Clima, le mancate promesse della finanza sul metano
Le grandi banche continuano a finanziare i colossi alimentari, noncuranti del loro enorme impatto in termini di emissioni di metano
Le quaranta principali banche e società finanziarie del mondo sono legate a doppio filo ai 15 maggiori colossi alimentari, perché li finanziano oppure posseggono le loro azioni e obbligazioni. Fin qui non ci sarebbe niente di strano. Se non fosse che proprio le attività di quelle aziende, a partire dalla produzione di carne e latticini, comportano un impatto enorme in termini di emissioni di metano.
Per la precisione, le stime suggeriscono che la loro “impronta di metano” possa superare le 503 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. All’incirca come le emissioni dell’Arabia Saudita. Peccato però che gli istituti finanziari, gli stessi che a parole si impegnano per il net zero, tendano semplicemente a ignorare il problema. Hanno policy debolissime (quando le hanno) e non rendono nemmeno noto questo loro impatto – indiretto, ma gigantesco – sul clima. Il duro atto d’accusa arriva da un report scritto dal think tank Planet Tracker insieme alla fondazione Changing Markets.
Perché le emissioni di metano vanno ridotte al più presto
Quando si parla dei gas a effetto serra che provocano il riscaldamento globale, di norma si fa riferimento all’anidride carbonica (CO2). Questo per due motivi. Innanzitutto perché è la più abbondante: da sola rappresenta poco meno dei tre quarti delle emissioni a livello globale. Inoltre, per poter comparare fra di loro diversi gas, si misura il loro effetto climalterante in tonnellate di CO2 equivalente. Questo non deve far dimenticare che, appunto, di gas ne esistono altri. Il metano (CH4) rappresenta il 17,3% delle emissioni globali, resta in atmosfera per un periodo più breve rispetto alla CO2 (circa 12 anni) ma ha un potenziale serra 25 volte superiore. Le sue concentrazioni nel 2021 ammontano al 262% rispetto a quelle del periodo preindustriale.
Da qui il Global Methane Pledge, uno degli impegni più significativi presi dalla comunità internazionale alla Cop26 di Glasgow del 2021: sforbiciare le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Ciò impone di agire soprattutto su agricoltura e allevamento, responsabili del 32% delle emissioni di metano di origine antropica. Altre fonti sono le miniere di carbone, le discariche e l’estrazione e l’uso di combustibili fossili.
Qual è l’impronta di metano di banche e investitori
I ricercatori di Planet Tracker hanno quindi ricostruito gli investimenti e i finanziamenti alle quindici maggiori società del comparto carne e latticini. I primi 20 investitori detengono in tutto 118 miliardi di dollari, tra azioni e obbligazioni. La loro impronta di metano è quindi stimata in 68 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, più delle emissioni di CO2 di uno Stato come l’Austria. Il podio è tutto a stelle e strisce con Vanguard, BlackRock e State Street.
Passando invece ai finanziamenti bancari si arriva a un totale di 400 miliardi di dollari, con un’impronta di metano quasi tre volte superiore rispetto a quella degli asset manager: si parla infatti di 202,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, all’incirca come le emissioni della Spagna. Utilizzando una metodologia di calcolo diversa, per le banche si arriva a un totale di 435 Mt, facendo quindi salire a 503 il conteggio totale. A dominare la classifica delle banche è Morgan Stanley (da sola sfiora i 40 milioni di tonnellate), seguita da JP Morgan e dall’inglese HSBC. Ma in graduatoria ci sono anche l’italiana Unicredit e la spagnola Santander.
Le policy delle società finanziarie sono debolissime
Queste cifre stridono con l’ottimismo suscitato dal lancio del Global Methane Pledge. Un patto a cui hanno aderito più di cento Stati, quelli in cui peraltro hanno sede tutte le 40 società analizzate nel rapporto tranne una, la cinese Hohhot Investment. Eppure, nessuna di loro ha stabilito un obiettivo specifico di riduzione delle emissioni di metano. Nove su 40 – soprattutto banche – hanno adottato policy che riguardano le emissioni di metano delle società finanziate, ma esse si focalizzano sul comparto oil&gas. Non sugli allevamenti. Quindici invece hanno policy sull’uso del suolo e sull’agricoltura sostenibile, ma solo in tre casi fanno riferimento al metano. Insomma, il tema è stato affrontato solo di sfuggita, in modo enormemente lacunoso.
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Ma c’è ancora la possibilità di cambiare rotta. Con un impatto potenzialmente risolutivo. Visto che il metano ha un elevato potere climalterante e permane poco tempo in atmosfera, infatti, tagliare le emissioni fin da subito significherebbe rallentare in modo determinante il riscaldamento globale entro il 2050. Prima che, per il pianeta, sia troppo tardi.