«Patagonia è come le altre aziende della fast fashion». L’azienda nega

La testata Follow the money è stata negli stabilimenti dove lavorano i fornitori di Patagonia, affermando di aver rilevato irregolarità

Patagonia è stata accusata di collaborare con fornitori che non rispettano l'etica del lavoro © Carl Nenzen Loven/Unsplash

L’accusa è di quelle che pesano. Soprattutto per una società come Patagonia, il cui messaggio è da sempre orientato verso la sostenibilità dei propri capi d’abbigliamento, il rispetto della natura e dei lavoratori. Ma è proprio su questo ultimo punto che l’azienda fondata da Yvon Chouinard negli anni Settanta è stata di recente criticata in un’inchiesta condotta e pubblicata dalla piattaforma Follow the money.

La giornalista Yara van Heugten è stata in uno stabilimento nello Sri Lanka e ha raccontato di aver parlato con i lavoratori che cuciono i capi che poi vengono venduti sul mercato occidentale sotto diversi marchi. La Regal Image, questo il nome dell’azienda fornitrice, produce prodotti per GAP, Levi Strauss, Calvin Klein, Hugo Boss, Tommy Hilfiger, Nike, Amer Sports, Asics, inondando sia le piattaforme online come Amazon che store come H&M e Zara. 

Secondo Follow the money, la stessa azienda produce capi anche per Patagonia, quindi costringendo i lavoratori alle stesse condizioni lavorative adottate per gli altri marchi. In poche parole, con standard lavorativi fatti di salari da fame e orari di lavoro massacranti.

Il brand Patagonia è conosciuto in tutto il mondo per il suo impegno ambientale e sociale © Malik Skydsgaard/Unsplash

Patagonia da sempre impegnata nella sostenibilità ambientale

Paragonare Patagonia ad altri marchi poco – o per nulla – attenti alla sostenibilità ambientale e sociale è un’accusa che farebbe impallidire il suo fondatore, Chouinard, che nel 2022 ha donato Patagonia a un’organizzazione no profit e che ha iniziato la sua carriera sostituendo i pioli di acciaio usati dagli alpinisti con l’alluminio, in modo da non rovinare le rocce delle montagne. 

Limitare l’impatto sull’ambiente e creare prodotti che durino nel tempo sono sempre stati la cifra stilistica ed etica di Patagonia. Celebre in tal senso la campagna pubblicitaria apparsa sul New York Times nel 2011 che invitava a «non comprare questa giacca», per attirare l’attenzione sul consumismo eccessivo dell’industria dell’abbigliamento. Per questo, l’inchiesta di Follow the money non solo rischia di mettere in cattiva luce un’azienda che si è sempre impegnata in principi virtuosi, ma getta anche nello sconforto chi ha sempre creduto nella bontà di queste azioni.

Quali sono le accuse rivolte a Patagonia

Ma analizziamo meglio quali sono le accuse rivolte da Follow the money. Nel 2012, Patagonia ha stabilito come prioritario il salario minimo e dignitoso. Eppure, secondo la giornalista autrice dell’inchiesta, non c’è differenza tra un prodotto Patagonia e uno come può essere quello di Primark, brand della fast fashion che spinge i suoi consumatori a comprare quanti più vestiti e capi d’abbigliamento possibili. È proprio così?

Patagonia ha promesso di collaborare solo con fabbriche che la pensano allo stesso modo e che condividono la sua filosofia. Ha trovato sessantuno fabbriche “adatte”: due negli Stati Uniti, una in Portogallo e le restanti in 12 diversi Paesi del sud del mondo. La maggior parte dei prodotti è realizzata in Vietnam e Sri Lanka. Scrive Follow the money che almeno due terzi delle fabbriche che producono abbigliamento Patagonia lavorano anche per marchi di abbigliamento che, secondo il sito web dei consumatori Good on You, hanno poche o nessuna politica di sostenibilità in corso di svolgimento.

La Regal Image si trova nella free trade zone di Katunayake, nello Sri Lanka, una zona industriale sorvegliata 24 ore su 24, 7 giorni su 7, dalla polizia. L’accesso è possibile solo con un pass speciale. Il responsabile della fabbrica dice alla giornalista che non ha trovato alcuna differenza nel lavorare con Primark, Decathlon o Patagonia. Regal Image è stata recentemente approvata come fornitore di Patagonia, un processo che ha richiesto nove mesi. Il responsabile ha mostrato a Follow the money i disegni per la collezione estiva 2024, come prova della loro effettiva collaborazione.

