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Amazon, la discutibile decisione della Corte di giustizia europea

28:42

Il 12 maggio la Corte di giustizia europea ha accolto il ricorso di Amazon contro la Commissione che, nel 2017, aveva chiesto al Lussemburgo di far pagare al colosso delle vendite online 250 milioni di euro. Secondo l’organo esecutivo dell’Unione, il Granducato avrebbe concesso a Amazon agevolazioni che le hanno permesso di non pagare tasse sui tre quarti degli utili. E in questo modo, secondo la Commissione, l’azienda avrebbe goduto di un vantaggio sulla concorrenza.

Il gioco delle scatole di Amazon

Il meccanismo contestato dalla Commissione europea è il più classico utilizzato dalle multinazionali per spostare gli utili in Paesi in cui questi non sono tassati. Nel caso di Amazon, l’accordo con il Lussemburgo permette a due divisioni del colosso americano di operare compravendite infragruppo di licenze e diritti di proprietà. Per la Commissione questo accordo si configura come aiuto di Stato e viola le regole del mercato interno. Non così per la Corte di giustizia, che ha appunto annullato la decisione della Commissione.

Nello stesso giorno, la Corte ha però confermato la decisione sul gruppo francese dell’energia Engie che dovrà restituire al Lussemburgo 120 milioni di euro in imposte non versate.

Le armi spuntate della Commissione in materia fiscale

La fiscalità diretta è competenza degli Stati membri dell’Unione europea. La Commissione può esprimere raccomandazioni e avanzare proposte che devono poi essere approvate all’unanimità all’interno del Consiglio europeo.

In casi particolarmente gravi, come quello di Amazon, la Commissione può ricorrere alle proprie prerogative e verificare se i tax ruling, gli accordi fiscali siglati tra Paesi membri e multinazionali, creano condizioni di aiuto di Stato e distorsione della concorrenza. Una strada tortuosa, che non permette di affrontare il problema dell’evasione e dell’elusione fiscale in maniera sistemica.

Gli strumenti per garantire maggiore giustizia fiscale

Affrontare di volta in volta i singoli casi può essere utile per recuperare somme sottratte alle casse degli Stati, ma non permette di risolvere un problema che è generalizzato e sistemico. Per sradicare le pratiche di evasione e elusione fiscale da parte delle multinazionali occorre dotarsi di strumenti condivisi a livello sovranazionale.

Il country-by-country reporting  (CBCR), per esempio. Una procedura che obbliga le multinazionali a fornire un rendiconto che specifichi dati che riguardano il fatturato, gli utili, le imposte versate all’amministrazione fiscale in cui ha sede la controllante capogruppo. Questi dati sono poi oggetto di uno scambio automatico con gli altri Paesi in cui la multinazionale è presente.

O una tassazione minima globale, come quella proposta dall’amministrazione di Joe Biden. E ancora, una web tax che colpisca le aziende del digitale, i cui profitti maturano anche in Paesi nei quali non hanno sedi e grazie alla quale si possano distribuire equamente le imposte raccolte.

Ne abbiamo parlato con Misha Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia.