Perché il bisht di Messi non deve fare scalpore: serve solo a certificare
Il calcio è potere. E l'immagine di Messi che stringe la Coppa indossando un bisht è un’immagine polisemica del potere
Nella società in cui lo spettacolo è capitale accumulato a tal punto da divenire immagine, del Mondiale di Qatar 2022 resteranno infinite immagini. Dalla cerimonia di apertura in cui l’emiro qatariota Al Thani sedeva a fianco del principe saudita Bin Salman, fino a ieri suo peggior nemico, ai tifosi maghrebini che incendiano Bruxelles in una parentesi di lotta postcoloniale.
Dall’incredibile parata coi piedi di Martinez all’ultimo secondo della finalissima, all’altrettanto incredibile gol al volo di Mbappé per il temporaneo 2-2. Un’immagine in particolare, però, resterà nella storia. È quella di Leo Messi che stringe l’agognata Coppa indossando un bisht, un mantello tradizionale della cultura araba riservato a persone e occasioni speciali. Dietro il giocatore, nella stessa immagine, incombono minacciosi nei loro sorrisi il presidente della Fifa Gianni Infantino e l’emiro qatariota Al Thani. Perché Messi è cosa loro, il calcio è cosa loro, la gioia è cosa loro. Noi siamo cosa loro.
Da quando l’immagine è entrata nell’era della sua riproducibilità tecnica, il potere se ne è sempre servito, non è una novità. Anche il calcio. Dai saluti romani della nazionale italiana che vince due Mondiali per la gloria di Mussolini a Berlusconi che vince le elezioni con la Coppa Campioni del Milan, dal sanguinario dittatore Videla che consegna la Coppa del Mondo al capitano argentino Passarella allo stesso presidente Fifa Infantino che nella conferenza di presentazione del Mondiale tiene sempre in mano il pallone, a ribadire che è lo ha portato lui, è cosa sua, si gioca solo se e quando vuole lui.
Quindi questa immagine di Messi col bisht non deve fare scalpore, serve solo a certificare. Il calcio è potere, lo è sempre stato, e noi siamo i suoi sudditi. La palla è dei padroni, l’hanno sempre portata loro, e noi al massimo possiamo giocare con le loro regole.
Questa immagine di Messi che stringe la Coppa indossando un bisht, mentre alle sue spalle incombono minacciosi nei loro sorrisi Infantino e Al Thani, è un’immagine polisemica del potere. Ha più significati e più livelli. È il potere del capitale sui calciatori: tu Leo giochi per il Psg, il Psg è mio, tu sei mio. È il potere del capitale sul calcio: le Olimpiadi del centenario le hanno fatte ad Atlanta e non a Atene, i Mondiali del centenario li faranno ovunque ma non in Uruguay, cosa volete che sia un Mondiale giocato in inverno di fronte a quanto lo abbiamo pagato.
È il potere del capitale sulla politica: un filo nero di minacce e, forse, corruzione che ho cominciato a tessere nel 2010 a Parigi e non si è ancora concluso nel 2022 tra Strasburgo e Bruxelles, tutti in fila davanti a me a ricevere il vostro squallido obolo, la vostra comunione neoliberale. È il potere del capitale sulla storia e sulla geografia: abbiamo pacificato le diplomazie del Golfo, dimostrato che si può volere bene contemporaneamente a Iran e Stati Uniti, siamo entrati nel cuore di tenebra della vostra Europa, comprandocelo.
Questa rischia però di essere l’immagine cui sarà per sempre associato Leo Messi, che ha fatto ben altro per essere ricordato. Prima sui social e poi si media tradizionali, in molti hanno scritto che Messi si è venduto. O che Diego Armando Maradona non avrebbe mai indossato il bisht. Le risposte sono state un profluvio di immagini sui legami tra Maradona e il mondo arabo. Come se il problema fossero le relazioni tra calcio e cultura araba, e non tra calcio e potere.
Queste rivendicazioni tradiscono una delle passioni più tristi dell’industria culturale, quella del dover attribuire le nostre convinzioni ai nostri idoli. Appropriarcene. Esattamente come fa il capitale con il pallone. Non sappiamo se Maradona avrebbe indossato o meno il bisht, e non ci interessa. Maradona rimane un uomo (pieno di difetti, azioni e amicizie discutibili) che ha sempre cercato di fare esplodere le contraddizioni del pallone. Per cambiarlo. Messi un uomo qualunque, come noi, come Al Thani, come Infantino. Messi, come tutti quelli che accumulano capitale fino al punto di trasformarlo in immagine, ha semplicemente fatto quello che facciamo ogni giorno tutti noi: ha accettato di sottomettersi alla realtà per quella che è.