La protesta degli agricoltori dice che la causa dei cambiamenti climatici è il capitalismo
Alla politica interessa più contare i voti in vista delle prossime elezioni europee che risolvere i problemi degli agricoltori (e del clima)
La protesta degli agricoltori arriva a Bruxelles, nel cuore dell’Europa. Mercoledì un centinaio di coltivatori e allevatori hanno manifestato davanti al Parlamento contro il Green Deal, la Politica Agricola Comune (Pac) e gli accordi di libero scambio dell’Unione europea. Ma dentro i palazzi della politica comunitaria qualcosa sta già cambiando. E non in meglio. Prima la riunione dei ministri dell’Agricoltura dei 27 Stati membri. Poi il monito della presidente della Commissione Ursula von der Leyen e la commissione ad hoc. Tra pochi mesi si vota. Bisogna mediare.
Secondo un sondaggio del sito Politico su 400 milioni di elettori, i lavoratori del settore agricolo sono circa 10 milioni. E poi c’è l’indotto, e le famiglie. Piccole percentuali, ma importanti. Forse decisive. Finora a cavalcare la protesta è stata lasciata sola l’estrema destra, con slogan che ricordano i tempi più bui. Una difesa della nazione e della razza bianca, povera e rurale, vessata dalla burocrazia pluto-demo-giudaica di Bruxelles. Peggio di così è difficile. Ora anche il Ppe ha intenzione di mettere il cappello sulla protesta, per scopi puramente elettorali, di voti e alleanze.
La insanabili contraddizioni del capitalismo
Ma la situazione è ovviamente molto più complessa. In primo piano c’è la questione del rapporto tra agricoltura e cambiamenti climatici. Una ricerca delle Nazioni Unite dice che «senza interventi immediati» bastano le sole emissioni di gas serra provenienti dal comparto agricolo per farci superare la soglia di 1,5 gradi. Un report di Greenpeace spiega come gli allevamenti intensivi da soli siano responsabili del 14,5% delle emissioni globali di CO2. E così via.
Il problema, ovviamente, è che il riscaldamento del Pianeta e l’aumento dell’inquinamento sono i primi fattori a essere negativi per l’agricoltura stessa. Mancanza di acqua, suoli impoveriti e sempre più sterili, perdita della biodiversità, fenomeni atmosferici incontrollati non sono certo amici degli agricoltori o della produzione agricola. Ma la questione purtroppo non viene mai posta in questi termini, ma solo come promesse di utili e di vantaggi economici a breve termine.
Tanti soldi, ma ai soliti pochi
Le leggi e i provvedimenti messi in campo finora dall’Unione Europea, a partire dal Green Deal, con la strategia Farm to Fork, fino alla nuova Pac, sono deleteri. Da un lato sono troppo blandi: una transizione ecologica soft che rimane sulla carta e non basta certo a limitare le emissioni. Né a prevenire il disastro. Dall’altro sono punitivi per il comparto agricolo. Ha voglia la Commissione a raccontare che tra il 2014 e il 2023 sono state approvate 63 diverse misure a favore degli agricoltori dove sono stati stanziati oltre 2,5 miliardi di euro. Tutti questi soldi finiscono in grandissima parte alle grandi multinazionali.
«L’agricoltura è stata sacrificata nelle politiche pubbliche europee, che hanno privilegiato le grandi organizzazioni. Basti pensare che oggi l’80% della Pac va al 20% dei coltivatori che fanno parte di queste grandi corporazioni», hanno spiegato i Verdi europei. E non è finita qui. Questi cartelli che controllano colture e allevamenti lo fanno soprattutto in funzione esportatrice. E infatti, parallelamente, la protesta si focalizza anche sugli accordi di libero scambio con i Paesi del Mercosur. «Nella logica neoliberista degli accordi di libero scambio, la prima vittima è sempre il mondo agricolo», aggiungono i Verdi.
Agricoltura: uscire dal paradosso
Marta Messa, segretario generale di Slow Food, ha definito la Pac «fortemente orientata verso l’agricoltura industriale e l’aumento della produzione, a tutto svantaggio dei coltivatori». E poi ha aggiunto che «agricoltura e ambiente non sono in opposizione, perché gli agricoltori dipendono da un ambiente sano per poter prosperare». Sulla stessa linea Sascha Müller-Kraenner, di Environmental Action, che ha spiegato che «i sussidi di cui abbiamo bisogno sono quelli che aiutano la natura e il clima, non certo quelli tossici e dannosi che sono stati stanziati». Ma intanto le proteste continuano.
Cominciate in Olanda quattro anni fa e poi diffuse in Romania, Polonia, Francia, Germania, Lituania e Italia, erano partite come rivendicazioni nazionali. Ora però si sono riunite, grazie anche all’ombrello della discussa rete Copa-Cogeca che punta tutto su sussidi economici a breve termine e si è sempre posta contro la questione ambientale. E così è stato facile per l’estrema destra europea, alfiere del neoliberismo in salsa sovranista, mettere il cappello alla protesta e indicare nella transizione ecologica il nemico . Quando è evidente che il primo nemico della produzione agricola è una natura sofferente e sempre più sterile.
Un voto ci seppellirà
Quando oramai dovrebbe essere evidente anche che il primo nemico sono le contraddizioni del capitalismo. Un sistema costruito sull’accumulazione per spoliazione. Che da un lato punta allo sfruttamento intensivo delle risorse del Pianeta. E dall’altro distribuisce soldi per mettere pezze alla bolla che sta per scoppiare, senza però smettere di soffiare nella bolla stessa.
Ma a Bruxelles nessuno si sogna di mettere in discussione il sistema in cui viviamo. Quello che interessa di più, a destra come al centro e a sinistra, è contare i voti in vista della elezioni di giugno.