Le polpette avvelenate lasciate da Trump per un’America più green
L'ex presidente ha disseminato di ostacoli la strada per una politica Usa amica del clima. Pesticidi, gas serra, trivellazioni e leggi per l'ambiente cancellate
Joe Biden ha vinto le elezioni presidenziali americane 2020, al netto dei tweet e dei ricorsi del presidente uscente Donald Trump. E al “presidente eletto”, in attesa del passaggio di consegne ufficiale alla Casa bianca, previsto per il prossimo 20 gennaio, già cominciano ad arrivare i messaggi di richiesta da tutto il mondo per un cambio radicale di rotta su diversi capitoli importanti. A cominciare dall’ambiente. Dopo quattro anni di presidenza Trump, in totale discontinuità con la linea del predecessore Obama e in aperto scontro con l’indirizzo green assunto dall’Europa e da buona parte della comunità internazionale.
Trappole e leggi dell’ultimo minuto
Per Biden, tuttavia, e per il suo inviato sul clima John Kerry, non sarà un percorso semplice. Anche perché The Donald ha disseminato di polpette avvelenate il tracciato verso un’America più amica del clima. Lo ha fatto, innanzitutto, con strategie di medio-lungo periodo. Ma di certo non mancherà di adottare i cosiddetti “regolamenti di mezzanotte” (midnight regulations), cioè dell’ultimo minuto, che potranno frenare il cambio di linea già annunciato da Biden. Provvedimenti che la tradizione politica americana ben conosce e monitora, tanto da renderne più agevole l’annullamento tramite una legge apposita, il Congressional Review Act. L’efficacia di questa misura dipende però dai rapporti di forza stabiliti nel Congresso, nel quale il neopresidente potrebbe non avere a favore la maggioranza in Senato.
Il piano di Trump: stop alle leggi di Obama e pochi controlli
A proposito di ambiente e clima, d’altra parte, Donald Trump non ha mai nascosto da che parte stesse. Il suo biglietto da visita, nel 2016, fu la scelta di un mix di nomi pescati tra negazionisti dei cambiamenti climatici e aperti sostenitori delle fonti fossili messi a capo delle agenzie governative chiave. A cominciare dal contestatissimo Scott Pruitt, piazzato alla guida dell’EPA (Environmental protection agency, cioè l’Agenzia per la protezione dell’ambiente). Al di là dei nomi, cambiati spesso, l’amministrazione Trump ha consolidato nel tempo alcune strategie di depotenziamento e arretramento. Nel mirino, singole norme e istituzioni.
Oltre al clamoroso abbandono dell’Accordo sul clima di Parigi, più sotto traccia gli Usa, nei quattro anni passati, hanno infatti ridotto il numero degli ispettori in forze a tutte le agenzie, incluse quelle di tutela ambientale. E hanno temporaneamente congelato normative non ancora in vigore o ritardato le date entro cui le aziende – quelle inquinatrici, ad esempio – avrebbero dovuto conformarsi alle norme già in corso. Infine hanno operato in maniera sistematica a colpi di revoche di provvedimenti già emanati, perlopiù dalla presidenza Obama.
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Stando a un reportage di «The Washington Post», l’amministrazione Trump avrebbe così “indebolito o cancellato più di 125 regole e politiche volte a proteggere l’aria, l’acqua e la terra della nazione”. In particolare ciò sarebbe avvenuto annullando policies su inquinamento atmosferico e gas serra, perforazione del sottosuolo ed estrazione, sulla fauna selvatica, su grandi progetti come gasdotti e autostrade, sull’inquinamento dell’acqua e la sicurezza chimica, sulla trasparenza del governo. Decine di azioni, sempre contestate, ma non sempre sventate dagli avvocati dei gruppi ambientalisti.
Pesticida contestato: c’è il via libera a fine mandato
Una moltitudine di azioni e procedimenti burocratici e legali, che però avranno un effetto concreto sulla vita di persone e territori. Come per esempio la decisione intrapresa dall’EPA sul Dicamba. Si tratta di un erbicida alla base di diversi prodotti in commercio per l’agricoltura, oggetto di cause legali dovute ad un utilizzo potenzialmente impreciso a causa della sua estrema volatilità.
