Pesca e sovrapesca, perché l’Artico fa gola
Nell'Artico sempre meno ghiacciato tanto pesce che interessa a molti. Un accordo storico che tutela parte delle sue acque è bloccato da un solo Paese
Il pesce piace, sempre di più. Lo dicono i numeri della FAO. E la caccia alle popolazioni di pesce che vivono e si riproducono nei mari di tutto il mondo porta le imbarcazioni sempre più lontano dalle coste. E sempre più a Nord. Da un lato poiché gli stock ittici si sono ridotti per lo sfruttamento eccessivo (il cosiddetto overfishing o “sovrapesca”) dall’altro perché il riscaldamento degli oceani induce la migrazione di alcune varietà verso acque più fredde. E con essa la pesca.
Ecco perché il pesce artico sta divendando sempre più prezioso. E il Mar Glaciale Artico, quello di Barents o di Bering, o le acque che circondano Groenlandia e Norvegia, acquistano via via maggior interesse. La prospettiva smuove gli appetiti degli operatori commerciali e degli Stati le cui flotte di navi da pesca generano ricchezza ed entrate fiscali.
Parliamo infatti di un business da miliardi di dollari l’anno (le prime cento aziende del settore ittico globale, nel 2017, ne hanno fatturati oltre 90). Il consumo globale di pesce alimentare è aumentato a un tasso medio annuo del 3,1% dal 1961 al 2017, ovvero più di tutti gli altri alimenti animali proteici (carne, latticini, latte, ecc.). E il cosiddetto “consumo apparente” pro capite di pesce (cioè la quantità di pesce alimentare disponibile per il consumo) è passato dai 9 chilogrammi del 1961 a 20,5 nel 2018. E si prevede che questa quota salirà a 21,5 chilogrammi entro il 2030.
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Artico centrale, patto storico per proteggerlo dalla pesca selvaggia
Nonostante le risorse ittiche delle regioni artiche siano appetibili e ormai piuttosto accessibili per periodi dell’anno sempre più lunghi, l’Europa ricorda che – per ora – spingersi tanto a Nord per pescare non è molto redditizio per tanti Paesi. Ed è senz’altro anche per questo che il 3 ottobre 2018, a Ilulissat, in Groenlandia, è stato stipulata un’intesa multilaterale a protezione dell’ecosistema dell’area. Un accordo per l’Oceano Artico centrale – approvato dal Parlamento europeo a febbraio 2019 – che vieta la pesca commerciale non regolamentata.
Il patto protegge 2,8 milioni di chilometri quadrati di acque internazionali che si estendono sopra l’Alaska e il territorio russo della Chukotka. Dura 16 anni e può essere rinnovato. La logica che lo sottende è quella di porre un divieto che mira a salvaguardare l’ecologia marina dell’area. Essendo essa cruciale anche per gli studi sull’impatto del riscaldamento globale. Ma…
Il silenzio della Cina tiene in scacco un ecosistema
C’è un grosso “ma” che frena l’efficacia di questo storico accordo. I Paesi inclusi nel documento – sette dei quali sono parte del Circolo Polare Artico – l’hanno firmato. Ma non tutti l’hanno ancora ratificato presso i rispettivi organi legislativi.
Dalla direzione generale Mare della Commissione europea comunicano infatti che «Il processo di ratifica è attualmente in corso. Finora, nove dei dieci firmatari (compresa l’Ue) hanno ratificato l’accordo. La Repubblica popolare cinese è il restante firmatario che non ha ancora ratificato l’accordo. Ci auguriamo che l’accordo entri in vigore alla fine di quest’anno o all’inizio del 2021».
In sostanza il processo è bloccato da una nazione che non ha sbocco territoriale sull’Artico, né, quindi, diritti sulle acque costiere nell’area.
Tra accordi e dispute, la Groenlandia si gode il caldo e la pesca facilitata
Al di là della tutela dell’Oceano Artico centrale da parte delle superpotenze, o degli accordi tra privati per preservare gli stock ittici, il pesce dei mari del Nord viene comunque pescato e arriva sulle nostre tavole. La seconda varietà più catturata al mondo, anche se non si trova solo nei tratti di mare dell’Oceano Pacifico del Nord, è il merluzzo dell’Alaska con 3,4 milioni di tonnellate l’anno. La Norvegia, che ad aprile litigava con la Russia per lo sconfinamento di un peschereccio, ha appena stretto un accordo bilaterale sulla pesca con gli inglesi, in uscita dall’Unione europea.
I pescatori della Groenlandia, intanto, si godono l’innalzamento delle temperature che dovrebbe invece allarmarli. Le stagioni calde si fanno più lunghe tra gli iceberg e la pesca, che un tempo si faceva dalle slitte, ora impiega barche con attrezzature moderne. E ad essere caricate a bordo sono specie di pesci che qui prima nuotavano più raramente. Lo sgombro, l’aringa, il tonno rosso dell’Atlantico e il merluzzo.
La potenza cinese e i pescatori sempre più lontani
Tutte le flotte da pesca del mondo, più o meno vicine all’Oceano Artico, guardano quindi alle fredde acque internazionali del Nord come a un futuro serbatoio di profitto e sicurezza alimentare. Anche perché le imbarcazioni si allontanano sempre di più dai loro porti d’origine, come evidenzia un recente rapporto realizzato monitorando con l’AIS la posizione dei pescherecci di alcune nazioni.
E in questo panorama in evoluzione, pur contando la crescita dell’acquacoltura e i dati sommersi della enorme fetta di pesca illegale, la Cina si sta affermando, guarda un po’, come superpotenza anche in questo settore. Benché le sue barche nell’Artico ancora non arrivino, il dragone ha speso miliardi di dollari per sostenere la sua industria della pesca (7,2 miliardi di dollari sui 35,4 globali nel 2018). E ad oggi la nazione disporrebbe di centinaia di migliaia di pescherecci, che spesso vengono sorpresi a svolgere attività di cattura non autorizzata in acque altrui, dal Mar del Giappone alle Galapagos.
Un’espansione del raggio d’azione che, secondo alcuni, è più di una semplice questione commerciale. La flotta peschereccia cinese agirebbe infatti come una proiezione del potere geopolitico sugli oceani del mondo. E non è escluso che la riduzione degli stock ittici del Paese, depauperati con metodi industriali negli anni recenti, induca le barche cinesi a spingersi ancora più lontano. Magari verso Nord.