Aiuti alle imprese: Oxfam chiede di escludere chi opera in paradisi fiscali
L'Ong alle forze politiche: l'elusione fiscale costa all'Italia 6,35 miliardi di dollari all'anno. Niente aiuti per la ripresa dal coronavirus alle imprese che vi contribuiscano
Attenuare la caduta libera dell’attività economica, provocata dall’emergenza epidemiologica, è un compito che vede impegnati in queste settimane i governi di tutto il mondo. Il supporto alla liquidità delle imprese può assumere forme diverse: dai contributi pubblici a fondo perduto all’ingresso dello Stato nel capitale sociale. Fino alla concessione di garanzie su nuovi finanziamenti agli operatori economici da parte di banche, istituzioni finanziarie e altri soggetti abilitati all’esercizio del credito. Per Oxfam servono limiti precisi, anche in nome della giustizia fiscale. Lo ha chiesto al legislatore.
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Garanzie pubbliche per sostenere le imprese
Quella delle garanzie pubbliche è al momento la “strada maestra” che i governi europei stanno percorrendo secondo specifici criteri e condizioni previsti dal quadro temporaneo sugli aiuti di Stato, approvato dalla Commissione Europea (in deroga alla disciplina ordinaria). In Italia il supporto alle imprese residenti che hanno subito una perdita di fatturato a causa dello shock pandemico è incardinato nelle norme previste dal decreto legge “Liquidità”, attualmente in fase di conversione in Parlamento.
Il supporto dello Stato è concesso a determinate condizioni. I nuovi finanziamenti garantiti non devono essere usati per uscire da scoperti bancari o ristrutturare debiti pregressi. Devono invece essere destinati alla salvaguardia dei posti di lavoro e a investimenti o capitale, impiegati in stabilimenti produttivi o attività imprenditoriali localizzati in Italia. Lo Stato impegna inoltre le imprese beneficiarie a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali, rafforzando ulteriormente le temporanee tutele contro i licenziamenti collettivi previsti dal decreto “Cura Italia”.
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..ma niente dividendi
Un’importante condizionalità prevista dal decreto legge “Liquidità” obbliga un’impresa assistita, insieme a tutte le imprese che appartengono allo stesso gruppo, a non distribuire dividendi. E non riacquistare azioni proprie nel corso del 2020. La ratio di questo vincolo è più che condivisibile, perché impegna chi chiede un aiuto pubblico a non distogliere risorse a bilancio dal supporto, in un momento di grave difficoltà economica, della propria forza lavoro e dagli investimenti produttivi.
Il tema ha chiaramente risvolti più generali. Si pensi agli eccessi nelle remunerazioni degli azionisti sotto forma di laute cedole o a rivalutazioni patrimoniali a seguito di buyback azionari. Eventualità che contribuiscono all’incremento dell’instabilità occupazionale, a produttività anemica e costituiscono importanti driver per l’incremento della disuguaglianza di reddito e ricchezza.
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Oxfam chiede maggiori restrizioni e un occhio di riguardo per le PMI
Per Oxfam queste condizioni non bastano: nelle raccomandazioni condivise con le forze politiche, ha proposto un ulteriore rafforzamento, prevedendo che il dividend ban sia esteso anche alle riserve disponibili e che le imprese beneficiarie assumano l’impegno di adottare un approccio prudente e lungimirante alle politiche di remunerazione variabile del top-management.
Oxfam ha chiesto anche di estendere gli obblighi a tutto il 2021 per evitare che, già a gennaio dell’anno prossimo, utili accantonati possano essere distribuiti in seguito a deliberazioni delle assemblee straordinarie dei soci.
Va garantito, allo stesso tempo, che tale condizione non si applichi a società più piccole come le micro-imprese a conduzione familiare o le società di persone, in cui la “distribuzione del dividendo” corrisponde spesso alla modalità esclusiva di retribuzione del titolare o dei soci.
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Giustizia fiscale: escludere dagli aiuti chi opera in giurisdizioni non cooperative
Fin qui si è parlato delle condizionalità previste nel dispositivo originale del decreto “Liquidità”. Nuove proposte, relative al profilo di responsabilità fiscale d’impresa, sono state avanzate da organizzazioni impegnate sul fronte della promozione della giustizia fiscale, e sono all’esame oggi da parte di governi e parlamenti in Francia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Polonia, Austria e Belgio.
