Perché il gas metano è sempre più un problema per il clima

Un rapporto dell'IEA fotografa la realtà del gas metano con numeri spaventosi. A partire dalla quantità dispersa da gasdotti e siti estrattivi

Una centrale a gas naturale nella baia di San Francisco © Sundry Photography/iStockPhoto

Pochi giorni prima del picco della crisi energetica seguita all’invasione russa dell’Ucraina è uscito il Global Methane Tracker 2022, report dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA). La più completa fonte di informazioni sui rischi climatici dell’estrazione di fonti fossili (gas compreso) legati alle emissioni di metano.

Uno degli impegni più significativi usciti dalla COP26 di Glasgow era il Global Methane Pledge, la promessa di ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Si tratta infatti di un gas serra che altera il clima e riscalda l’atmosfera molto più della CO2. Ma permane nell’atmosfera anche molto meno, e per questo motivo è considerato «il frutto più in basso». Ovvero la misura più veloce e facile da prendere per rallentare il riscaldamento globale. Secondo l’IPCC, però, è responsabile del 30% del riscaldamento globale e i livelli sono i più alti da 800mila anni.

Investimenti nell’oil & gas in crescita

Le fonti fossili non sono l’unica fonte di metano dall’atmosfera, ci sono anche quelle degli allevamenti intensivi e delle discariche. Ma quell’accordo e i numeri IEA sulle emissioni dal settore energetico (il 40% del totale) dimostrano quanto sia fragile l’idea del gas come fonte energetica di transizione, ribadita anche da Mario Draghi al Parlamento italiano.

Tutto questo mentre, globalmente, gli investimenti nell’oil & gas sono cresciuti di 26 miliardi di dollari nel 2021, da 602 o 628 miliardi di dollari. Secondo un’analisi di Rystad Energy, questo aumento è stato trainato proprio dal gas e dall’impennata del 14% degli investimenti in gas liquefatto e progetti upstream di estrazione: il segmento con la crescita più veloce di tutto il settore fossile.

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Siti di estrazione e gasdotti disperdono 180 miliardi di metri cubi di gas all’anno

Le energie fossili nel 2021 secondo IEA hanno emesso 135 milioni di tonnellate di metano nell’atmosfera. La ripresa post-Covid e la corsa al gas le hanno fatte aumentare del 5% rispetto all’anno precedente, quando invece erano calate a causa dei lockdown pandemici. Il Paese che emette più metano è la Cina (28 milioni di tonnellate), seguita dalla Russia (18 milioni di tonnellate) e dagli Stati Uniti (17 milioni di tonnellate). Né Russia né Cina hanno per altro aderito al Global Methane Pledge siglato a novembre alla COP26.

La quota per settori energetici è la seguente: 42 milioni di tonnellate vengono dalle miniere di carbone, 41 milioni di tonnellate dal petrolio e 39 milioni di tonnellate dall’estrazione, dalla lavorazione e dal trasporto di gas fossile. Quindi 9 milioni di tonnellate dalla combustione di bioenergia (in generale legname usato per cucinare). È particolarmente significativo il caso del gas, le cui emissioni derivano da perdite nei siti di estrazione e lungo i gasdotti. Che, se evitate, corrisponderebbero a 180 miliardi di metri cubi di gas. Un quantitativo simile agli interi consumi annuali europei. È una misura interessante di quanto sia arretrata e disfunzionale questa industria.

«In base al recente aumento dei costi, l’abbattimento delle emissioni dalle operazioni di gas e petrolio potrebbe essere implementato a zero costi operativi», si legge nel report. «I costi, sommati a considerazioni ambientali e reputazionali, dovrebbero spingere il settore a guidare la riduzione delle emissioni e ad adottare un approccio di tolleranza zero». Se questo non è stato fatto è evidentemente perché né la logica economica né le considerazioni ambientali hanno un peso nel settore. 

Le emissioni di metano sono più alte di quanto riportato dai dati ufficiali

Altro aspetto chiave del discorso: secondo la valutazione dell’IEA sulla letteratura scientifica, le emissioni di metano sono molto più alte di quanto riportato dai dati ufficiali dei singoli Paesi. Gli inventari nazionali risultato pericolosamente fuorvianti: «È sempre più chiaro che hanno sottostimato le emissioni», dice il rapporto. Ogni volta che viene effettuato un monitoraggio sistematico si scopre che i calcoli che abbiamo fatto finora per capire quanto fossimo vicini al precipizio erano errati. Non è chiaro se per dolo o mancanza di capacità.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, le emissioni di metano sono addirittura del 70% più alte di quanto riportate dai governi nazionali che esportano la risorsa. Ridurle, come promesso dal Global Methane Pledge, avrebbe lo stesso effetto che azzerare le emissioni di CO2 da tutto il settore trasporti. Il problema è che mancano troppi Paesi produttori in quell’accordo. L’Italia a oggi importa gas da Russia, Algeria, Libia, Norvegia, Qatar e Azerbaijan. Di questi solo la Norvegia ha preso l’impegno climatico a Glasgow. È un altro aspetto da valutare per la serietà delle intenzioni dell’Italia sulla crisi climatica. Continuiamo a importare gas da Paesi che non hanno nessuna intenzione di abbattere le loro emissioni di metano.