Rating ESG, c’è l’accordo sulle nuove regole europee

Novità in vista per i fornitori di rating ESG: saranno supervisionati dell’ESMA e dovranno essere più trasparenti sulle metodologie usate

L'Unione europea ha introdotto nuove regole sul rating ESG © PeskyMonkey/iStockphoto

Più trasparenza, una supervisione più stringente, barriere ai conflitti di interesse. Sono gli obiettivi delle nuove regole per le attività di rating ESG (ambientale, sociale e di governance) sulle quali il Parlamento europeo e il Consiglio hanno raggiunto un accordo provvisorio nella serata di lunedì 5 febbraio. Dopo l’approvazione da parte di entrambe le istituzioni, si passerà alla procedura di adozione formale. Le nuove regole saranno applicate 18 mesi dopo l’entrata in vigore.

Cosa è il rating ESG e a cosa serve

Il rating nasce come valutazione del profilo di solvibilità di una società: un soggetto esterno indipendente, l’agenzia di rating appunto, esamina una serie di parametri finanziari e poi esprime un giudizio sulla capacità di quella società di far fronte ai propri debiti. Si può fare lo stesso anche per uno Stato.

Seguendo all’incirca il medesimo principio, il rating ESG misura il profilo di sostenibilità di una società o di uno strumento finanziario. Valuta dunque da un lato quanto quel soggetto sia esposto ai rischi ambientali, sociali e di governance; dall’altro lato, quale impatto abbiano le sue attività sulla società e sull’ambiente. È anche dal rating ESG, dunque, che dipende il fatto che i titoli o le obbligazioni di un’impresa finiscano – o meno – nel portafoglio di un fondo sostenibile. Complice anche la rapidissima espansione del settore, però, si è generata una certa confusione. Ogni agenzia usa le proprie fonti e sviluppa il proprio metodo, spesso difficile da confrontare con quello delle concorrenti.

Cosa cambia per i fornitori di rating ESG

È proprio su questo aspetto che è voluta intervenire la Commissione europea, proponendo a luglio 2023 una riforma che nei mesi successivi è stata discussa e modificata, fino ad arrivare al testo oggetto dell’accordo tra Parlamento e consiglio.

Per i fornitori di rating ESG che hanno sede nell’Unione europea, la prima grande novità sta nel fatto che dovranno ottenere un’autorizzazione dell’ESMA, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Sarà la stessa ESMA a supervisionare queste agenzie e sanzionare quelle che infrangono con le regole. I fornitori di rating ESG più piccoli potranno godere di un regime agevolato per un periodo di transizione di tre anni. Se lo riterrà opportuno, l’ESMA potrà anche scegliere di esonerarli da alcuni requisiti, valutando caso per caso.

Le agenzie che hanno sede all’estero, invece, potranno operare nell’Unione soltanto se riceveranno l’avallo di un’omologa europea, se saranno riconosciute sulla base di criteri quantitativi o se l’ESMA deciderà di includerle nel registro europeo dei fornitori di rating ESG, anche dopo essersi confrontata con le autorità del Paese in questione.

Più trasparenza sulla metodologia e contro il conflitto di interesse

Un altro capitolo cruciale è quello della trasparenza. Consiglio e Parlamento europeo hanno chiarito che il rating ESG, come suggerisce l’acronimo, comprende fattori legati sia all’ambiente, sia a società e diritti umani, sia alla governance. Ma in futuro bisognerà esplicitare quale sia il peso di ciascuna dimensione. In prospettiva, ci sarà anche la possibilità di fornire rating separati, per esempio solo ambientali. Gli operatori o i consulenti finanziari che vantano i rating ESG ai fini di marketing dovranno anche precisare la metodologia usata per calcolarli.

Negli scorsi mesi si è discusso molto anche dei potenziali conflitti di interesse. È corretto che una singola società fornisca rating ESG e nel frattempo anche rating creditizi, servizi bancari o assicurativi, di revisione o di consulenza? Inizialmente, la Commissione europea propendeva per un netto no. E chiedeva di separare legalmente i business. Una proposta che Europarlamento e Consiglio hanno ritenuto troppo radicale. Alla fine, è stato raggiunto un compromesso. Non serve che la società si scinda, se adotta «procedure e politiche interne appropriate» per scongiurare i conflitti di interesse. Questa deroga vale anche per le società che – oltre a fornire rating ESG – amministrano indici, come MSCI o Sustainalytics. Ma non per quelle che si occupano di consulenza, revisione e rating creditizio.


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