Produrre capi dall’altra parte del mondo, specifica la giornalista, farebbe sì che Patagonia non abbia il controllo sulle condizioni di lavoro. Così funziona in questo mondo capitalista e globalizzato. 

Straordinari non pagati e orari massacranti?

L’idoneità alla produzione di prodotti Patagonia richiede che un fornitore soddisfi un elenco di criteri di sostenibilità. Tali criteri sono definiti in un codice di condotta per i fornitori. Secondo la testata giornalistica, Patagonia controlla se una fabbrica è conforme a questi standard attraverso la Fair Labor Association (FLA) e Fair Trade USA, due ong che forniscono al processo di produzione di Patagonia un’etichetta di sostenibilità.

Una parte di tali audit è pubblica. Dal 2016, la FLA ha pubblicato le valutazioni di sette stabilimenti Patagonia, di cui tre in Vietnam, tre in Sri Lanka e uno in Cina. «Durante tali ispezioni, i revisori hanno rilevato decine di violazioni, di gravità molto variabile», scrive Follow the money. Tra questi figurano straordinari pagati in misura ridotta (oltre a impegni di lavoro fino a 17 ore al giorno) e l’età di diversi lavoratori non è stata certificata, quindi non si può escludere il lavoro minorile. Un altro controllo avrebbe scoperto che le lavoratrici avrebbero dovuto fornire indicazioni sulle proprie mestruazioni e che non potevano rimanere incinte nei primi sei mesi dell’impiego. 

Nello stabilimento Regal Image, il responsabile di fabbrica assicura che i suoi dipendenti lavorino al massimo cinque giorni alla settimana e 10 ore al giorno. Ma la giornalista ha parlato anche di turni di 14 ore. 

C’è anche chi dice di assumere droghe per stare al passo con i ritmi

Patagonia vuole che tutte le persone che contribuiscono alla fabbricazione guadagnino un salario dignitoso. Nel 2015, l’azienda ha promesso che entro 10 anni tutti i dipendenti della sua catena di fornitura avrebbero guadagnato un salario sufficiente per vivere. Vale a dire abbastanza per cibo, acqua, alloggio, istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altri bisogni essenziali.

A 18 mesi dal termine dell’obiettivo, solo il 40% delle sue fabbriche garantisce un salario minimo. Inoltre, alcuni lavoratori di un altro fornitore di Patagonia, la MAS Holdings, dicono di guadagnare meno di 100 dollari al mese, di non aver abbastanza soldi da mangiare e addirittura di assumere droghe per poter rimanere al passo con i ritmi di produzione. 

Patagonia afferma di non aver trovato alcuna evidenza di quanto scritto da Follow the money

Finora, quanto scritto è il contenuto dell’inchiesta di Follow the money. Cosa dice Patagonia al riguardo? Valori ha ottenuto una nota da parte della divisione centrale di Patagonia, che ha sede in California. Secondo la società, i colleghi che si occupano delle indagini «non hanno trovato alcuna evidenza che possa confermare le dichiarazioni contenute nei recenti articoli apparsi sui media». Nello specifico «presso Regal Image e Shadowline (la divisione di MAS Active, ndr) non è emersa alcuna evidenza e non sono stati riportati dai lavoratori casi di uso di droghe per aumentare le produttività, eccessivo ricorso agli straordinari (oltre le 60 ore), straordinari non pagati, repressione antisindacale e molestie verbali», come invece sostenuto dalla testata.

«Sette dei nostri partner in Sri Lanka sono certificati Fair Trade USA, il che significa che Patagonia paga un premio destinato direttamente ai lavoratori di queste fabbriche», continua l’ufficio stampa di Patagonia. Per quanto riguarda i controlli, «monitoriamo regolarmente i nostri partner della filiera produttiva, direttamente e attraverso organizzazioni come Fair Trade USA, Better Work ILO e Fair Labor Association. Se riscontriamo problemi, collaboriamo con i nostri partner per implementare soluzioni efficaci e durature, come nel caso del nostro impegno per eliminare le tasse per i lavoratori migranti».

Patagonia conclude affermando che Regal Image e Shadowline non sono partner per la produzione di prodotti finiti per Patagonia. «Regal Image è stato esaminato ed è un partner approvato per gli articoli che richiedono un preciso procedimento di stampa, ma non ha ancora contribuito alla realizzazione di alcun prodotto Patagonia venduto: solo alla realizzazione di una quantità limitata di campioni. Shadowline è una divisione di MAS Active, partner di lunga data di Patagonia, per i prodotti che richiedono una stampa. MAS Active è certificata Fair Trade USA».