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Nessuno resti indietro: come combattere le disuguaglianze in tempo di crisi

La recessione che il coronavirus sta producendo impone nuove soluzioni di welfare. Il Forum Disuguaglianze e Diversità: servono provvedimenti davvero universali e inclusivi

«Dobbiamo compiere ogni sforzo affinchè nessuno sia lasciato indietro». Un richiamo inequivocabile, quello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo ultimo discorso alla nazione. Un chiaro invito al governo Conte, chiamato a tamponare in tempo record, con il decreto «Cura Italia», ai profondi danni umani, sociali ed economici che la crisi da coronavirus sta già innescando.

«Bisogna usare ed estendere gli strumenti di protezione sociale già esistenti e rivolgerli non solo ai lavoratori tutelati da contratti e alle imprese ma a tutte le categorie sociali». L’appello lanciato dall’economista Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità e da Cristiano Gori, docente di Politica sociale all’Università di Trento, appare semplice quanto rivoluzionario.

Il Cura Italia inserisce gli autonomi ma lascia fuori i precari

Intanto, diverse delle proposte formulate dal Forum Disuguaglianze e Diversità sono state accolte nelle misure urgenti predisposte dal governo. «Per la prima volta nella storia del nostro Paese, l’ampliamento delle tutele al reddito, per esempio, si allarga ai lavoratori autonomi. Un passaggio significativo perché questo blocco sociale non ha mai avuto tutele contro la disoccupazione».

Tuttavia «i provvedimenti non sono ancora totalmente inclusivi, davvero universali» sottolineano Barca e Gori. «Non valgono ancora per tutti i lavoratori saltuari, irregolari, i dipendenti precari senza rinnovo di contratto. Tutti coloro, cioè, che non hanno una condizione di lavoro tracciabile, ma che sono stati i primi ad accusare il colpo della crisi». Ribadisce Fabrizio Barca: «questa crisi non deve creare nuove disuguaglianze e far crescere rabbia e risentimento nelle persone, deve accrescere, non ridurre la coesione sociale. Bisogna tutelare ogni persona a rischio, sia i garantiti, sia gli esclusi».

Una protezione sociale universale

Per questo sono necessarie al più presto risposte eque, cioè differenziate rispetto alle diverse esigenze, ribadisce Gori. «Il bonus di 600 euro indistinto, per tutti i lavoratori autonomi non è una risposta equa, andrebbe rimodulata. C’è chi non ne ha bisogno, mentre per altri sarebbe comunque insufficiente». Va poi verificata la sostenibilità attuativa, o meglio la messa in pratica immediata delle misure approvate, precisa Gori. «La semplicità è la prima strada per aiutare chi è in difficoltà. Anche per questo occorrerebbe partire da strumenti già attivi, come il reddito di cittadinanza e la cassa integrazione, anziché studiarne dei nuovi».

Ma questo non significa dimenticare di guardare al futuro. «Dobbiamo ricominciare oggi a costruire il welfare di domani». Per farlo, bisogna progettare migliori risposte ai cittadini, rispetto al passato, ricorda Barca. «In questi anni abbiamo creato masse enormi di lavoro precario. Non siamo stati gli unici nel mondo. Ma l’ultima grande crisi, quella del 2008, interveniva su un’altra economia, vi era maggiore stabilità». Mentre, ricorda Gori, «in questo momento, c’è un’accresciuta legittimazione dell’intervento pubblico. Sarebbe fatale rispondere riproponendo antichi difetti e lasciando privilegi solo ad alcuni blocchi sociali escludendone altri».

La mappa sociale dei lavoratori precari, dipendenti e autonomi

Per fare ciò, bisogna comprendere i cambiamenti sociali in atto, ormai da tempo, nel nostro Paese. Occuparsi da un lato di minori, inoccupati e pensionati. Dall’altro degli occupati, ma cogliendo, anche qui, i  diversi gradi di vulnerabilità. Occupati che si distribuiscono a vario modo nella forza lavoro e imprenditoriale del paese, che gli studiosi del Forum Disuguaglianze e Diversità hanno distinto in quattro categorie sociali. Per ognuna, occorre individuare gli strumenti di welfare esistenti più adatti, modificandoli ed espandendoli in modo da adattarli alla situazione emergenziale.

