Nucleare, l’Agenzia francese per l’ambiente: nuovi reattori costosi e dannosi

Uno studio dell'Ademe condanna i nuovi reattori nucleari EPR: «L'opzione meno cara sono le rinnovabili e conviene chiudere anche i reattori già esistenti»

Il cantiere nella centrale nucleare di Flamanville, in Francia © Schoella/Wikimedia Commons

La Francia non ha interesse a lanciarsi nella costruzione di nuovi reattori EPR di ultima generazione. Ciò perché, da un lato, investire sulla filiera del nucleare rallenterebbe lo sviluppo delle energie rinnovabili. Dall’altro, perché farebbe aumentare il costo medio di produzione dell’energia elettrica. E dunque anche le bollette pagate dai cittadini.

I cantieri infiniti dei reattori di Olkiluoto e Flamanville

Ad affermarlo non è un’associazione ambientalista ma l’Agenzia per l’ambiente e la gestione dell’energia (Ademe), in un rapporto pubblicato nello scorso mese di dicembre. Lo studio, intitolato “Traiettoria di evoluzione del mix energetico 2020-2060”, condanna senza appello dunque tale tipologia di reattori. Che hanno già dimostrato di essere particolarmente cari.

Il caso di Olkiluoto, in Finlandia, è il più eclatante. Qui il colosso del nucleare francese Areva (oggi ribattezzata Orano) costruisce dal 2005 un reattore la cui entrata in funzione era stata prevista inizialmente per il 2009. Innumerevoli problemi hanno portato invece ad un decennio di ritardo. La struttura non è ancora entrata in funzione e le perdite già ammesse da Orano sono ben superiori al prezzo di vendita del reattore.

Rinnovabili al 95% del mix energetico nel 2060

Anche a Flamanville, sulle coste della Normandia, i ritardi (e le polemiche) si sono moltiplicati. Suscitando un dibattito sull’opportunità di insistere su questo tipo di tecnologia. Sapendo tra l’altro, come specificato dalla stessa Ademe, che «per il futuro si prevede un calo delle bollette per i consumatori francesi. Ciò grazie ad un forte sviluppo delle rinnovabili. Che dovrebbero arrivare all’85% del mix energetico nel 2050 e a più del 95% nel 2060. Sulla base di una previsione di domanda compresa tra 430 e 600 TWh.

Investire in una nuova filiera nucleare costerebbe 39 miliardi

A condizione, appunto, di puntare sulle fonti pulite. L’avvio di un solo reattore EPR nel 2030 imporrebbe infatti alle casse pubbliche un costo compreso tra 4 e 6 miliardi di euro. Secondo il rapporto, poi, la creazione di una filiera industriale nucleare capace di portare ad una produzione di 24 GWh entro il 2060 sarebbe di 39 miliardi.

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«Il progetto dell’EPR – commenta Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia – è sostanzialmente un clamoroso e storico fallimento. Tanto più eclatante perché è alla base della decisione del governo francese di iniziare una (troppo lenta) fuoriuscita dal nucleare. Oltre a presentare costi esorbitanti (quelli previsti al momento e basati sulle spese di costruzione non ancora ultimata, a consuntivo potrebbe andare anche peggio) si tratta di una tecnologia che comunque è destinata a essere abbandonata. Infatti, entrando nell’era delle rinnovabili, i cui costi sono invece in continua discesa, gli impianti nucleari saranno sempre più “fuori posto”. Soprattutto in una rete elettrica dominata da sorgenti variabili e intermittenti come solare ed eolico».

Le cifre che occorrerebbe spendere per puntare in Francia sul nucleare sono dunque stratosferiche. Ma non è tutto: lo stesso studio propone anche di chiudere progressivamente i reattori esistenti. Facendo scendere il nucleare al 50% del mix entro il 2035, rispetto all’attuale 75%. Puntare sulle rinnovabili, infatti, «rappresenta l’opzione meno cara possibile per i francesi». «Abbiamo tenuto conto di tutte le ipotesi affinché le nostre conclusioni non siano contestabili», ha sottolineato il direttore generale dell’Ademe, Fabrice Boissier, nel corso di una conferenza stampa di presentazione del rapporto.