Competitività, se il Piano Letta per l’Europa punta tutto sulla finanziarizzazione dell’economia
A differenza del passato, però, stavolta si punta a una «guerra finanziaria» dei fondi europei contro quelli americani
Il Piano per la competitività europea coordinato da Enrico Letta ha un segno distintivo chiaro. Affida alla finanza un ruolo decisivo nel rendere possibile il superamento delle grandi sfide di questa nuova fase storica. Il vero problema però è che Letta sembra preda delle peggiori nostalgie del passato.
La finanza viene declinata nei termini della finanziarizzazione, della moltiplicazione degli strumenti finanziari verso cui far convergere la maggior quantità di risparmio possibile. Favorendo questo passaggio del risparmio verso la finanza con una serie di rilevanti sgravi fiscali.
Per essere ancora più chiari, secondo Letta, bisogna partire dai 33mila miliardi di euro di risparmi privati e convogliarli verso i grandi gestori europei in modo da mobilitare risorse che gli Stati non hanno più.
Così si decreta la fine dello Stato sociale
Non si tratta quindi di fare ricorso agli Eurobond o a politiche pubbliche legate all’emissione di debito pubblico, ma di un rafforzamento delle capacità di investimento dei grandi player finanziari europei. A vantaggio dei quali dovrà essere costruita anche una normativa in grado di rendere meno onerosa per i loro bilanci la ponderazione dei rischi assunti.
In quest’ottica il Piano rispolvera il meccanismo delle cartolarizzazioni che tornano, come nei “ruggenti” anni Novanta, ad essere il modo attraverso cui «distribuire il rischio». Sembra che le crisi seguite alle bolle non siano mai esistite. Come negli anni Novanta si teorizza esplicitamente il superamento dello Stato sociale che deve dipendere per le proprie scelte strategiche.
A cominciare da energia e innovazione tecnologica, dalle decisioni prese da un mercato che in realtà è la terra di dominio di colossi quasi monopolistici, costruiti proprio dalle normative statuali. Per questi colossi sono previste, infatti, garanzie pubbliche e autorità di regolamentazione e controllo prive di una reale capacità incisiva al di là dei molteplici formalismi.
Il Piano Letta punta tutto sui fondi francesi
Rispetto agli anni Novanta, tuttavia, il Piano Letta presenta una significativa novità. L’assegnazione di una centralità pressoché assoluta alla finanza significa, come accennato, il potenziamento sopratutto dei colossi del risparmio gestito. Ma questo rafforzamento deve essere, ora a differenza del passato, di natura rigorosamente europea.
Per Letta non è più ammissibile che il risparmio gestito europeo si indirizzi verso gli Stati Uniti e che i fondi a stelle e strisce arrivino a conquistare un’Europa incapace di mettere a frutto i propri ricchi risparmi.
In altre parole, il Piano per la competitività contiene il disegno di dar vita ad una vera e propria “guerra finanziaria” dei fondi europei, rafforzati dalle nuove “politiche” a loro favore, contro le Big Three statunitensi. Per essere espliciti Amundi contro Black Rock in un conflitto in cui proprio la finanza francese avrebbe un ruolo decisivo, acquisendo una chiara leadership nel Vecchio Continente.
Ma trasforma i cittadini in soggetti finanziari
I grandi player europei, con sede a Parigi, dovranno avere la prerogativa di sostenere solide compagnie energetiche europee, magari cavalcando nei momenti di tensione inflazionistica le spinte rialziste e godendo così di importanti extraprofitti da non dividere con azionisti yankee.
Gli stessi player dovranno finanziare la ricerca tecnologica e l’intelligenza artificiale nella evidente consapevolezza che sono determinate da queste voci le più rilevanti impennate borsistiche.
Per il Piano Letta il futuro passa dalla capacità dell’Europa di trasformare i propri cittadini e le proprie cittadine in un esercito di soggetti finanziari pronti a combattere la battaglia decisiva con il fortissimo esercito dei risparmiatori Usa, riuniti sotto le insegne di BlackRock, Vanguard e State Street.