Molte emissioni, poche certezze: i numeri dell’idrogeno
L'idrogeno verde è per molti una speranza futura. Ma sul suo presente permangono dubbi e limiti: i numeri in un report francese
Secondo gran parte della comunità scientifica l’idrogeno è un’elemento essenziale per il futuro della transizione energetica. I report dell’Ipcc, l’organo scientifico delle Nazioni Unite specializzato in studi sui cambiamenti climatici e quelli dell’Iea, l’ente dell’Ocse dedicato all’energia, lo includono nei loro scenari per un futuro a basse emissioni. Ma il presente dell’idrogeno è ancora molto limitato. E i problemi da risolvere molti. Lo racconta da ultimo un dossier della testata francese Novethic e di Caisse des Dépôts (Cd).
L’idrogeno: cos’è e a cosa serve
L’idrogeno è il primo elemento della tavola periodica: è il più semplice, il più leggero e il più abbondante nell’universo. L’umanità ha iniziato ad utilizzarlo nell’800 con l’arrivo dei dirigibili: i palloni che permettevano ai mezzi di volare erano spesso riempiti con idrogeno. L’era dei dirigibili è però terminata velocemente. Anche per via dell’infiammabilità dell’elemento, che portò ad incidenti celebri come quello dell’Hindenburg
Così oggi l’idrogeno è usato per altri scopi. Ne fa ricorso l’industria chimica, che se ne serve come reagente. E recentemente si è iniziato ad usarlo come combustibile. La molecola d’idrogeno, messa a contatto con l’ossigeno, produce energia, e ha come unico prodotto di scarto l’acqua. E non la CO2, responsabile del riscaldamento globale. Né altri inquinanti locali tipici della combustione dei combustibili fossili e prodotti derivati.
È a quest’ultimo uso che pensano gli scienziati dell’Ipcc e dell’Iea quando immaginano un ruolo dell’idrogeno nella transizione energetica. Ma con un’importante postilla: l’idrogeno non si trova in natura, e per questo va prodotto a partire da altre sostanze.
I benefici dell’idrogeno dipendono dalla sua produzione
La produzione dell’idrogeno richiede energia: per questo non è considerato una fonte energetica, ma un vettore. Di fatto, l’idrogeno permette di accumulare e poi usare energia prodotta con altre fonti e impiegata per la sua produzione. Da qui i limiti di questa tecnologia.
L’unico idrogeno a basse emissioni – e quindi utile in ottica di transizione ecologica – è quello cosiddetto verde. Prodotto cioè a partire da un processo di elettrolisi alimentato con energie rinnovabili. Anche quello viola, prodotto cioè a partire da energia nucleare, è a basse emissioni. Ma incontra altre difficoltà tipiche di questa fonte. L’idrogeno prodotto a partire da gas, carbone e petrolio ha invece emissioni importanti. Anzi, aggiungendo un passaggio alla semplice combustione della risorsa fossile è anche meno efficiente.
Su quali ambiti possano beneficiare in futuro dell’idrogeno c’è ancora dibattito. Appare quasi certo che l’idrogeno verde avrà un’utilità per l’accumulo di energia e per i settori cosiddetti hard-to-abate, cioè i campi industriali difficili da decarbonizzare. Più scetticismo, invece, permane sulla mobilità di terra, come macchine, camion, treni. Per ora l’elettrico appare come un’alternativa migliore per gran parte degli studi e delle istituzioni che si occupano del tema.
Alte emissioni, basse prospettive e usi incerti
In questo dibattito si inserisce il report di Caisse des Dépôts, l’equivalente francese della nostra Cassa Depositi e Prestiti, e della sua testata Novethic. Secondo il dossier, solo l’1% della produzione globale di idrogeno è a basse emissioni. Il resto è tutto idrogeno sporco. Non utile in quanto a riduzione delle emissioni climalteranti. E non è detto che le cose cambino presto. Secondo l’ultimo rapporto dell’Iea, citato da Novethic, la produzione di idrogeno a basse emissioni non sta crescendo in proporzione a quello di origine fossile.
Non solo. La quasi totalità dell’idrogeno, il 99,9%, è usato come materia prima o reagente. Paradossalmente, un grande utilizzatore è l’industria petrolifera, che se ne serve nei processi di raffinazione del greggio. Tutti gli altri usi – quelli in teoria interessanti in termini ecologici, come carburante e accumulo di energia elettrica – sono appena lo 0,1% del totale.
Il rapporto punta il dito anche contro l’ottimismo di alcune previsioni passate. Il 4% dei progetti relativi all’idrogeno a basse emissioni dell’Europa occidentale previsti per il 2030 dovevano già essere pronti per il 2024. A livello di elettrolizzatori – gli impianti che ricavano idrogeno dall’acqua – solo 12 dei 360 GW di progetti di investimento previsti per il 2030 sono attualmente approvati o in costruzione.
«L’idrogeno ha senso solo se prodotto da rinnovabili»
«Che si tratti di nuovi utilizzi (carburante “pulito” nei trasporti, riscaldamento degli edifici, stoccaggio dell’elettricità) o degli usi tradizionali (componente chimica nell’agroindustria o nella petrolchimica), l’idrogeno sarebbe una soluzione miracolosa… se solo potesse essere prodotto da fonti rinnovabili», scrivono i ricercatori.
«Di fronte a questo entusiasmo, non ci è voluto molto perché gli esperti ricordassero che la quasi totalità dell’idrogeno prodotto nel mondo deriva da combustibili fossili (gas naturale, carbone e petrolio). E che questo gas è già utilizzato dall’industria in quantità molto elevate. Al punto che la produzione di idrogeno oggi genera tante emissioni di CO2 quanto il settore dell’aviazione (2-3% delle emissioni globali). In un contesto di riduzione dell’inflazione e di “quote verdi” imposte da Bruxelles per il consumo di idrogeno, dobbiamo continuare a credere nel miracolo?», conclude il report.