La montagna non si arrende: la mobilitazione nazionale contro Milano Cortina 2026
Il 9 febbraio decine di comitati territoriali hanno organizzato presidi in cima alle montagne per dire no alle Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026
Il 9 febbraio Ape, Associazione proletari escursionisti, ha indetto una giornata di mobilitazione diffusa e sincronica intitolata “La montagna non si arrende”. Decine di comitati territoriali sparsi in tutto il Paese hanno aderito all’appello e hanno organizzato dei presidi sulla cima delle montagne. Ognuno con le proprie battaglie e rivendicazioni locali, i comitati sono saliti sulla cima per ribadire che esiste un modo di vivere la montagna alternativo a quello imperante.
Quella che si è celebrata lo scorso 9 febbraio è una vera e propria convergenza di valori. Una convergenza sollecitata dall’avvicinarsi di un evento mondiale che si terrà nel nostro paese tra un anno esatto, le Olimpiadi Milano Cortina 2026. I giochi invernali sono, per Ape e per tutti i collettivi che aderiscono all’associazione, l’esempio plastico di un’ideologia estrattiva, turistica e predatoria delle catene montuose. Un modo di intendere l’alta quota a vantaggio di pochi e a discapito di tutti.
La storia e lo spirito dell’Ape
L’Associazione proletari escursionisti nasce a cavallo tra il 1919 e il 1921 in un momento storico in cui lo sport aveva acquisito un’accezione popolare, socialista e internazionalista. Con l’avvento del fascismo e lo scoppio della Seconda guerra mondiale, però, la neonata Associazione proletari escursionisti – animata da una chiara vocazione di classe – è costretta a sopravvivere come può nella clandestinità. Molti degli associati decidono di partecipare attivamente alla resistenza partigiana.
Poi, con la nascita della Repubblica italiana, l’Ape torna di nuovo ad operare. Oramai, però, le mitologie che ruotano attorno all’alpinismo sono profondamente mutate rispetto a quelle che si erano consolidate all’inizio del secolo. Se prima dominava un immaginario di escursionismo popolare, la società del secondo dopoguerra predilige l’eroismo, lo sport estremo, la mitologia alpina e himalayana di chi sfida la roccia.
L’Ape, comunque, continua a esistere e a promuovere un’idea precisa di escursionismo montano, una postura non competitiva, antimilitarista, popolare, ecologista. Ma non solo: dentro l’esperienza dell’Ape, tra l’altro, si consolida anche una consapevolezza femminista proletaria che dà vita a numerose esperienze. Come Eva, una rivista in cui diverse associate scrivono per rivendicare il diritto di partecipare alle escursioni, di scalare la roccia, di rendere accessibile e praticabile la montagna anche per i bambini, in cui discutono del rapporto tra lo sport e il sesso femminile.
La rinascita dell’Associazione proletari escursionisti
Dagli anni ‘80 in poi, nei fatti, delle 20 sezioni sparse su tutto il territorio nazionale sopravvive solo quella di Lecco. Ed è da qui che, negli ultimi anni, è rinata l’Ape. L’obiettivo, ha detto a Valori Alberto Abo di Monte, è quello di recuperare i principi che hanno animato e irradiato l’associazione nella prima metà del secolo e declinarli in chiave contemporanea sul suolo montuoso. Un contesto ormai radicalmente mutato anche a causa della crisi climatica.
Così oggi, l’Ape, coerentemente con la sua storia, traccia una prospettiva virtuosa e etica di vivere lo spazio montuoso. Consapevole del fatto che, se da una parte tutta quanta la montagna italiana è travolta dagli effetti della crisi climatica, dall’altra ogni catena montuosa e ogni contesto si confronta con problematiche peculiari. Per questo il 9 febbraio è stato scelto di adottare un metodo di protesta diffuso ma sincronico. Ciascuno nel suo presidio geografico, i comitati hanno aderito all’appello “La montagna non si arrende, giornata di mobilitazione nazionale contro la speculazione delle Olimpiadi Milano Cortina”.
Contro le Olimpiadi Milano Cortina 2026
Le Olimpiadi Milano Cortina 2026 sono diventate il minimo comune denominatore che aggrega tutte le sezione italiane. Perché, se è vero che non tutte le catene montuose presenti sul suolo nazionale saranno investite dalle grandi opere, è anche altrettanto vero che l’ideologia estrattiva e di profitto che le innerva è la stessa che condiziona tutta la geografia alpina e appenninica degli ultimi anni.
Ma non solo. Come ha spiegato Alberto Abo di Monte, «la teoria dei grandi eventi funziona così, tu puoi non interessartene ma lui si interesserà di te». Collettivi come Cio – Comitato insostenibili Olimpiadi che riscrive l’acronimo del più famoso Comitato olimpico internazionale – organizzano da mesi iniziative per divulgare le conseguenze ambientali, sociali e economiche dei giochi invernali.
I dati di Open Olympics sulle opere in fase di realizzazione per i Giochi invernali
La rete di associazioni Open Olympics da tempo fa pressione per ottenere dati certi sui costi economici e ambientali dei Giochi invernali di Milano Cortina 2026. Il primo report aggiornato fino ad aprile 2024 evidenziava una mancanza di chiarezza: si sapeva poco sia del numero totale di opere previste, sia della somma necessaria per realizzarle.
Il secondo report, aggiornato fino al 31 dicembre 2024, entra molto più nel dettaglio. Anche perché, sulla spinta delle sollecitazioni esterne, Simico Spa (Società infrastrutture Milano Cortina 2020-2026) ha pubblicato un portale in cui ogni 45 giorni dà aggiornamenti sullo stato di avanzamento degli interventi. Su un totale di 100 opere in fase di realizzazione, ad oggi abbiamo i dati su 94. Delle altre sei, invece, non si può stimare l’entità né i costi. L’investimento economico complessivo supera i 3 miliardi e 383 milioni di euro.
L’impatto ambientale di Milano Cortina 2026 è ancora sconosciuto
Nel report, poi, emergono altre due cose interessanti: la prima riguarda la tipologia di opere in costruzione e il secondo il loro impatto ambientale. Di 94 opere, solo 30 sono funzionali ed essenziali per lo svolgimento delle gare olimpiche. Le altre sono soprattutto infrastrutture: 28 opere servono a rafforzare le arterie autostradali mentre 12 il trasporto pubblico. Significa che «la spesa destinata alla realizzazione delle sole opere di legacy stradali/ferroviari è di 5,6 volte maggiore di quella destinata alle opere essenziali per l’evento olimpico».
C’è poi il tema dell’impatto ambientale. «I dati evidenziano come la maggior parte delle opere non sia stata sottoposta alle valutazioni ambientali, di fatto largamente bypassate grazie ai commissariamenti straordinari (in contrasto con quanto previsto dal dossier iniziale)», si legge nel secondo rapporto di Open Olympics. Ma non solo: al momento non conosciamo neanche l’impronta di CO2 delle singole opere e dei Giochi invernali nel loro insieme. Un dato mancante che Simico Spa ha promesso di inserire presto nel portale dedicato.