Questa volta (non) è diverso: debt to equity swap alla corte di Filippo d’Orleans
di Alessandro Fatigati* – Vendimi questa penna – Ti devo vendere questa penna? …Scrivimi il tuo nome! – Come faccio non ho la penna – Eccola, basta chiedere. – Vedete ...
di Alessandro Fatigati*
– Vendimi questa penna
– Ti devo vendere questa penna? …Scrivimi il tuo nome!
– Come faccio non ho la penna
– Eccola, basta chiedere.
– Vedete cosa ha fatto, ha creato un bisogno, fategli credere che hanno bisogno di quelle azioni.
Jordan Bellfort, The Wolf of Wall Street
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Antonie -Laurent de Lavoisier
La storia di Faust che vende l’anima a Mefistofele è una di quelle che ancora non hai letto. E’ un racconto oscuro, per adulti, non da ragazzi della tua età. Non te l’abbiamo nascosto perché è un testo macabro, da Grand Guignol; le fiabe dei fratelli Grimm sono molto peggio. No, la ragione per cui generalmente non si ritiene adatto agli adolescenti è il fatto che ruota intorno a un concetto ingiusto e difficile da capire per una mente molto giovane: il debito.
Yanis Varoufakis
Come per ogni altra crisi finanziaria, il mito dell’eterno presente spinge a ritenere che anche i crack derivanti dall’indebitamento pubblico siano un fenomeno relativamente recente. A ben vedere, il concetto stesso di un debito contratto dalla collettività nei confronti della collettività può apparire criptico, artificiale. Nel suo ultimo lavoro, provando a raccontare alla giovane figlia il meccanismo dell’indebitamento, Yanis Varoufakis evoca l’ombra di una mano capace di sottrarre magicamente il denaro dal futuro, attraverso un velo opaco, portandolo al presente. E in effetti, per dirla con Galbraith, il processo mediante il quale le banche creano denaro è talmente semplice che si fa fatica a crederle. È proprio a partire da questa assurda semplicità che anche in tempi recenti le banche hanno “partorito” enormi quantità di denaro speculativo, sottraendo una quota sempre maggiore di valore di scambio al futuro per ricondurlo al presente.
A dispetto di quanto si possa ritenere, gran parte del debito pubblico contratto dagli stati deriva non già dalla redistribuzione della ricchezza, ma dal crollo ciclico del meccanismo appena descritto, e dunque dal mantenimento dello status quo: l’esigenza stessa di un diritto esclusivo da parte delle banche centrali di stampare denaro e gestire valuta si rivela più volte nel corso della storia propedeutica al salvataggio dei grandi capitali speculativi dal panico prima, e dal crollo poi. Nel farlo, il più delle volte, gli Stati si indebitano con gli speculatori che stanno salvando.
Nel suo celebre Manias, Panics and Crashes, Charles Kindleberger sviluppa una originale analisi empirica del panico collettivo, orientata alla descrizione delle fasi ricorrenti dell’euforia finanziaria. Un evento, un pettegolezzo (quasi sempre costruito ad hoc), una convinzione della massa muta la prospettiva economica. Le nuove opportunità vengono rincorse in maniera tanto concitata da configurare un meccanismo patologico che perde ogni punto di contatto con la ragione e la realtà, mettendo facilmente in discussine i “solidi” fondamenti matematici dell’analisi economica.
Nel panico – beninteso, irrazionale almeno quanto l’euforia – si sviluppa un fenomeno simmetrico a quello dell’espansione: dallo strumento finanziario “immateriale” si agogna affannosamente la trasformazione in moneta “reale”, con il conseguente crollo dei prezzi di beni, case e altri immobili, terreni, azioni, obbligazioni: in breve, dei prezzi dell’oggetto della mania speculativa, qualunque esso sia stato.
Nella bolla francese del 1720 oggetto della speculazione fu la moneta fiduciaria, e il panico della folla uccise, schiacciandole, quindici persone, costringendo per molti anni lo stato francese a rinunciare alla dicitura banca. Anche in questa antica, moderna crisi, il consistente indebitamento pubblico non era il frutto di accorte politiche redistributive della corte, ma del mantenimento dello sfarzoso status quo dell’ancien regime, subito dopo la scomparsa del Re Sole.
L’episodio ebbe luogo fra il 1716 ed il 1720, quando lo scozzese John Law propose al governo regio, pesantemente indebitato e guidato da un sovrano che combinava un intelletto modestissimo con un profondo compiacimento, un piano di radicale ristrutturazione del deficit pubblico. L’audacia dell’esperimento, secondo Schumpeter, collocherebbe il suo artefice fra i più brillanti teorici dell’economia monetaria. A ben vedere, seppur con variabili non trascurabili, la storia finanziaria stava inventando per l’ennesima volta la ruota.
L’operazione avrebbe comportato la conversione del debito pubblico francese in azionariato diffuso, garantito dagli introiti fiscali, la costituzione di una società quotata che assumesse il privilegio di riscossione, offrendo altresì la possibilità di convertire i titoli di Stato in azioni.
Fu così che il 2 maggio del 1716 Filippo d’Orleans concesse a John Law il diritto di istituire la Banque Générale, di natura privata. Vi era inclusa l’autorizzazione a emettere biglietti che venivano utilizzati dalla banca stessa per riacquistare il debito pubblico pregresso. La banca era strutturata come una moderna società per azioni, gli organismi assembleari erano convocati due volte all’anno per la distribuzione degli utili e ognuno partecipava alle decisioni proporzionalmente alle quote sottoscritte. Quel che occorreva, a questo punto, era una fonte di guadagno attraverso cui garantire la conversione metallica della moneta fiduciaria. Fu in questo frangente che l’idea originaria di legare l’emissione alla proprietà terriera dirottò verso la costituzione della Compagnie du Mississipi (o Compagnia d’Occidente), che aveva lo scopo di sfruttare i presunti giacimenti auriferi della Louisiana. Le azioni della compagnia furono offerte al pubblico, ottenendo una risposta non in linea con le aspettative.
