Nonna Roma, un esempio di economia di giustizia

Nonna Roma dal 2017 è una rete mutualistica che aiuta migliaia di persone in difficoltà. Un progetto di solidarietà attiva

© Marco Mastrandrea

Questa storia nasce in una stanzetta di pochi metri quadri in un circolo Arci della zona Est di Roma. E continua, dopo più di sei anni, con sette sedi territoriali di distribuzione alimentare nei diversi municipi della Capitale, quattro empori solidali, una casa di accoglienza per persone senza fissa dimora, un ambulatorio e una squadra di calcio popolari.

È la storia di cinque persone che si ritrovano nel 2017. E poi iniziano a moltiplicarsi: nel 2019 erano diventate circa 50 e adesso raggiungono quota 400. Volontarie e volontari che dedicano il proprio tempo al supporto per chi ha di meno, alla solidarietà attiva. Spesso si tratta di persone che quell’aiuto lo hanno ricevuto a propria volta, lo ricevono ancora e, per questo, sono a disposizione per darne. Hanno dato vita a una rete mutualistica che ormai coinvolge tutta la Capitale. Raccolgono e distribuiscono cibo, materiale scolastico, device per la didattica e il lavoro da remoto e tutto quanto possa essere utile alle fasce più svantaggiate della popolazione. Le loro attività non si fermano qui: tengono corsi di italiano per persone straniere, doposcuola popolari, sportelli di consulenza legale e orientamento burocratico…

Questa è la storia di una Nonna: l’ultimo baluardo di welfare naturale nel nostro Paese. Una nonna magari un po’ burbera, che però non dice mai di no: c’è sempre un posto in più a tavola per la fidanzata, il fidanzato, l’amico, l’amica che si intrufola. Una figura sempre pronta ad accoglierti quando hai bisogno di sentirti a casa. Che si prende cura di te senza troppe domande, se non con un classico: «Fijo mio come te sei ridotto! Ma non magni bello de nonna?».

La povertà alimentare in Italia e a Roma

Secondo l’ultimo report sulla povertà alimentare di ActionAid, nel nostro Paese ci sono sei milioni di persone che hanno difficoltà nell’accesso al cibo. Si tratta del 12% dei residenti, il che ci indica già che il dato è parziale e non tiene conto di importanti percentuali di sommerso. I numeri si riferiscono al 2021, e fotografano lo stato di deprivazione alimentare del biennio 2019-2021, mostrandoci l’immagine di ampie fasce della popolazione cui risulta impossibile fare un pasto completo (con proteine o equivalenti vegetariani) almeno ogni due giorni. O uscire a mangiare o bere qualcosa almeno una volta al mese. Sono disoccupati (28,3%), inabili al lavoro (22,3%), persone con istruzione uguale o inferiore alla licenza media (17,4%), giovani (12,3%), adulti (12,7%), stranieri (23,1%), persone che vivono in affitto (22,6%) o risiedono nelle aree metropolitane (13,3%).

La pandemia ha agito su di loro come una lente di ingrandimento: ha amplificato tutte le fragilità strutturali già esistenti, ha stressato gli equilibri precari su cui si basavano le loro vite. Anche chi riusciva ancora a rispondere alle necessità alimentari, tirava la cinghia e tagliava da altre parti. Nel 2021 3 persone su 10, in Italia, hanno ridotto le spese per visite mediche o accertamenti.

Il Fondo di Aiuti Europei agli Indigenti

Tra il 2019 e il 2021 il numero di persone che riceve aiuti dal Fondo di Aiuti Europei agli Indigenti (FEAD) è passato da 2,1 milioni a quasi 3 milioni. Tuttavia, spiega ActionAid, «utilizzare questo numero come indicatore per determinare quanti soffrano la povertà alimentare non è corretto perché esistono ostacoli significativi, come lo stigma associato alla povertà, che impediscono alle famiglie in difficoltà economica di accedere all’assistenza fornita dagli Enti del Terzo Settore».

Questo dato riguarda anche Roma, dove, racconta Davide Marino dell’Osservatorio su povertà e insicurezza alimentare del Comune, il 6,5% della popolazione vive condizioni di insicurezza alimentare e almeno il 4% riceve aiuti sotto forma di pacchi alimentari. «Roma è la città più popolosa d’Italia, parliamo di poco meno di 3 milioni di abitanti: quindi dare queste percentuali significa parlare di circa 180mila persone. Tanto per avere un’idea, è come se un’intera città delle dimensioni di Perugia o Pescara soffrisse la fame».

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© Marco Mastrandrea

«Bello di Nonna, hai mangiato?»

Nel 2017 il Municipio 5 di Roma era il secondo più povero della città, ma anche la sede di un’associazione e un circolo Arci, Sparwasser, animato da un gruppo di volontari trentenni, quasi tutti fuori sede, che a Roma avevano deciso di stabilire le proprie vite. Proprio nei locali di quel circolo, a via del Pigneto 215, nasce l’idea di un progetto che parlasse alle fasce di popolazione in difficoltà del quartiere.

