Perché la ripresa dipenderà anche dalle catene di approvvigionamento
Covid, clima e concorrenza. La pressione sulle catene di approvvigionamento di materie prime e componenti può compromettere la ripresa
La crisi economica provocata dalla pandemia rischia di essere più tenace del previsto. Anche per via della carenza di numerose materie prime e componenti. E per le crescenti difficoltà nelle catene di approvvigionamento (supply chains). La produzione industriale nell’eurozona, negli ultimi mesi, ha già subito importanti ripercussioni. Ad agosto la contrazione è stata dell’1,7%, mentre a settembre il calo è stato dello 0,2%, secondo i dati comunicati a metà novembre da Eurostat.
Le fabbriche automobilistiche girano al rallentatore
Le difficoltà di approvvigionamento di materie prime, componenti, microprocessori, la mancanza di container e gli ingorghi nei porti stanno provocando infatti difficoltà crescenti. A patire le conseguenze peggiori è l’industria automobilistica. Caso emblematico, in questo senso, quello della Volvo.
All’inizio di novembre il colosso automobilistico svedese ha fatto sapere che le sue esportazioni verso la Cina sono calate di un terzo, mentre le vendite in Europa del 21%. Ciò per via, semplicemente, della «mancanza di vetture disponibili». Skoda, allo stesso modo, ha annunciato un calo della produzione. Mercedes ha deciso di limitare gli accessori sui modelli proposti.
L’illusione della scelta
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Mancano fari a led, caricatori di batterie e sistemi audio. Le fabbriche europee girano così al rallentatore. Il calo della produzione di auto potrebbe essere nell’ordine di alcuni milioni. E secondo la Banca dei regolamenti internazionali, per una nazione come la Germania potrebbe tradursi in uno 0,5% di Pil in meno. Non a caso la produzione industriale nella prima economia europea è del 9,5% più bassa rispetto al periodo pre-Covid. Similmente, la Francia registra un -5,2% (al contrario, Spagna e Italia per ora sembrano resistere meglio da questo punto di vista).
La diminuzione delle scorte dopo i lockdown
La ragione principale di tutto ciò è legata al fatto che la pandemia ha disorganizzato le catene di produzione e di approvvigionamento di tutto il mondo. In primo luogo, i lockdown hanno spinto molte persone, non potendo più recarsi al cinema, a teatro, in vacanza o nei ristoranti ad acquistare beni come televisori, cellulari o computer. Ciò ha portato le aziende a diminuire le loro scorte e, ora, a tentare di ricostituirle. Provocando una forte pressione sulle materie prime.
Così, tra Stati Uniti e Cina è emersa una concorrenza spietata sugli ordinativi. È il caso del settore delle costruzioni. PVC, ferro, acciaio, legno: alcuni prodotti necessari per rivestimenti, strutture o tetti sono improvvisamente diventati più rari. E ben più cari. La maggior parte dei fabbricanti, inoltre, è situata in Asia. La globalizzazione da decenni ha infatti spinto numerose aziende a delocalizzare la produzione. Tanto che, in Europa, è stata creata un’alleanza per tentare di sviluppare una filiera dei semi-conduttori nel Vecchio Continente, che possa raggiungere il 20% della produzione mondiale entro il 2030.
Il peso sulle catene di approvvigionamento
Al contempo, le supply chains sono state in numerosi casi bloccate a causa dei casi di Covid che hanno colpito il personale dei settori di trasporti e logistica. Non a caso, anche per via dell’apparizione della variante Omicron del coronavirus, il ministro dei Trasporti degli Stati Uniti, Pete Buttigieg, ha affermato che i problemi nelle catene di approvvigionamento mondiali proseguiranno anche nel 2022. Il che oltre a complicare il lavoro delle aziende, sta anche facendo salire i prezzi di numerose materie prime.
Già nei mesi scorsi, a causa delle difficoltà di approvvigionamento, la Nike aveva annunciato il rischio di non poter fornire alcuni prodotti, tra vestiti e scarpe. Ciò a causa della chiusura temporanea delle fabbriche in Indonesia e a Taiwan. Un problema che ha fatto perdere circa dieci settimane di produzione. E al quale si è aggiunto un raddoppio dei tempi di transito delle merci tra l’Asia e l’America del Nord. Per via della mancanza di personale e di container disponibili.
Allo stesso modo, in estate, il colosso Ikea lamentava la mancanza di mille voci nell’assortimento di mobili e accessori. E la società proprietaria di pub inglese JD Wetherspoon lamenta mancanza di birre, come anche le catene di fast food Nando, McDonald’s e Gregg.
La pressione degli eventi estremi dovuti ai cambiamenti climatici
In tutto ciò si incardina anche il problema dei cambiamenti climatici e degli eventi meteorologici estremi che esso comporta. Alla fine dello scorso mese di agosto, numerosi produttori di pasta hanno sottolineato le difficoltà legata ai raccolti di grano. In Europa le piogge troppo abbondanti hanno colpito le derrate, sia in termini di quantità che di qualità. Alcuni raccolti sono stati così declassati e utilizzarti come mangime per il bestiame.
In Canada, Paese quinto al mondo in termini di produzione di grano, le ondate di caldo straordinario che si sono abbattute sulla porzione occidentale del territorio in estate sono state devastanti. Il risultato è che il prezzo del grano, a livello storico, è aumentato sensibilmente. La possibile conseguenza è il rischio di un preoccupante aumento della fame nel mondo, soprattutto nelle aree del mondo già vulnerabili.