Questa volta (non) è diverso: naked short selling e insider trading ai tempi di Galileo
“Il giudizio unanime di milioni di persone, le cui valutazioni sono rilevate in quel meraviglioso mercato che è la Borsa, è che al presente i titoli non ...
“Il giudizio unanime di milioni di persone, le cui valutazioni sono rilevate in quel meraviglioso mercato che è la Borsa, è che al presente i titoli non sono sopravvalutati. […] Dov’è il gruppo di uomini così onniscienti da arrogarsi il diritto di porre il veto al giudizio di questa moltitudine intelligente?”
Joseph Stagg Lawrence, 1929
Ciò che spesso colpisce dello sloveno Slavoj Zizek è il tentativo di spiegare la complessità del pensiero filosofico attraverso i prodotti mainstream della cinematografia americana. E forse è questo l’approccio più idoneo per contestualizzare efficacemente quelli che vengono ritenuti i primi casi di short selling¹ e insider trading² della storia.
L’idea sottesa nell’episodio in questione governa da secoli l’economia e la finanza; un interrogativo che ricondotto alla sua forma essenziale assume una connotazione al limite del metafisico: quanto valgono le cose?
Per quanto possa sembrare incredibile, la risposta più sottile – e resiliente – che negli ultimi quattrocento anni siano riusciti a formulare mercanti olandesi, Wall Street, Troika o Federal Reserve, finanzieri del London Halley o di Rue Quincampoix è sostanzialmente la stessa. Un asset finanziario, il divano su cui sedete, la casa in cui abitate, il debito pubblico greco, valgono esattamente quanto la maggior parte delle persone ritiene che possano valere di lì a poco, e non un centesimo in più. Tanto più, nelle fasi di euforia speculativa il rapporto fra il prezzo di una merce ed il suo valore intrinseco è assolutamente irrisorio.
Scriveva Keynes a proposito della febbre speculativa statunitense:
«Anche fuori dal campo della finanza gli americani sono soggetti ad essere eccessivamente interessati alla scoperta di ciò che l’opinione media considera dover essere l’opinione media».
E se a qualcuno la criptica espressione “rassicurare i mercati” può apparire perfino sensata nella sua infinita declinazione quotidiana, allora non sorprenderà che per salvare la Trust Company of America dal collasso, J.P. Morgan chiese al clero di New York di rassicurare la platea durante i sermoni.
In uno dei più celebri lavori di Oliver Stone, lo straordinario Michael Douglas nei panni dell’elefante di Wall Street, Gordon Gekko sentenziava:
«Il più ricco 1% del Paese possiede metà della ricchezza del Paese, 5 trilioni di dollari. Un terzo di questi viene dal duro lavoro, 2/3 dai beni ereditati, interessi sugli interessi accumulati da vedove e figli idioti, e dal mio lavoro, la speculazione mobiliare-immobiliare. È una stronzata, c’è il 90% degli americani là fuori che è nullatenente o quasi. Io non creo niente, io posseggo».
E ancora, rivolgendosi al giovane Bud Fox :
«Informazioni, non m’importa come, non m’importa dove le ottieni: ottienile».
Nel 1609 l’olandese Isaac Le Maire aveva le informazioni e probabilmente il primo hedge fund ³ della storia.
L’impresa bersaglio dell’operazione era la Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie (VOC), più comunemente conosciuta col nome di Compagnia delle Indie Orientali. Le Maire ne era già stato co-fondatore nel 1602, maggiore azionista e dirigente, poi allontanato dagli altri amministratori della società per una presunta falsificazione del bilancio inerente ad un viaggio di cui egli stesso era responsabile. Tanto l’autorità giudiziaria quanto la comunità Protestante olandese sanzionarono Le Maire, che nel febbraio del 1605 fu costretto a lasciare la direzione della società. Fu questo episodio ad alimentare un irrisolto moto di rivincita, sublimato da un lato nel tentativo di costituire una Compagnia delle Indie francese con l’appoggio di Enrico IV (sfortunatamente assassinato, assieme ai sogni di Le Maire, nel 1610), e dall’altro costruendo un fondo comune d’investimento per alterare il valore delle azioni VOC servendosi di un mercato euforico non troppo dissimile da quello dei moderni futures.
Per realizzare quest’ultimo obbiettivo, costituì assieme ad altri otto azionisti una società segreta che cominciò a speculare sul prezzo delle azioni, vendendone ingenti quantità allo scoperto, cioè senza possederle al momento della firma del contratto. Il senso della scommessa speculativa era evidente: un mercato orientato alla vendita, associato alla diffusione di notizie sul futuro incerto della Compagnia, avrebbero trasformato in carta straccia i titoli azionari della VOC, che però nel frattempo erano stati venduti dalla società occulta di Le Maire al prezzo pattuito alla firma del contratto – forward trading – e cioè prima del crollo indotto. In un secondo momento, poi, lo stesso Le Maire avrebbe potuto riacquistarle dai compratori originari ad un prezzo infinitamente più basso, scalando la compagnia e macinando profitti. Semplicemente vendendo aspettativa.
Nessuna azione veniva trasferita, e non c’era bisogno di effettuare alcuna transazione al momento della stipula. Nei mesi in cui lo schema di Le Maire veniva definito, ad esempio, un contratto forward a un anno per un’azione VOC aveva un prezzo maggiorato di circa il 7 percento rispetto al prezzo corrente dell’azione: tutti si aspettavano che queste sarebbero aumentate di valore almeno per una quota pari al tasso medio di interesse dell’epoca.
