Moda e finanza: così Shein prova a farsi strada in Borsa
Shein cerca la quotazione in Borsa e ingaggia lobbisti per aggirare le accuse su violazioni dei diritti umani e ambiente
Si chiamano Kashyap “Kash” Patel, Peter Mandelson, Günther Oettinger, Kamella Hudson e Christophe Castaner. Se i loro nomi non ti dicono niente è normale. Il loro mestiere, infatti, è quello dei lobbisti. (Alcuni, a dire il vero, sono anche politici, come Castaner che è stato dell’Interno in Francia dal 2018 al 2020). E il lavoro dei lobbisti non si svolge sotto ai riflettori.
Questi lobbisti, in particolare, lavorano per Shein con l’obiettivo di smussare le critiche sul suo modello di business e facilitarne la quotazione in borsa. È quanto emerge da un’inchiesta condotta da Follow the money che traccia un profilo delle persone che il colosso cinese della fast fashion ha selezionato per perorare la propria causa. E dei loro legami con leader mondiali come Donald Trump, Emmanuel Macron e Keir Starmer.
Nel 2024 Shein ha tentato di quotarsi in Borsa negli Stati Uniti, senza successo. Ci sono state domande sulla catena di produzione, con preoccupazioni particolari sollevate sul potenziale utilizzo di lavoro forzato da parte di Shein nella provincia cinese dello Xinjiang. E la quotazione alla Borsa di Londra sta prendendo più tempo del solito. Forse Shein spera che con gli accessi alle giuste stanze si possano superare alcuni impicci legati agli impatti ambientali e alla violazione di diritti umani per garantirsi affari miliardari.
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