Anche in Italia il salario dignitoso spesso è un miraggio
Fare la spesa, pagare l’affitto, affrontare l’inizio dell’anno scolastico o cure mediche: tutto diventa più difficile senza un salario dignitoso.
Il 25 settembre 2013, in Bangladesh, le lavoratrici della moda hanno incrociato le braccia chiedendo di non lavorare più per pochi spiccioli. A maggior ragione se, per abbassare i prezzi, a rischiare la vita è chi produce materialmente le merci. La Clean Clothes Campaign, che da anni promuove la necessità di adeguare gli stipendi al costo della vita, ha scelto di celebrare quello sciopero per sollecitare organizzazioni, sindacati, attivisti e società civile di oltre trenta Paesi. È arrivato il momento, secondo la campagna, di attivarsi per riconoscere un diritto universale fino a ora negato. La prima edizione della Giornata mondiale per un salario dignitoso è stata il 25 settembre 2024.
La povertà lavorativa in Italia
A maggior ragione l’invito è valido per il nostro paese, schiacciato dalla povertà lavorativa. Siamo gli unici, in area OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), in cui i salari sono diminuiti anziché salire. Nel 2022 più di 5,5 milioni di famiglie vivevano sotto la soglia di povertà. In più della metà dei casi, almeno un componente ha un’occupazione. Un lavoro malpagato, povero, che non basta per le spese di ogni giorno.
Fare la spesa, pagare l’affitto, affrontare l’inizio dell’anno scolastico o le cure mediche, spostarsi, comprare vestiti o essere in grado di affrontare un’emergenza. In Italia tutto diventa più difficile, un’operazione funambolica che fa arrivare col fiatone alla terza settimana del mese.
Nel frattempo si susseguono una crisi dopo l’altra, l’inflazione galoppa portando i prezzi a +17,3% negli ultimi tre anni. Lavoratori e lavoratrici stringono la cinghia, le famiglie arrancano.
Le imprese tagliano solo sui salari, anche nelle filiere del lusso
In gran parte dei casi, quando chi lavora prova a chiedere un salario dignitoso, la risposta è che lederebbe la sostenibilità economica dell’azienda. Ma nel 2020, in Italia, lo stipendio di un manager tra i più pagati era di 649 volte superiore a quello di un suo operaio. Una pantomima che si verifica in ogni settore produttivo. Come nella moda, dove i profitti elevati sono figli della compressione dei costi di produzione e dei salari. Anche nelle filiere del lusso. Una situazione che secondo Deborah Lucchetti, coordinatrice italiana della Clean Clothes Campaign, «non è più accettabile. Le operaie del tessile non possono continuare a lavorare in condizioni di sfruttamento e violazione dei diritti fondamentali, ricevendo in cambio salari da fame. Per questo è arrivato il momento di istituire un salario minimo dignitoso per ogni lavoratrice in qualunque parte della filiera operi».
Il modo in cui si fa impresa, secondo la campagna, è finalizzato solo a far crescere i profitti. Si arricchisce sempre di più un numero sempre più ristretto di persone, mentre la maggior parte del pianeta ha fame. Non si tratta solo di un’ingiustizia sociale: è un meccanismo insostenibile anche dal punto di vista ambientale. Lo stesso impegno per la giusta transizione di molti marchi, secondo Clean Clothes Campaign, non è altro che greenwashing, se non accompagnato da un salario dignitoso. È l’unica strada, spiegano, per uno sviluppo socio-economico realmente equo.
Come si calcola un salario dignitoso?
Ma come si calcola un salario dignitoso? A questa domanda, secondo la Clean Clothes Campaign, si risponde a partire dalla dignità umana e non dalla produzione. Un salario che vuole essere dignitoso deve basarsi, in altre parole, su quanti soldi servono per vivere in maniera decente.
Guardando al costo della vita, calcolato a partire dalle famiglie e non dagli individui, in Italia questo non è possibile con meno di 2mila euro al mese. Una persona che lavora 40 ore a settimana, nel 2024, alle attuali condizioni di inflazione, deve dunque essere retribuita almeno 11,50 euro netti l’ora. Sono già 95 euro al mese in più rispetto agli stessi calcoli fatti nel 2022. E, mentre chi lavora continua a perdere potere d’acquisto, almeno tre lavoratori su quattro, in Italia, sono al di sotto di questa soglia, guadagnando meno di 24mila euro l’anno.