Pacchetto Omnibus, a che punto siamo? Le decisioni prese e i nodi da sciogliere
Continua l'iter del pacchetto Omnibus. E su rendicontazione di sostenibilità e due diligence non è ancora detta l’ultima parola
Quando il 26 febbraio la Commissione europea ha presentato il primo pacchetto Omnibus, a un primo sguardo poteva sembrare un colpo di spugna pressoché immediato sulle normative per la sostenibilità delle imprese. L’intento, d’altra parte, era chiaro fin da subito: ridurre il perimetro di imprese coinvolte, alleggerire le richieste, snellire la burocrazia. Come spesso accade quando si ha a che fare con le normative europee, però, tra il dire e il fare entrano in gioco negoziati che possono rivelarsi piuttosto laboriosi.
La testata francese Novethic prova a mettere ordine. Spiegando a che punto è la modifica dei quattro testi interessati: la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili, il meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere (Cbam), la direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità (Csrd) e la direttiva sulla due diligence (Csddd).
Dove il pacchetto Omnibus è già realtà: tassonomia e tassa sulla CO2 alle frontiere
Per la tassonomia il percorso è stato lineare, perché alla Commissione è bastato adottare – a inizio luglio – un atto delegato che modifica i precedenti. Il cambiamento principale sta nel fatto che le imprese dovranno valutare l’allineamento alla tassonomia solo delle attività economiche rilevanti, cioè che superano il 10% dei loro ricavi complessivi, delle spese in conto capitale (Capex) o delle spese operative (Opex). In più, il numero di dati da rendicontare cala visibilmente: meno 64% per le imprese non finanziarie, meno 89% per quelle finanziarie. Per le banche diventa più semplice anche calcolare il Green asset ratio, cioè il peso dei finanziamenti sostenibili sul totale delle loro attività. Dopo il periodo di controllo da parte di Parlamento europeo e Consiglio, le modifiche entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2026 e riguarderanno l’anno finanziario 2025. Ma Europarlamento e Consiglio potrebbero decidere di attendere l’esercizio finanziario 2026.
Un altro “pezzo” di pacchetto Omnibus che è già andato a buon fine è quello che alleggerisce il meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere. Si tratta di una sorta di tassa sui prodotti importati da Paesi dove vigono regolamentazioni ambientali più blande. A metà giugno Parlamento europeo e Consiglio hanno raggiunto un’intesa provvisoria sull’ipotesi di applicare il Cbam soltanto a chi importa più di 50 tonnellate di merci all’anno. Ciò significa esonerare il 90% delle imprese, ma coprire comunque il 99% delle emissioni importate legate ai settori previsti (ferro, acciaio, alluminio, cemento e fertilizzanti). L’adozione formale dell’accordo è prevista per il mese di settembre.
Rendicontazione di sostenibilità, la palla passa al Parlamento europeo
C’è molto più da discutere sulla direttiva europea sulla rendicontazione di sostenibilità (Csrd). A cominciare da una domanda chiave: quante imprese dovranno applicarla? Secondo il testo attualmente in vigore, quelle che superano almeno due di queste tre soglie: 250 dipendenti, 40 milioni di euro di fatturato netto e un attivo di bilancio di 20 milioni di euro. La Commissione europea, con il pacchetto Omnibus, ha proposto di passare a mille dipendenti, lasciando fuori Pmi quotate e mid-cap. Il Consiglio, con il mandato negoziale approvato a giugno, concorda sui mille dipendenti e sull’esclusione delle Pmi quotate. In più, alza la soglia di fatturato a 450 milioni di euro.
Potrebbe non essere finita qui, perché alla commissione Affari economici e monetari (Econ) dell’Europarlamento si è parlato anche di una soglia di applicazione di 3mila dipendenti. Ad oggi, il Parlamento europeo deve ancora mettere a punto la sua posizione negoziale. Il voto in plenaria, dopo il quale si aprirà il trilogo, è previsto per il 13 ottobre – ma non è da escludere che possa slittare. Quel che è certo è che lo “stop the clock” ha congelato per due anni l’entrata in vigore della direttiva per le imprese della Wave 2 e della Wave 3. Cioè quelle che in prima battuta dovevano essere soggette alla Csrd ma potrebbero veder decadere l’obbligo.