La domanda di fondo posta alle istituzioni è la seguente: è accettabile sostenere con risorse pubbliche gruppi multinazionali impegnati in una pianificazione fiscale aggressiva e in più o meno sofisticate pratiche elusive che causano considerevoli ammanchi per l’erario?
Per Oxfam tale domanda è pressoché retorica. Abbiamo pertanto suggerito alle forze politiche di introdurre un criterio di esclusione che preveda l’inammissibilità al beneficio della garanzia pubblica per imprese residenti che fanno parte di gruppi multinazionali con “presenza economica” in almeno uno dei 12 Paesi inseriti nella lista europea delle giurisdizioni non cooperative ai fini fiscali.
#COVID19– Contrasto alla concorrenza fiscale dannosa tra Paesi #Ue e porre un argine all'elusione fiscale societaria (che costa 6,3 mld all'anno per l'#Italia). Ne ha parlato ieri il nostro @MasloMisha a @sonoleventi di @petergomezblog sul @nove (min. 30) https://t.co/pbW4IqsT8K pic.twitter.com/g7KSSqivMz
— Oxfam Italia (@OxfamItalia) April 28, 2020
L’elusione fiscale costa all’Italia 6,35 miliardi
Il costo annuo dell’elusione internazionale per il fisco italiano, va ricordato, è stato quantificato, in modo conservativo, in 6,35 miliardi di dollari (dagli economisti T. R. Tørsløv, L. S. Wier e G. Zucman). L’87% degli utili d’impresa trasferiti artificialmente dall’Italia nel 2017 dai colossi corporate è “riapparso” in sei giurisdizioni europee: Belgio, Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi.
Nonostante i rilievi critici espressi in più di un’occasione da Oxfam nei confronti dei criteri di buona governance fiscale alla base della blacklist europea (che non comprende tra l’altro i Paesi membri dell’Ue), riteniamo che si tratti di uno strumento “a portata di mano”. E crediamo che non verrebbero sollevate obiezioni, come anticipato da Bloomberg Tax, da parte della Commissione Europea, che deve dare il suo assenso al decreto convertito.
Già oggi esiste, inoltre, un “raccordo normativo” tra la blacklist europea e il Fondo Europeo per lo Sviluppo Sostenibile, il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici e il framework legale relativo all’External Lending Mandate (ELM) della Banca Europea per gli Investimenti. I due fondi e l’ELM, salvo specifiche deroghe, non possono concedere finanziamenti o garanzie a società localizzate nelle giurisdizioni inserite nella blacklist europea.
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Chiedere alle multinazionali maggiore trasparenza fiscale
Se sul criterio di esclusione si possono immaginare “titubanze legislative” in sede di conversione del decreto, sarebbe poco comprensibile se le forze politiche non volessero “richiedere” alle multinazionali maggiore trasparenza fiscale, favorendo lo scrutinio pubblico e parlamentare sulla loro operatività e sul loro livello di contribuzione fiscale nei diversi Paesi in cui operano.
È davvero tanto scandaloso chiedere di essere messi in condizioni di poter esaminare potenziali casi di profit-shifting societario, analizzando eventuali disallineamenti “sospetti” tra attività economica condotta, forza lavoro impiegata, asset detenuti e utili o perdite registrati dalle entità di gruppo in ogni giurisdizione fiscale in cui sono presenti? Noi crediamo di no.
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Rendere pubblica la rendicontazione Paese per Paese
Suggeriamo, inoltre, al legislatore di condizionare la concessione delle garanzie alle imprese residenti che fanno parte di grandi gruppi multinazionali all’assunzione dell’impegno formale di rendere pubbliche, entro il 31 dicembre, le proprie rendicontazioni Paese per Paese (i country-by-country reports o “CBCR”, di cui Valori si è occupato in dettaglio) relative ad almeno il 2018 e il 2019.
Negli ultimi giorni abbiamo registrato importanti pronunciamenti pubblici da parte degli esponenti dei partiti della maggioranza sulla necessità di integrare le condizionalità previste nella prima stesura del decreto legge con quelle relative alla responsabilità fiscale. Le parole si tradurranno in concrete scelte legislative? Lo potremmo capire già a partire dal 5 maggio, termine ultimo per la presentazione degli emendamenti nelle Commissioni Finanze e Attività Produttive della Camera, sede referente per l’iter di conversione del decreto “Liquidità”. Traendo le dovute conclusioni.
* Mikhail Maslennikov è policy advisor di Oxfam Italia