Il Messico della Quarta Trasformazione: crescita, welfare e povertà

Il Messico vive sospeso tra crescita economica e sacche di povertà. Claudia Sheinbaum, la prima presidente donna, promette di cambiare le cose

Plaza de la Constitucion in Messico ©R.M. Nunes/iStockPhoto

Quindicesima economia mondiale ma con enorme sacche di povertà, potenza del settore automotive ma al contempo nazione con enorme prevalenza del primario, una capitale sicura e ambita dai lavoratori di mezzo mondo e intere province dove lo Stato fatica ad affermare il proprio controllo. Visto da vicino, il Messico è un crogiuolo di contraddizioni, ma rappresentativo della situazione di diversi dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.

Pil, qualità della vita, disuguaglianze: il Messico in numeri

Il Prodotto interno lordo messicano sta attorno ai 1.789 miliardi di dollari statunitensi: poco più della Colombia e meno del Canada. Il Pil italiano, come metro di paragone, è di 2.301 miliardi, nonostante la popolazione messicana sia più del doppio di quella della Penisola. L’Indice di sviluppo umano, l’indicatore delle Nazioni Unite che misura la qualità di vita media, è di 0,78, il che mette il Messico tra i Paesi ad alto sviluppo, anche se non in cima alla classifica. L’Indice di sviluppo sostenibile, un altro indicatore sviluppato dall’Università di Londra per includere anche fattori ambientali nel conteggio, mette il Messico al 27° posto nel mondo.

Secondo i dati dello stesso governo, il 50% circa della popolazione è inquadrato come classe media, il 30% come classe alta e il 20% come classe povera. Ma sono dati che non coincidono con altri criteri di classificazione, che restringono la middle class e ampliano le fasce di popolazione in maggiore difficoltà. Come la maggior parte dei Paesi latinoamericani, una enorme parte della cittadinanza in età lavorativa vive di economia informale – ovvero senza un contratto o altra forma di lavoro regolare. Si parla di almeno il 60%, a cui va aggiunto un 15% di lavoratori emigrati, quasi tutti negli Stati Uniti.

L’agricoltura è il primo settore per impiego, ma negli ultimi decenni è cresciuta molto l’industria, soprattutto grazie alle multinazionali statunitensi che hanno spostato in Messico la produzione per approfittare dei salari più bassi. Oggi il Messico è il secondo produttore di automobili nelle Americhe, ad esempio, e anche per questo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accusato il Paese di «rubare posti di lavoro» al vicino del Nord.

Il Messico: un Paese di estremi, tra élite e povertà

Il Messico è, per tanti versi, un Paese di estremi. Nonostante la povertà diffusa, le élite – soprattutto urbane e soprattutto bianche – hanno accumulato capitali importanti ed esercitano potere anche sulla politica locale. Nel 2018, l’80% della ricchezza nazionale era in mano al 10% più ricco della popolazione. L’indice di Gini – uno dei più usati per calcolare la disuguaglianza interna a un Paese – è pari a 43,5. Più della media globale.

Questi dati si riflettono anche sull’accesso al credito e ai servizi finanziari. Secondo la Banca Mondiale, il 40% della popolazione è in situazione di esclusione finanziaria, e il 97% delle filiali bancarie si trova nelle città. Nelle campagne, invece, molti faticano anche solo a entrare in contatto con gli istituti finanziari.

Il Messico della Quarta Trasformazione

Dal 1946 al 2000 il Messico è governato dal Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), una forza politica originariamente socialista e via via spostatasi verso il centro e da più parti accusata di clientelismo e tendenze autoritarie. Nel contesto degli ultimi governi del Pri nasce ad esempio la guerriglia anarchica del Chiapas, una delle regioni più povere del Paese. Alle elezioni del 2000 vince per la prima volta una forza di opposizione, il Partito di azione nazionale (Pan), di centrodestra. La vera svolta, però, arriva nel 2018. Andrés Manuel López Obrador – o Amlo, come è noto tra i suoi sostenitori – vince a sorpresa le presidenziali a capo di una coalizione chiamata Morena. Amlo emerge con una scissione a sinistra del Pri, ed è il primo presidente progressista della storia recente del Messico. Il processo riformatore intrapreso nel suo mandato prende il nome, tra chi appoggia il governo, di Quarta Trasformazione.

«Negli ultimi sei anni undici milioni di persone sono state portate fuori dalla povertà. È un fatto senza precedenti» spiega a Valori.it Daniela Pastrana, direttrice del giornale latinoamericano con sede a Città del Messico Diario Red Latam. «Le riforme di Amlo hanno rafforzato il welfare in due direzioni. Da un lato aumentando il salario minimo, dall’altro istituendo o accrescendo i sussidi pubblici. Oggi in Messico non c’è famiglia che non ne riceva almeno uno: sia essa la pensione minima, di disabilità, una borsa di studio, un tirocinio pagato dallo Stato».

Le due grandi sfide della presidente Claudia Sheinbaum

I governi della coalizione Morena sono stati i primi a investire massicciamente nel welfare, finanziato in parte con la crescita economica, in parte col controllo statale di alcune grandi aziende estrattive. Una strategia che ha pagato anche in termini elettorali. Alla fine del mandato di López Obrador ha vinto le elezioni la sua delfina Claudia Sheinbaum, della quale scrivemmo un profilo due anni fa. Si tratta di una scienziata e politica, già autrice per l’Ipcc – il principale foro scientifico sulla crisi climatica – che da sindaca di Città del Messico contribuì enormemente a rendere la città più sicura e migliorare servizi essenziali come i trasporti.

«L’economia messicana rimane fortemente informale. Qui durante il Covid non si chiuse, o si chiuse molto poco, anche perché la grande maggioranza della gente guadagna di giorno in giorno e, col lockdown, non c’erano entrate. Questo è un nodo che Sheinbaum dovrà ora risolvere», continua. Per Pastrana, le grandi sfide dell’esecutivo di sinistra in campo economico sono ora due: la riduzione della settimana lavorativa e la riforma del sistema fiscale. «In Messico la settimana lavorativa è ancora di 48 ore. Da anni si chiede di portarla a 40, ma la legge è bloccata in Parlamento», conclude. «Allo stesso modo, il sistema fiscale nazionale è fortemente iniquo. Riformarlo, però, significa aprire un altro fronte di scontro col mondo delle imprese che già ora sabota la presidente. Per questo si fatica tanto a portare a casa le modifiche che servirebbero».

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