Fatto sta che l’EPA, a ottobre 2020, cioè a pochi giorni dal voto per le presidenziali, e nonostante una recente sentenza di condanna da 265 milioni di dollari a carico del fitofarmaco, autorizzava l’impiego del pesticida (considerato da molti l’erede del glifosato) per altri 5 anni. Una decisione contraria alla messa al bando decretata solo pochi mesi prima da una Corte d’appello, e di cui senz’altro Bayer, Syngenta, Basf, Monsanto ringrazieranno l’ex presidente. Anche perché l’amministrazione Trump si è distinta per una vicenda simile anche riguardo un altro fitofarmaco, il cloripirifos, contestato ma autorizzato sia negli USA che in Europa.
Metano e acqua inquinata: mano libera alle imprese
Ma non è tutto. Perché ci sono ben altri bocconi avvelenati che il futuro presidente Usa dovrà digerire. Ad esempio quello cucinato dal Bureau of Land Management – BLM (una agenzia del Dipartimento degli Interni degli Stati Uniti, che si occupa della gestione di terreni pubblici), quando ha affermato che molte imprese del settore Oil & Gas non erano tenute a rispettare i limiti di emissioni di metano stabiliti sotto Obama. Decisione dichiarata illegittima dalla Corte distrettuale nel distretto settentrionale della California, ma che ha avviato una disputa legale condotta dallo stesso BLM fino a una sentenza del tribunale del Wyoming e alla successiva certificazione dell’EPA. Risultato: la regola di Obama è stata abrogata e alle compagnie petrolifere e del gas è stato consentito di rilasciare metano, in gran parte senza limiti.
Allo stesso modo i proprietari delle centrali elettriche a carbone avranno apprezzato il lavoro dei burocrati fedeli alla Casa bianca, che hanno evitato loro di dover adottare tecnologie adeguate a rimuovere i metalli pesanti dalle loro acque reflue. Un obbligo inizialmente previsto a partire dal 2018 e da finalizzare entro il 2023, finché l’EPA di Trump non ha spostato questi termini. La scadenza finale per adeguarsi è così passata al 2025, esentando al contempo dozzine di impianti, col pretesto che saranno ritirati da qui al 2028. Ed ecco sfornati altri otto anni di libertà di inquinamento.
Trivelle in aree protette e concessioni difficili da cancellare
Ma i regali ai gruppi di potere che hanno sostenuto la presidenza Trump, e che potrebbero frenare Biden, non finiscono qui. A partire dal tentativo in extremis di confermare i limiti di ozono e particolato nell’aria fino al 2025, che gli ambientalisti vorrebbero inasprire, per passare a dossier ben più pericolosi e vincolanti. Ad esempio quello della vendita di concessioni di perforazione per esplorazioni e sfruttamento di risorse nel sottosuolo dell’Arctic National Wildlife Refuge, in Alaska. Un’area incontaminata – finora – che offre l’habitat a orsi polari, grizzly, caribù e una quantità sterminata di uccelli migratori e salmoni.
Un’operazione industriale mirata a individuare possibili riserve di petrolio che, secondo lo studio di impatto ambientale del BLM, avrebbe un impatto climatico importante. Nei 70 anni previsti dalle concessioni di sfruttamento si genererebbero più di 26 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra per la produzione di petrolio e gas nella pianura costiera. Senza contare le emissioni a valle provocate dalla combustione dei 10 miliardi di barili di petrolio e gas estratti, stando alle stime delle riserve. Ciò si tradurrebbe in altri 4,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente rilasciata, ovvero circa due terzi delle emissioni annuali degli Usa nel 2017.
L’amministrazione Trump vorrebbe vendere i diritti di perforazione prima del 20 gennaio, mentre Biden si è impegnato ad impedire l’operazione.
La buona notizia, per ora, è che diversi grandi gruppi bancari (JPMorgan Chase, Morgan Stanley, Citigroup e Goldman Sachs) non intendono finanziare il progetto. I rischi reputazionali sarebbero eccessivi anche per loro.