissioni di gas ad effetto serra disperse nell’atmosfera dai Paesi membri di almeno il 55% entro il 2030. Non di un 10% entro il 2025, limitato come detto agli scope 1 e 2.

In secondo luogo, chi garantisce sui parametri di sostenibilità per le fibre tessili? Quelli di Mango sono certificati da Anthesis group. Venisse raggiunto il target, fibre con etichetta di sostenibilità sarebbero utilizzate per un quantitativo pari al totale della commercializzazione di cotone e poliestere. Ma è noto come la mancanza di uniformità nelle certificazioni possa far emergere dubbi sulla definizione stessa di sostenibilità. Anthesis conta fra i suoi clienti, tra l’altro, colossi come Unilever, Johnson & Johnson, Gap. Società non del tutto o sempre sostenibili.

Per la testata specializzata Business of Fashion vi è una forte difficoltà nel quantificare l’impatto climatico delle aziende di moda. Così come nel creare indici di sostenibilità univoci.


Una filiale di CaixaBank © Yeray S. Iborra/ Wikimedia Commons

Ad oggi, infatti, ci si può basare soltanto sui dati forniti dagli stessi gruppi. Cifre che spesso non coprono l’intera filiera produttiva. Fare delle stime a partire da tali informazioni non è un’operazione semplice. Anche perché non vi è omogeneità in ciò che viene divulgato da uno o l’altro gruppo.

I partner bancari dell’iniziativa sono affidabili in termini di sostenibilità?

Altro capitolo è quello relativo ai soggetti bancari partner dell’iniziativa. Tra i quali anche chi, è il caso di Deutsche Bank, di certo non ha brillato negli ultimi anni in termini di sostenibilità. Così come per quanto riguarda Banco Santander.

Il rapporto Banking on Climate Chaos 2022, curato da un gruppo di organizzazioni non governative, ha evidenziato una lieve diminuzione di capitali concessi dalle banche iberiche alle fonti fossili, nel 2021, rispetto all’anno precedente. Ma ha anche rivelato un forte aumento degli investimenti in progetti di sfruttamento di giacimenti nell’Artico.

Il denaro concesso alle fonti fossili da Banco Santander e BBVA

Proprio Banco Santander è la banca spagnola che impatta di più sul clima, classificandosi come 22esima al mondo. Nel 2016 aveva stanziato circa 36 milioni di euro in progetti di perforazione artica. Lo scorso anno ben 220 milioni. Con un aumento di oltre il 500% nel periodo di riferimento..

Alcune delle banche che hanno concesso a Mango un prestito i cui costi sono legati a performance ambientali sfruttano anche il business delle armi © Daniel Herrera/Wikimedia Commons

Per BBVA, su 75 milioni di dollari investiti nel periodo 2016-2021, ben 45 sono arrivati lo scorso anno. In maniera analoga CaixaBank ha stanziato un milione di dollari negli ultimi 6 anni, di cui 300mila nel 2021.

Gli interessi nel settore delle armi, anche nucleari

La campagna Banca Armada ha denunciato inoltre come Santander sia fra le dieci banche europee che finanziano maggiormente i produttori di armi nucleari. Ha stanziato 5.4 milioni nel periodo 2019-2021. In più altri 123 milioni ad aziende volte alla militarizzazione delle frontiere.

A seguire Caixabank, con oltre 62 milioni di euro in aziende attive nella militarizzazione dei confini. Ma anche BBVA opera in quest’ambito, con 5,421 milioni investiti nel settore bellico, comprese sette aziende produttrici di armi nucleari.

Manifestazione dei sindacati nel 2019 a Girona © Wikimedia Commons

Da ultimo c’è da tener conto che BBVA, Santander, Sabadell e CaixaBank grazie a recenti fusioni hanno tagliato più di 9mila posti di lavoro negli ultimi 5 anni.

Di fronte all’interesse sempre più diffuso nelle diverse clientele per le questioni ambientali, dunque, è chiaro che le aziende cercano in tutti i modi di posizionarsi. Ma la sostenibilità non può essere concepita a compartimenti stagni: un approccio olistico è imprescindibile se si vuole davvero far sì che i propri business abbiano un impatto positivo per il mondo.