Nucleare e gas: per la Commissione europea sono “verdi”, ma la partita è aperta
Bruxelles ha proposto di includere nucleare e gas nella tassonomia delle attività sostenibili. In Europa si profilano mesi di battaglia
La proposta della Commissione è arrivata ai Paesi membri il 31 dicembre, poco prima della mezzanotte. L’organismo esecutivo di Bruxelles, dopo mesi e mesi di negoziati, ha inserito il nucleare e il gas nell’elenco delle attività economiche considerate “sostenibili”. Ovvero nella tassonomia europea che dovrebbe aiutare a tutelare l’ambiente e a lottare contro i cambiamenti climatici.
Nucleare e clima, i giganteschi problemi legati a costi e tempi
L’obiettivo della “lista” che dovrà essere approvata dall’Unione europea è infatti di orientare gli investimenti privati e pubblici verso attività a basso impatto in termini di emissioni di gas ad effetto serra. A condizione però che le attività in questione non risultino dannose per gli altri obiettivi fissati. Difesa della biodiversità, economia circolare, protezione degli oceani o ancora limitazione dei tassi di inquinamento. Ciò sulla base del principio di innocuità (do no significant harm principle).
Le discussioni su nucleare e gas nascono anche da qui. Il primo, infatti, secondo numerose associazioni ambientaliste e decisori politici non può essere considerato utile per la lotta contro il riscaldamento globale. Principalmente per due ragioni. La prima è legata agli enormi costi per la costruzione dei reattori e delle centrali che li ospitano. La seconda, ancor più importante, è relativa ai tempi: in Finlandia è stato da poco avviato il primo reattore EPR di concezione francese con un ritardo immenso, ampiamente superiore al decennio. E con costi che hanno superato lo stesso prezzo di vendita per il costruttore. Inoltre, nel documento della Commissione si indica che i nuovi progetti di centrali dovranno ottenere un via libera entro il lontanissimo 2045.
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La scienza, al contrario, ha spiegato chiaramente che occorre abbattere in modo drastico le emissioni di gas ad effetto serra. Ma anche che occorre farlo immediatamente. Ciò se si vorrà centrare l’obiettivo principale dell’Accordo di Parigi, ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, entro la fine secolo, rispetto ai livelli pre-industriali.
La Francia difende l’atomo, anche per far quadrare i conti di EDF
A ciò si aggiungono poi i rischi legati agli incidenti, che neppure i più ferventi sostenitori del nucleare possono considerare inesistenti. Per non parlare del problema del trattamento delle scorie, che neppure una nazione come la Francia, che da decenni basa il grosso della propria produzione di energia proprio sull’atomo, è ancora riuscita a risolvere. Alla fine del 2020, in Europa (Russia e Slovacchia escluse) erano 60mila le tonnellate di combustibile per le quali non era ancora stato indicata una proposta definitiva per lo stoccaggio. E che attendono in gran parte nelle piscine di raffreddamento.
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Proprio Parigi, tuttavia, ha sostanzialmente imposto – assieme ad altre nazioni – l’inclusione del nucleare nella tassonomia. Nonostante la decisa opposizione di altre nazioni, a partire dall’Austria. Vienna che ha perfino minacciato di trascinare in tribunale le istituzioni europee se la scelta dovesse davvero essere questa. La ragione del pressing francese è evidente: la società elettrica a partecipazione pubblica EDF, già particolarmente indebitata, deve investire 100 miliardi di euro entro il 2030 per prolungare la vita di alcune centrali transalpine. E per i progetti di nuovi reattori prevede costi compresi tra 52 e 64 miliardi.
Il gas è meno dannoso di petrolio e carbone, ma non ci salverà
Valori stimati, appunto, che potrebbero facilmente esplodere, come accade ad esempio all’EPR in costruzione a Flamanville, sulla Manica. Per il reattore transalpino, nel 2019, il costo è stato fissato ad almeno 12,4 miliardi di euro. Quando il cantiere partì, nel 2007, si disse che sarebbe costato al massimo 3,5 miliardi. E che sarebbe stato inaugurato entro il 2012. L’impianto non partirà invece prima del 2023 (se tutto va bene).