La prima categoria, quella rimasta scoperta dal decreto « Cura Italia», è costituita da coloro che hanno un lavoro saltuario e irregolare, oltre 4 milioni di persone, potrebbe essere raggiunta dall’espansione del reddito di cittadinanza.

Per la seconda, quella dei lavoratori dipendenti o autonomi di piccole e medie imprese, oltre 3 milioni di persone sarebbe necessario valutare sia l’adattamento di una «nuova assicurazione sociale per l’impiego» (NASpI) sia, di nuovo, «l’espansione» del reddito di cittadinanza. A questa fascia il governo ha proposto, in questo momento, o la cassa integrazione o il bonus da 600 euro. «Entrambi gli strumenti andrebbero applicati al lavoro dipendente precario, diretto o indiretto, di piccole, medie e grandi imprese resilienti. Su di esse l’efficacia della cassa integrazione è dubbia e controversa. Quest’ultimo strumento appare invece appropriato, insieme ad altri strumenti tradizionali, per il lavoro dipendente stabile o autonomo di piccole, medie e grandi imprese resilienti, fra gli 11 e i 12 milioni». Strumento che, infatti, il governo ha già recepito nel decreto «Cura Italia».

Crisi da pandemia. Come si affronta in Asia e Australia

Nel frattempo, per comprendere come le altre economie hanno risposto ai lockdown dovuti alle epidemie, bisogna guardare dall’altra parte del mondo. Dove, ricordano gli esperti del Forum Disuguaglianze e Diversità, molti Stati, specie in Asia e Australia, stanno valutando o hanno già adottato, in reazione all’emergenza, nuove misure di assistenza, Espandendo le prestazioni di welfare in «verticale», cioè dando di più a chi già le riceve. O in «orizzontale», ampliando il numero di persone o famiglie coperte dai programmi di welfare in essere.

In Cina è in corso un’espansione orizzontale del programma nazionale di assistenza sociale (DIBAO) nell’intero paese, con la semplificazione delle procedure di accesso e l’eliminazione di alcuni requisiti. Nelle zone più colpite è in atto invece un’espansione verticale. L’Indonesia ha istituito il «food-voucher» per 15,2 milioni di beneficiari. Il più grande programma di assistenza nazionale, con incremento di una somma mensile per una durata di sei mesi. Mentre in Malesia, il programma Bantuan Sara Hidup (BSH) è stato allargato verticalmente e anticipato di due mesi nel pagamento per i 3,9 milioni di beneficiari.

In Australia, sono stati ampliati in verticale i programmi di assistenza sociale con l’erogazione di 750 dollari per i circa 6,5 milioni di riceventi. Mentre a Hong Kong è in gestazione una misura di «Universal Basic Income» temporaneo, cioè un’espansione orizzontale che parte dai sistemi esistenti,  di 1200 dollari per ciascuno dei circa 7 milioni di cittadini.

La salute viene prima dell’economia. Ma tra i malati c’è l’economia

L’invito di Fabrizio Barca è quello di non dimenticare il ruolo fondamentale della società civile organizzata che nel nostro Paese può fare la differenza nel favorire  la giustizia sociale. Esattamente un anno fa, oltre 100 economisti, studiosi e attivisti avevano lanciato un manifesto in 15 punti per ridurre la povertà e disparità sociali. Proposte attuali più che mai, proprio perché pensate per incidere sui tre principali meccanismi che determinano la formazione e la distribuzione della ricchezza: il controllo della conoscenza, la relazione fra lavoratori e lavoratrici e chi controlla le imprese, il passaggio generazionale della ricchezza stessa.

Un esempio concreto, in queste ore tragiche, di impegno della società civile arriva da Cittadinanzattiva che ha chiesto di rafforzare l’assistenza socio-sanitaria e domiciliare per malati cronici e rari, immunodepressi, acuti non ospedalizzati e alla persone disabili con il finanziamento di piani straordinari triennali regionali. Abbandonati, eppure, potenzialmente più esposti all’epidemia. «Siamo con loro» conclude Fabrizio Barca. «La salute viene prima dell’economia e l’economia con cui ci ritroveremo sarà malata. Occorre agire ora».

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