«Innanzitutto un banco alimentare», racconta Andrea Simone, uno dei fondatori di Nonna Roma, «un’associazione che attraverso il cibo incontrasse persone, per costruire intorno a loro un progetto di inserimento lavorativo, di orientamento, ma anche di riattivazione rispetto alle dinamiche che le avevano portate a vivere una condizione di marginalità». Alberto Campailla, presidente dell’associazione, racconta che i primi passi sono stati soprattutto di studio: «Non sapevamo come si faceva, chi facesse già questa cosa e come organizzarla».

I primi passi di Nonna Roma: costruire alleanze

Le prime fasi sono state di costruzione di alleanze: dalla Cgil all’Arci Roma, dai servizi sociali del Comune al Banco Alimentare. In attesa dei tempi tecnici per la convenzione per ottenere gli aiuti comunitari, è iniziato il lavoro di raccolta di generi alimentari presso i supermercati e la distribuzione, a supporto delle prime cinquanta famiglie segnalate dall’amministrazione.

L’intenzione di aprire un banco alimentare era supportata dal proposito di non trasformarsi in una realtà meramente assistenziale. «Fino ad allora», spiega Alberto, «il cibo alle persone povere lo distribuivano solo le organizzazioni confessionali, in particolare cattoliche. Sembrava un po’ strano che un’associazione laica, di sinistra, lo facesse».

«Ci siamo dati come obiettivo di tenere insieme l’azione sociale diretta, l’assistenza per cibo, materiale scolastico, politiche abitative e tutti i servizi che negli anni abbiamo messo in campo, con sostanziali rivendicazioni: il diritto alla casa, il diritto al reddito alimentare, quello al reddito di cittadinanza e una serie di questioni che ci hanno dimostrato che non potevamo fermarci al cibo. Ci serviva una risposta a 360° per tutte le questioni che hanno a che fare con la dimensione della povertà e delle disuguaglianze in questa città».

«Noi siamo di supporto all’amministrazione e ne riceviamo altrettanto», continua Andrea, «ma dobbiamo sempre avere un margine d’autonomia per poterla contestare. Non vogliamo essere un supplente della pubblica amministrazione, né siamo i contestatori tout court, ma la carica conflittuale è un elemento centrale nella nostra associazione, che nasce da una critica al sistema, non rivolta a una forza politica in particolare ma a come funzionano le pubbliche amministrazioni, le diramazioni territoriali, la nostra società».

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2018-2020: gli anni della costruzione

Nel 2017 cominciano le distribuzioni mensili. A gennaio 2018 nascono i primi servizi aggiuntivi. Primo tra tutti, uno sportello sociale di ascolto e presa in carico degli utenti che, al momento della consegna del pacco, ne registrasse la storia, le necessità e i problemi: dalla casa popolare al permesso di soggiorno, dall’orientamento al lavoro a quello sanitario, le pensioni, l’accesso al welfare.

Con le attività cresce anche il numero di volontari e di sedi territoriali: associazioni grandi e piccole contattano il nucleo centrale per replicare il modello nel proprio municipio, Nonna Roma diventa un’associazione cittadina. Nascono i progetti educativi: “Matita sospesa”, che garantisce corredo scolastico a centinaia di bambine e bambini e “Fuoriclasse”, il progetto di doposcuola e scuola di italiano per persone migranti. A questi si aggiungerà nel 2020 “Device for All”, la raccolta e distribuzione di materiale per la didattica a distanza e il lavoro da remoto.

Il punto, però, non è mai soltanto il supporto materiale. «La povertà ha una natura multidimensionale, incide anche sulla solitudine. A questa si risponde rimettendo insieme le persone, costruendo momenti di socialità». Arrivano le tombolate, la distribuzione delle calze della Befana, la sfilata di carnevale, fino al cinema all’aperto che, nell’estate del 2018, regalerà una rassegna di cinque giorni alla cittadinanza di Largo Agosta, un’area periferica del Municipio.

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Il Covid ha fatto deflagrare qualunque dato

Il numero di persone volontarie continua a salire, ma quando arriva il Covid fa deflagrare qualunque dato. Allo scattare del lockdown, in un clima di incertezza generale, l’unico imperativo era non fermarsi. Molte più persone avrebbero avuto bisogno di supporto. Si acquistano mascherine, igienizzanti, guanti, e si organizza la prima distribuzione a domicilio, che copre 500 nuclei familiari in tutta la Capitale. Dove nel frattempo la povertà è esplosa.

«Chiudono tutte le attività e da subito c’è il problema di migliaia di persone che lavoravano in nero, che non avrebbero percepito più stipendio. Milioni di persone vanno in cassa integrazione ma la ricevono dopo mesi. La nostra associazione viene subissata di richieste di persone di tutti i tipi: studenti e studentesse, partite IVA, anche persone con un alto livello di scolarizzazione, giovani avvocati, lavoratori, operai…».

I soldi degli ammortizzatori sociali non arrivavano, le richieste continuavano ad aumentare e i mezzi dell’associazione cominciavano a diventare insufficienti. Parte una campagna pubblica di raccolta fondi su Facebook che incassa tra i 700 e i 1.000 euro al giorno. Donazioni utilizzate per comprare cibo, integrando le riserve fornite da Banco Alimentare e raccolte nei supermercati. Molti circoli Arci e sedi di altre organizzazioni si trasformano in punti di raccolta e distribuzione di pacchi verso le periferie più remote di Roma.

