Questo articolo è stato pubblicato oltre 6 anni fa e potrebbe contenere dati o informazioni relative a fonti/reference dell'epoca, che nel corso degli anni potrebbero essere state riviste/corrette/aggiornate.

#bassafinanza 20: Dalle scarpe della Marcegaglia al profumo di Profumo, tutti i retroscena dell'assemblea di Eni

Questa puntata di #bassafinanza è dedicata all’Eni, il colosso italiano del petrolio. «Cosa c’entra Eni con la finanza?» vi chiederete. Mica è Goldman Sachs o ...

Fotografia: Alessia Pierdomenico/Bloomberg

Questa puntata di #bassafinanza è dedicata all’Eni, il colosso italiano del petrolio. «Cosa c’entra Eni con la finanza?» vi chiederete. Mica è Goldman Sachs o Monte dei Paschi! Beh, per cominciare, forse non tutti sanno che Eni ha una banca. Si chiama “Eni Banque SA”, si trova a Bruxelles e ha un capitale di 50 milioni di euro. Nella capitale del Belgio è registrata anche la società finanziaria di Eni, “Eni Finance International SA”, con 2,47 miliardi di euro di capitale. Sono società finanziarie interne che gestiscono le attività finanziarie del Gruppo: non hanno sportelli né bancomat o carte di credito. Fino al 2006, Eni Banque aveva sede alle Bahamas, poi però i bancari Eni erano sempre abbronzatissimi e davano troppo nell’occhio, oltre a suscitare l’invidia dei colleghi. E quindi si è optato per le nebbie e la pioviggine del Brabante e nessuno ha più avuto nulla da ridire.
Eni per fare i suoi investimenti ha bisogno di soldi. E chi glieli da? Gli investitori, piccoli e grandi e, naturalmente, le banche. Solo per fare un esempio, il 10 gennaio di quest’anno la società ha lanciato con successo un’obbligazione a tasso fisso da 750 milioni di euro con una durata di 10 anni e un tasso dell’1,5%. È stata collocata a pezzetti sul mercato da una serie di banche come Barclays, Citi, Ing, Santander e Unicredit, tutti nomi noti a chi frequenta questa rubrica dedicata alla finanza di bassa lega del basso impero. Le obbligazioni, che saranno negoziate presso la Borsa di Lussemburgo, sono state acquistate da investitori istituzionali (fondi, assicurazioni, banche, ecc..) principalmente in Germania, Francia e Regno Unito. Per capire dove sono finite di preciso potete esercitarvi googlando il codice ISIN XS1551068676, che è come la targa del titolo.
Insomma, motivi per ospitare Eni in #bassafinanza ce ne sono come se piovesse. Anche perché, da ormai dieci anni, la Fondazione Finanza Etica partecipa alle assemblee del cane a sei zampe come azionista critico. Ed è proprio dell’assemblea 2017, che si è tenuta a Roma il 13 aprile scorso, che vi parleremo in questa puntata, cercando di tirare fuori un po’ di lerciume da sotto il tappeto con l’aplomb che ci contraddistingue. La colonna sonora di questo numero? Non poteva che essere questa:



L’assemblea inizia alle 10. Prima di entrare si cospira in un baretto dell’EUR. Simon Taylor, della ONG britannica Global Witness e Antonio Tricarico si spartiscono le domande sulla presunta corruzione internazionale nell’acquisto della concessione OPL 245 in Nigeria, per la quale i pubblici ministeri milanesi hanno chiesto il rinvio a giudizio nientemeno che dell’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi. Giulia Franchi, sempre di Re:Common, prepara l’intervento sull’opacità delle strutture societarie attraverso le quali si gestisce il petrolio in Congo. Fondazione Finanza Etica interverrà invece per criticare il piano di Eni per lo sviluppo delle rinnovabili.



La presidente di Eni Emma Marcegaglia dà inizio all’assemblea mettendo le mani avanti: Eni negli ultimi 25 anni non è mai stata condannata, non paghiamo tangenti, in Nigeria non abbiamo usato intermediari ma abbiamo trattato direttamente con il governo, ecc. ecc. ecc.. Se è vero che Eni non è stata condannata, è utile però ricordare che, nel 2010, ha pagato 365 milioni di euro al Dipartimento di Giustizia USA e alla SEC (l’autorità di vigilanza dei mercati) per patteggiare in un caso di corruzione internazionale, sempre in Nigeria. E il patteggiamento equivale a un’ammissione di colpa.



Dopo l’introduzione di rito da parte della presidente Emma Marcegaglia e il resoconto sull’anno 2016 dell’amministratore delegato Claudio Descalzi, inizia la girandola di interventi degli azionisti critici: Global Witness, Re:Common e Fondazione Finanza Etica, che critica Eni sul piano rinnovabili: arrivato «tardi e male».



Per controbilanciare gli interventi critici scendono in campo, nell’ordine, Jacopo Fo (figlio del defunto Dario), l’ONG AVSI (Associazione Volontari Servizio Internazionale), il cui ex direttore Alberto Piatti è ora responsabile responsabilità sociale di Eni, l’associazione Medici con l’Africa Cuamm e l’ex-parlamentare del PD Jean-Léonard Touadi, originario della Repubblica del Congo. Tutti hanno parole di grande ammirazione e apprezzamento per Eni, soprattutto per le sue attività in Africa, a sostegno dello “sviluppo sostenibile del continente”.



Nell’intervallo, mentre Eni prepara le risposte alle decine di domande arrivate dagli azionisti, ci si dedica al buffet, dove trionfano le lasagne ai carciofi e provola e troneggia il girello di vitello alle erbe ma, per la prima volta, mancano le bollicine. Sarà un segnale?



Poi arrivano le risposte: sulla Nigeria Eni si chiude a riccio. Ma sulle rinnovabili l’amministratore delegato Descalzi si infiamma, alza la voce: «mi scaldo perché amo il mio lavoro, ci metto il sangue e la vita!» A fine assemblea, a microfoni spenti, ci chiede scusa per l’irruenza e propone un incontro a Milano con Fondazione Finanza Etica.



E infine i gadget: le pasticche al limone color zolfo dei giacimenti kazaki e l’ombrello argentato con l’effigie del cane a sei zampe.



E come in ogni assemblea che si rispetti, anche il calzino deve essere critico. #criticalsocks


Foto: Alessia Pierdomenico/Bloomberg