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Perché misuriamo la percezione della corruzione?

Nei giorni scorsi abbiamo dato notizia della pubblicazione del report annuale di Transparency International sulla percezione della corruzione nel mondo. Alcuni commenti su Facebook e ...

Simone Grillo
Simone Grillo
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Nei giorni scorsi abbiamo dato notizia della pubblicazione del report annuale di Transparency International sulla percezione della corruzione nel mondo. Alcuni commenti su Facebook e Twitter si sono mostrati critici circa l’opportunità di utilizzare la percezione come misura del fenomeno. Questi commenti ci hanno fornito una buona occasione per riprendere un bel libro del Prof. Alberto Vannucci, intitolato “Atlante della Corruzione”.
Nel libro si spiega che il CPI viene calcolato in base alle opinioni di specialisti (imprenditori, consulenti, giornalisti, economisti), su una media di 13 rassegne delle opinioni degli esperti, raccolte da 10 organizzazioni internazionali indipendenti. I limiti metodologici sono ovviamente legati al fatto che si tratta, appunto, di percezioni. Essendo una media tra fonti diverse, il punteggio può riflettere variazioni nelle tecniche di calcolo della media tra surveys. Vannucci afferma che il CPI permette confronti tra Paesi diversi solo con molte cautele, sovrastima i pareri di alcuni attori (imprese ed esperti, spesso stranieri, il che apre anche al rischio di idiosincrasie e pregiudizi) e sottostima quella di cittadini e famiglie; si fonda su aggregazioni eterogenee di dati senza che siano trasparenti i meccanismi di assegnazione dei punteggi.
Vannucci ricorda che, nel corso degli anni, gli stessi documenti di Transparency International abbiano avanzato la tesi della scarsa affidabilità: nel 2010, ad esempio, si comunicò che il peggioramento del punteggio italiano fosse in realtà frutto di una maggior presa di coscienza dei cittadini e di problematiche straordinarie quali il dramma dei rifiuti in Campania e il malgoverno locale.
Tuttavia Vannucci rileva che il CPI si sia affermato nel tempo come strumento convincente di analisi dei macro fattori di natura politica, istituzionale, economica, sociale, culturale e persino geografica che si associano alla percezione della corruzione.
Vannucci sottolinea che la percezione della corruzione di un Paese sia fortemente condizionata dal suo stretto legame con i propri livelli di sviluppo socio-economico, quindi occorre fare attenzione nel confrontare Paesi diversi. In alternativa si può comparare la corruzione percepita con l’indice di sviluppo umano, misurando la percezione della corruzione come se gli Stati si trovassero su un medesimo gradino della scala dello sviluppo. Calcolando quanto il livello di corruzione percepita in un Paese si discosta da quello che ci si potrebbe aspettare in base al suo livello di sviluppo umano, si può secondo Vannucci ottenere una misura più omogenea della reale pericolosità del fenomeno in Paesi diversi (si cita l’Excess Perceived Corruption Index).
A riprova della sostanziale validità del CPI, Vannucci segnala una alta correlazione tra le rilevazioni statistiche sulle richieste di tangenti effettuate nel 2009 e 2011 e le percezioni degli esperti nei medesimi anni misurate dal CPI.

In conclusione: basare le analisi sulle percezioni è certamente difficile ma, forse proprio per questo, è la scelta migliore.

La percezione, tra l’altro, dimostra perfettamente come la corruzione non sia poi così tanto nascosta: i cittadini la vedono tutti i giorni tanto sono gravi i suoi effetti sulla buona gestione della “cosa pubblica”.
Probabilmente sarebbe più semplice limitarsi a fare la conta delle condanne, ma questo calcolo sarebbe fuorviante soprattutto in considerazione dei limiti delle legislazioni nazionali (per non parlare delle loro differenze) e delle criticità dei sistemi giudiziari (quello italiano ma non solo).
La percezione, inoltre, esprime anche un valore aggiunto, dato dal senso di giustizia che anima le persone oneste le quali, anche attraverso questi report, riescono a mandare un messaggio alle istituzioni, senza il quale nulla probabilmente si muoverebbe sul fronte della trasparenza. I primi (probabilmente ancora troppo timidi) passi avanti che il nostro Paese sta realizzando sul fronte della promozione della trasparenza sono il frutto anche di questi processi e strumenti, certo complessi ma utili a una causa di bene comune.