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«Eravamo stanchi di essere gli unici ad aiutare le persone»

Gli sportelli sociali operano da remoto e aiutano la popolazione a richiedere di diversi bonus e i buoni spesa. Le attività educative si spostano online, dove nasce anche un servizio di babysitting per famiglie in smartworking. Dalla collaborazione con Sparwasser arriva “Però parliamone”, lo sportello di ascolto psicologico.

La rete di volontariato si estende, il numero di beneficiari anche, mentre le istituzioni sono sempre più in affanno e i buoni spesa del Comune di Roma non arrivano. Si organizza una protesta in Campidoglio: decine di volontarie e volontari brandiscono cassette vuote.

Dopo il Covid Nonna Roma si è trasformata

Passato il Covid, l’associazione è trasformata nei numeri e nella portata di azione. Cambia la sede, che si sposta in una ex scuola messa a disposizione dal Comune.

A gennaio 2021 l’emergenza freddo a Roma causa la morte di dieci persone che vivono in strada. Ancora una volta l’associazione si ferma e si interroga sul da farsi. Nasce Qui c’è posto, il progetto che riadatta i locali del Circolo Arci Sparwasser – chiusi a causa delle restrizioni per il Covid – trasformandoli in un ricovero notturno in grado di ospitare sette persone con un operatore. A queste viene garantito un pasto caldo per la sera, la colazione e un pranzo al sacco, tutto preparato da più di 200 volontari che, chiamati pubblicamente, hanno risposto all’appello. Il progetto è sostenuto da un’enorme campagna di donazioni. Alla fine dei due mesi di attività, nessuna delle persone ospitate torna in strada. Quelle che erano in grado di lavorare, hanno trovato un’occupazione.

Dopo l’esperienza di Qui c’è posto nasce Casa Ayedi, un ricovero in grado di ospitare fino a 17 persone e intitolato a un senza dimora morto di freddo, per strada. Nell’ottobre di quest’anno il ricovero è divenuto una casa vera e propria, aperto 24 ore al giorno per i propri ospiti.

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© Marco Mastrandrea

Nasce il Nonna Roma Social Market

Anche l’assistenza alimentare cambia volto. Grazie a una serie di progetti finanziati da alcune fondazioni e dalle donazioni della cittadinanza nascono i Nonna Roma Social Market (oggi sono 4, distribuiti in diverse aree della città), empori alimentari in cui non viene consegnato alcun pacco ma ciascuno può fare la spesa. A ogni presa in carico viene calcolato un punteggio, assegnato in base al reddito, alla composizione familiare, a eventuali particolari necessità alimentari e diversi altri fattori. Con quei punti, rinnovati mensilmente, è possibile scegliere quali prodotti prendere, perché tutte e tutti dovrebbero avere il diritto a scegliere cosa mangiare, a prescindere dalle proprie condizioni sociali.

La collaborazione con diverse associazioni ha portato a un’estensione geografica e di ambito delle attività di Nonna Roma: nasce così l’A.S.D. Bastogi, una squadra di calcio popolare che fa inclusione in un’area della città particolarmente problematica, dove qualche mese fa è stato inaugurato il primo ambulatorio popolare per la cittadinanza.

Un esempio di economia di giustizia

Il bando 2022-2023 del premio Graziano Zoni chiedeva di raccontare storie di economie di giustizia. Appena letto il tema, insieme al collega freelance Marco Mastrandrea non abbiamo avuto dubbi su quale storia volevamo raccontare.

Il perché lo spiegano bene Alberto Campailla e Andrea Simone, nelle interviste condotte per il documentario in realizzazione in questi mesi.

Andrea: «Nonna Roma è un esempio di economia di giustizia perché parte dalla constatazione che la distribuzione della ricchezza è profondamente ineguale e si batte perché lo Stato e il welfare siano più equi e più capillari. Nel farlo, però, mette al centro un’economia di gratuità, che supera il sillogismo per cui a un bene essenziale va corrisposto un corrispettivo finanziario. Chi esprime un bisogno primario, ha il diritto di poterlo ricevere in un sistema di gratuità».

Alberto: «Quando abbiamo iniziato ci siamo detti di voler strutturare un progetto in cui non ci fossero volontari ad aiutare qualcun altro, ma una rete, a disposizione di chi vive sotto la soglia della povertà, di coloro che vogliono riscattare la propria vita e la propria condizione. Con questo spirito che negli anni ci siamo mossi, questo è il senso del mutualismo: fare insieme, in comune. Se oggi andate nei nostri empori, alle nostre attività, non vedrete solo persone che magari un lavoro già ce l’hanno e che fanno questa cosa come hobby. Vi troverete anche tantissime persone che hanno un passato diverso, più complicato, che hanno vissuto mesi di difficoltà economica, che magari sono uscite dal carcere o che vengono da esperienze più complesse. La nostra associazione è un luogo che vuole tenere insieme chi ha bisogno e chi vuole aiutare».


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