Il documento proposto dalla Commissione, di una sessantina di pagine, include inoltre il gas, considerato dunque da Bruxelles un’energia utile per la transizione verso le rinnovabili. Ma benché si tratti – rispetto a petrolio e carbone – della fonte fossile meno dannosa per il clima, anche in questo caso numerosi studi hanno spiegato che non possiamo permetterci di utilizzare neppure quella.
La tassonomia europea scuote il neonato governo della Germania
Fin qui lo stato dell’arte. Ma cosa ne sarà della proposta di Bruxelles? Difficile fare previsioni. La posizione della Germania, in particolare, appare “complessa”. Ufficialmente, Berlino è contraria ad includere il nucleare nella tassonomia. Il ministro dell’Economia e del Clima Robert Habeck (socialdemocratico) e la ministra dell’Ambiente Steffi Lemke (ecologista) hanno parlato di «inaccettabile greenwashing» commentando la bozza. Esattamente come fatto dall’associazione Greenpeace. Al contempo, però, il portavoce del governo Steffen Hebestreit ha utilizzato parole meno dure, pur confermando la «chiara opposizione» del governo tedesco ad un fonte di energia giudicata «pericolosa».
Dell’esecutivo tedesco, però, non fanno parte solo Spd e Verdi. A sostenerlo sono anche i liberali, il cui ministro delle Finanze Christian Lindner ha manifestato il proprio sostegno a Bruxelles (soprattutto, in verità, per quanto riguarda il gas). Inoltre, ad incrementare i distinguo è stato lo stesso Hebestreit, che ha sottolineato come la Germania non voglia sostenere eventuali azioni legali contro l’Ue.
Da Grecia, Lussemburgo, Danimarca, Austria, Portogallo e Spagna no al nucleare
I negoziati all’interno della coalizione di governo tedesca, insomma, appaiono difficili. Il documento sarà esaminato dalla Cancelleria, e dai ministri di Economia e Ambiente, nei prossimi giorni. Il deputato verde Stefan Wenzel ha ammonito: «La classificazione di nucleare e gas come sostenibili è sbagliata, sia dal punto di vista ecologico che economico. L’Europa sta perdendo molto tempo attorno alla tassonomia. Ma alla fine sarà la tecnologia più economica e sostenibile ad imporsi: quella delle fonti rinnovabili».
Al contempo, il gruppo dei Verdi presso il Parlamento europeo ha fatto sapere di voler sostenere un’eventuale azione austriaca in tribunale contro la Commissione. Inoltre, il Belgio ha annunciato la cessazione della produzione nucleare a partire dal 2025. Mentre nazioni come Grecia, Lussemburgo, Austria, Danimarca, Portogallo e Spagna sembrano orientate verso il «no». Madrid, in particolare, ha affermato in una nota che «nucleare e gas non possono essere considerate tecnologie verdi. Si tratta di un segnale sbagliato».
La posizione “aperta” dell’Italia di Draghi e Cingolani
Per quanto riguarda invece l’Italia, la posizione sulla questione è ben più aperta: il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha più volte spiegato di non essere contrario all’atomo. E benché il nostro Paese (Lega di Salvini e pochi altri a parte) non sembri sognare un ritorno al nucleare, il presidente del Consiglio Mario Draghi vuole sostenere la proposta sulla tassonomia, soprattutto per difendere il gas. Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta si è tuttavia schierato apertamente contro la bozza: «L’inclusione del nucleare è radicalmente sbagliata. E il gas non è il futuro».
In ogni caso, il documento di Bruxelles resta per ora una mera proposta. Occorrerà attendere le valutazioni degli Stati membri, che hanno tempo fino al 12 gennaio per formulare eventuale richieste di modifiche. Successivamente, la Commissione dovrebbe adottare un atto delegato formale entro la fine del mese. Ma poi il testo sarà trasmesso ai co-legislatori comunitari: il Parlamento e il Consiglio europeo. Un processo che dovrebbe durare ancora tra i quattro e i sei mesi. Forse anche di più. E non è certo neppure che, alla fine, si possa trovare un compromesso accettato da tutti.