L’altro elemento della strategia di Le Maire, inerente all’utilizzo di informazioni riservate alla società per alterarne i valori azionari, gli fu utile sia per diffondere notizie sull’andamento tumultuoso degli affari VOC, sia in sede giudiziaria. Si presume che l’insider di questa operazione fosse Barent Lampe, capo contabile della Compagnia delle Indie, già avvicinato in segreto dagli emissari del Re di Francia Enrico IV, e con ogni probabilità collaboratore occulto di Isaac Le Maire.
Nella primavera del 1609 il corso azionario calò considerevolmente, e le conseguenze non tardarono ad arrivare: i dirigenti VOC redassero due denunce, una delle quali rivolta all’Assemblea Generale, chiedendo che la vendita di azioni allo scoperto fosse vietata per legge.
La perentoria risposta dei mercanti interessati nell’impresa di Le Maire, che argomentarono con dovizia di particolari le ragioni della propria estraneità al brusco calo (alludendo piuttosto al grado di incompetenza dei dirigenti della Compagnia delle Indie) non bastò contro uno Stato Olandese ancora troppo giovane per ricorrere a mezze misure nel salvataggio del suo fiore all’occhiello.
Il 27 febbraio 1610 un’ordinanza bandì l’utilizzo dello short selling stabilendo che le azioni fossero trasferite non più tardi di un mese dal momento dell’acquisto.
Temendo che il solo provvedimento non bastasse a riportare su livelli accettabili il trading rate delle partecipazioni, gli amministratori VOC a partire dall’aprile 1610 cominciarono a distribuire dividendi sotto forma di spezie (che in quegli anni non godevano di un mercato florido) e argento, non avendo modo di provvedere interamente in metallo. Questa ostentazione teatrale di solidità, associata alla diffusione di buone notizie sugli ultimi viaggi finanziati dalla Compagnia, contribuì ad un sostanziale aumento del corso, ponendo l’hedge fund ribassista di Le Maire in serissime difficoltà.
Fra i mesi di aprile e maggio del 1610, molti dei suoi sottoscrittori furono costretti a dichiarare bancarotta, Hans Bower ed il fratello addirittura coinvolti in accuse di frode, con la complicità del sopracitato capo contabile Barent Lampe.
Anche se non ci sono documenti che evidenzino l’insolvibilità di Le Maire, parecchie furono le conseguenze – anche in termini di asset posseduti – del fallimento della sua impresa. Nella primavera del 1611 lasciò definitivamente Amsterdam, trasferendosi ad Egmond, dove si rese protagonista di nuove imprese, sicuramente meno interessanti dal punto di vista speculativo.
Se Galbraith avesse trattato l’affaire VOC nel suo Breve storia dell’euforia finanziaria avrebbe probabilmente concluso che ancora una volta l’opinione pubblica, e gli addetti ai lavori rimasti illesi dallo scoppio della bolla speculativa, furono ben lieti di attribuire la responsabilità alle malefatte dei singoli o all’inconsistenza delle leggi in materia finanziaria, tacendo così in maniera rassicurante sul sentimento tanto diffuso quanto illusorio che da almeno quattrocento anni ripropone pedissequamente lo stesso schema speculativo: l’avidità per una ricchezza ventilata, promessa, potenzialmente infinita, in un lasso di tempo potenzialmente infinitesimale.
«La connessa illusione di possedere un intuito eccezionale è protetta, a sua volta, dall’impressione del pubblico che l’intelligenza, propria e degli altri, proceda fianco a fianco con il possesso di denaro».
Nel 1610, così come nel 2008, i maldestri tentativi di regolamentare il naked short selling à la Le Maire hanno volutamente ignorato il nesso fra speculazione e morale diffusa, stigmatizzando il recinto della disfunzione episodica e glorificando al contempo la perfezione del mercato libero. A proposito, dopo gli anni di flessione seguiti alla bolla dei subprime, indovinate quanto è tornata a costare una casa a New York.
1. Per short selling si intende la vendita di titoli allo scoperto, cioè non direttamente posseduti dal venditore. Esso è preceduto da un prestito titoli: il venditore se ne procura preventivamente facendoseli prestare da un intermediario, assicurandosi in tal modo di poterli consegnare al compratore. Nel caso di naked short selling non vi è invece alcuna forma di copertura preventiva; elemento che rende aleatoria l’effettiva consegna. Torna su
2. Per insider trading si intende l’abuso di informazioni riservate, ovvero lo sfruttamento di notizie non ancora pubbliche, concernenti un emittente di strumenti finanziari o uno o più di tali strumenti. L’illiceità della pratica trae origine dal fatto che lo speculatore possiede le informazioni in virtù di specifiche situazioni soggettive, in questo e in molti casi legate a fenomeni di corruzione. Torna su
3. Per Hedge Fund si intende un fondo comune speculativo che effettua investimenti, spesso ritenuti “alternativi” rispetto a quelli del mercato corrente. Si caratterizza per il numero ristretto di partecipanti, l’altissima quota minima di partecipazione, l’elevato grado di rischio della singola operazione intrapresa (cui si associa una necessaria diversificazione del portafoglio titoli) e, appunto, l’utilizzo copioso di strumenti finanziari “complessi”. Torna su
*Alessandro Fatigati è studente (poco assiduo) di economia presso l’Università Federico II di Napoli. Appassionato di filosofia, speculazioni di ogni genere e di storia del pensiero economico, per Non con i miei soldi curerà un approfondimento sulla storia delle crisi finanziarie, bizzarramente uguali a loro stesse da appena quattrocento anni.