Nel frattempo si è fatta sentire anche la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, con una lettera nella quale invita i legislatori a non eccedere nella semplificazione di due diligence e rendicontazione di sostenibilità. In particolare, scrive, ridurre troppo il perimetro di applicazione della Csrd «limiterebbe la disponibilità di dati a livello aziendale, indebolendo così la capacità dell’Eurosistema di effettuare una valutazione dettagliata dei rischi finanziari legati al clima sul proprio bilancio e all’interno del proprio quadro di garanzie».
Come cambieranno gli standard di rendicontazione di sostenibilità
Il pacchetto Omnibus cambia le carte in tavola non solo su chi deve rendicontare, ma anche su come farlo. Di questo si occupa lo European Financial Reporting Advisory Group (Efrag), attraverso gli standard Esrs (European Sustainability Reporting Standards). L’Efrag agisce su mandato della Commissione europea che in questo caso ha molto più margine di manovra, perché interviene tramite atto delegato.
Anche su questo fronte durante l’estate ci sono stati vari avanzamenti. La Commissione ha chiesto di rivedere questi standard e l’Efrag ha risposto con una bozza che li vuole rendere più comprensibili e sintetici, facendo in modo che non si sovrappongano tra loro né con altri standard globali. A conti fatti, il numero di dati da rendicontare obbligatoriamente scende del 57%. Prendendoli in considerazione tutti, obbligatori e volontari, il taglio è del 68%. Il 31 luglio ha preso il via la consultazione pubblica che durerà fino al 29 settembre. A quel punto, l’Efrag avrà tempo fino alla fine di novembre per apportare gli ultimi aggiustamenti e sottoporre il testo definitivo alla Commissione.
Nel frattempo le imprese più grandi – quelle della Wave 1 – hanno iniziato in questi mesi a pubblicare le loro prime rendicontazioni di sostenibilità sui dati del 2024. Per loro gli Esrs originali già prevedevano una fase cuscinetto in cui avrebbero potuto omettere determinati standard – ma solo se hanno meno di 750 dipendenti e solo per l’anno fiscale 2024. A metà luglio, sempre tramite un atto delegato, la Commissione europea ha adottato il cosiddetto quick fix che rende ancora più generosa questa deroga: varrà per tutte, anche sopra i 750 dipendenti, e anche per gli anni fiscali 2025 e 2026.
Sulle modifiche del pacchetto Omnibus alla due diligence la partita è ancora aperta
Tra i terreni di scontro più aspri c’è la direttiva sulla due diligence (Csddd). Il testo impone alle grandi imprese di vigilare sul rispetto dell’ambiente e dei diritti umani nella loro filiera e intervenire in caso di violazioni. In altre parole, non potranno più delegare la produzione a fornitori e subfornitori dall’altra parte del mondo chiudendo gli occhi di fronte alla loro condotta.
Come per la Csrd, il primo nodo da sciogliere è il perimetro di applicazione. Nella sua forma attuale, la Csddd si applica alle imprese non finanziarie con più di mille dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato. Una soglia di per sé alta che, secondo il database del centro di ricerca Somo, corrisponde a poco più di 4mila imprese nel mondo. Di cui 3.400 hanno sede nell’Unione europea. La Commissione, nel presentare il pacchetto Omnibus, non l’ha toccata. Ma ci ha pensato il Consiglio, chiedendo di spostarla a 5mila dipendenti e 1,5 miliardi di euro di fatturato netto.
Anche in questo caso il Parlamento europeo deve ancora trovare una posizione comune da negoziare con le altre istituzioni in autunno. Ma le tensioni sono palpabili. Con i conservatori che esortano a «buttare un sacco di direttive nella spazzatura, dov’è il loro posto» (parole del polacco Tobiasz Bocheński dei Conservatori e riformisti), la sinistra che descrive il pacchetto Omnibus come «un assegno in bianco alle imprese che distruggeranno il Pianeta e sfrutteranno i lavoratori» (lo ha detto Manon Aubry, francese) e i moderati che concordano sulla semplificazione purché non si traduca in deregolamentazione. Ma il tempo stringe: l’intento è quello di pubblicare la direttiva nel 2026 nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
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