Dopo i primi successi finanziari, nel dicembre del 1718 la Banca fu nazionalizzata assumendo il titolo di Banque Royale, e gli azionisti privati lautamente rimborsati prima di essere estromessi: diritto di emissione e profitti furono così trasferiti direttamente al Tesoro della Corona. A distanza di pochi mesi i traffici della Compagnia furono artificialmente moltiplicati: ottenendo il monopolio del commercio estero francese, questa assunse il nome di Compagnie des Indes. L’ampliamento dell’attività commerciale era motivato dall’esaltazione della profittabilità del Law’s System, al fine di incentivare la sottoscrizione di nuove azioni attraverso la conversione dei più solidi titoli di stato.
Fra il giugno del 1717 e il dicembre del 1718 furono emesse 200.000 azioni al prezzo di 500 livres, pagabili in Billets d’Etat al valore facciale. Nel giugno del 1719 ne furono emesse altre 50.000 ad un prezzo di 550 livres, di cui 50 necessarie all’effettivo acquisto e 500 dilazionabili in 20 rate; il mese successivo il prezzo fissato fu di 1.000 livres, anche queste pagabili in 20 mesi. Fra il settembre e l’ottobre dello stesso anno furono emesse altre 300.000 azioni, vendute al 5.000 livres l’una, pagabili in dieci rate: un prezzo esorbitante che superava di ben dieci volte il valore di listino del giugno precedente.
L’aumento esponenziale fu causato da una febbre speculativa sostenuta dall’utilizzo diffuso delle options sulle azioni: pagando una somma irrisoria, si poteva acquistare nel giro di pochi mesi un’azione di valore anche dieci volte superiore alla somma originariamente versata. Chi riteneva che il corso azionario sarebbe salito ad un ritmo più elevato del prezzo di esercizio del derivato, acquistava ingenti quantità di azioni con denaro che non possedeva, sperando di poterle rivendere ad un prezzo notevolmente più elevato dopo poche settimane: il classico esercizio della leva finanziaria, alimentato con biglietti freschi di stampa della Banque Royale, appena nazionalizzata. Fra i binari di questo schema perverso, addirittura, non furono pochi a vendere pacchetti azionari per acquistare options sulle azioni: in buona sostanza, si vendeva valore di scambio presente per acquistare valore di scambio futuro. Secondo Galbraith la vecchia borsa di Rue Quincapoix diventò la scena di una delle più vivaci, perfino tumultuose, operazioni di tutta la storia della cupidigia finanziaria.[…]Vi furono acquirenti femminili così risolute da arrivare, con una sensibilità curiosamente moderna, a offrire se stesse per il diritto di acquistare azioni. Negli anni Ottanta, pare che alcuni clienti piuttosto vulnerabili di Michael Milken e della Drexel Burnham Lambert, abbiano goduto dell’attenzione di prostitute appropriatamente ascetiche. lo scopo era spingerli all’acquisto di junk bonds, molte delle quali erano in prospettiva paragonabili alle azioni della Compagnia d’Occidente.
La fine venne nel maggio del 1720. La leva finanziaria invertì bruscamente il suo corso. L’idea che le banconote emesse con la sola garanzia di rosee aspettative fossero meno desiderabili (e quindi meno sicure) dell’oro si diffuse in maniera repentina e incontrollata. Per convincere i possessori dei biglietti della Banque Royale e gli investitori della Compagnie dell’arrivo di una ingente quantità di metallo prezioso, furono arruolate alcune decine di mendicanti parigini che, provvisti di pale, sfilarono per le strade della città come fossero in partenza per le miniere della Louisiana. Quando nei giorni seguenti alcuni di questi furono visti operare ai loro abituali uffici nei ghetti della capitale, il panico crebbe incontrastato. La folla inferocita si diresse verso la banca per trasformare in oro la propria moneta fiduciaria, subito dichiarata inconvertibile. Contestualmente, i corsi della Compagnia crollarono, trasformando nel giro di qualche giorno cittadini milionari in nullatenenti. John Law, costretto alla fuga, trascorse il resto dei suoi giorni fra l’Inghilterra e Venezia, dove, secondo il duca di Saint-Simon visse in decorosa povertà una vita tranquilla e virtuosa, e morì nella fede cattolica.
Sempre secondo le parole del duca, l’immagine risultante dallo scoppio della bolla fu quella di un’esigua minoranza arricchita dalla completa rovina di tutto il resto della popolazione. Esiste infatti un’altra certezza nella storia della finanza, che si somma all’incapacità clamorosa di nominare le ragioni delle crisi: oltre il velo degli artifici, come ogni altro oggetto della materia, la ricchezza non si crea e non si distrugge, ma si trasforma. Nel compiere il suo viaggio tumultuoso, alla Corte del Re di Francia come più di cento anni dopo ai cancelli della Erie Railroad, il circus della finanza accese la cupidigia di molti, spense i dubbi di ognuno, e arricchì un esiguo nucleo di speculatori. Questa volta non è diverso.
*Alessandro Fatigati è studente (poco assiduo) di economia presso l’Università Federico II di Napoli. Appassionato di filosofia, speculazioni di ogni genere e di storia del pensiero economico, per Non con i miei soldi curerà un approfondimento sulla storia delle crisi finanziarie, bizzarramente uguali a loro stesse da appena quattrocento anni.
Leggi la prima puntata: Quando i derivati compravano i tulipani e la seconda puntata: Naked short selling e insider trading ai tempi di Galileo