La Silicon Valley Bank e gli indovini del giorno dopo

I manager di SVB hanno venduto milioni di dollari di azioni della banca prima del fallimento. E per le agenzie di rating era tutto ok

Una sede della SIlicon Valley Bank © Sundry Photography/iStockPhoto

Sono diversi gli articoli usciti negli ultimi giorni e che ripercorrono le cause che hanno portato al fallimento della Silicon Valley Bank o SVB. Se è giusto analizzare cosa non ha funzionato, è probabilmente ancora più importante provare a capire quali conseguenze potrebbero esserci nel prossimo futuro. E sono diverse le ombre che si allungano, anche al di là del pesante ribasso di gran parte delle Borse mondiali a cui abbiamo già assistito.

Andrea Barolini e Alessandro Volpi, Radio Onda d’Urto – 14 marzo 2023

Il fallimento di SVB è un problema finanziario, ma anche di fiducia

La prima riguarda le conseguenze del fallimento per le molte start up e imprese ad alta tecnologia e del settore informatico e digitale che utilizzavano proprio la SVB come banca di riferimento.

Da un lato c’è un problema finanziario. Dall’altro, ed è forse anche più grave, un problema di fiducia. Veniamo da mesi caratterizzati da pesanti tagli del personale di quasi tutti i big di internet. Cosi come dallo scandalo che ha coinvolto FTX, una delle principali piattaforme di scambio di criptovalute del mondo, accusata di avere utilizzato illecitamente i fondi di moltissimi clienti (si parla di un milione di potenziali truffati) per proprie operazioni. Non a caso, una delle prime società a prendere posizione dopo il fallimento della SVB è stata Binance, forse la più grande piattaforma di scambio di criptovalute al mondo. Che si è affrettata a segnalare che «vogliamo dire alla nostra comunità che i fondi di tutti i consumatori sono al sicuro e accessibili».

Le preoccupazioni per il sistema bancario

La seconda preoccupazione legata al crack SVB è per il sistema bancario, e in particolare per molte banche di medie dimensioni negli Stati Uniti. Le azioni di diversi istituti hanno perso anche più del 50% del valore nella sola giornata di lunedì. Il primo giorno di contrattazioni dopo il fallimento di SVB.

Ma le ombre si allungano anche sugli istituti di maggiore dimensione e su quelli dall’altra parte dell’oceano. Credit Suisse, che negli ultimi mesi ha già dovuto attraversare diverse vicissitudini, ha visto i CDS raggiungere nuovi record. Si tratta di derivati che permettono di assicurarsi contro il fallimento di un’impresa finanziaria o di uno Stato. E in qualche modo misurano quanto il mercato pensa che tale fallimento possa essere probabile.

La finanza è troppo spesso trattata come una “scienza esatta”

Ma se il mondo guarda alle imprese legate alla SVB e al sistema bancario, c’è un altro ambito che dovrebbe preoccupare molto di più, e che riguarda proprio le previsioni sul futuro in generale. Se è vero che la finanza è intrinsecamente caratterizzata da rischio e incertezza, è altrettanto vero che da anni ci viene presentata quasi come una “scienza esatta”. Guidata da modelli statistici ed econometrici sempre più complessi e sofisticati, in grado di guidare con precisione matematica le scelte di investimento. La crema delle migliori università, assieme a eserciti di esperti, analisti, commentatori vengono arruolati per applicare e interpretare tali modelli. Che hanno (quasi) tutti sonoramente fallito.

Vediamo alcuni tra i più clamorosi. A febbraio 2023, pochi giorni prima del crack, la stessa SVB dichiarava orgogliosamente di essere stata inserita per il quinto anno consecutivo nella lista delle migliori banche americane stilata da Forbes, considerata una delle più autorevoli fonti di informazione in materia finanziaria degli USA.

Gli errori delle agenzie di rating

Ma c’è di peggio. Le principali agenzie di rating, ovvero le società che sono pagate proprio per dare un voto all’affidabilità di imprese e strumenti finanziari, consideravano SVB investment grade, cioè un investimento relativamente sicuro e poco rischioso, fino a poche ore prima del fallimento. 

Ancora l’8 marzo Moody’s, una delle più importanti agenzie di rating, assegnava alla SVB un bel “A3”, ben quattro livelli sopra il limite dell’investment grade. Solo il giorno dopo, con la chiusura della SVB e la decisione di porla in amministrazione controllata, Moody’s riduceva di 13 livelli in una botta sola il voto, portandolo di colpo a “C”. Ovvero livello “default”. 

Non diverso il percorso di un’altra delle maggiori agenzie di rating, ovvero S&P. È del 9 marzo la decisione di scendere di un livello fino a “BBB-“, sempre all’interno dell’investment grade. Dopo il collasso, il 10 marzo, il voto viene ridotto di 10 livelli fino a D. Anche qui il voto più basso e sinonimo di default. 

Vicende che hanno del clamoroso, ma che non sono certo nuove. Già ai tempi della peggiore crisi finanziaria della storia recente, quella dei mutui subprime, le principali agenzie di rating continuarono a dare un voto ampiamente all’interno dell’investment grade a Lehman Brothers, fino a pochi giorni se non poche ora prima del fallimento.

La finanza è in realtà molto meno affidabile di quanto ci viene dipinto

È possibile che con tutte le risorse e la tecnologia a disposizione non si potesse fare di meglio? Anche perché sembra che qualcuno avesse capito, o per lo meno abbia azzeccato il momento giusto per vendere. Parliamo del presidente e amministratore delegato di SVB che il 26 febbraio, un paio di settimane prima del fallimento, vendeva poco più di 3,5 milioni di dollari di azioni della stessa SVB. Un comportamento seguito da altri top manager della stessa banca. 

Sarà stata solo una fortunata coincidenza, per carità. Certo che un’alta finanza che pretende di decidere le sorti del mondo e dettare le regole dall’alto di modelli matematici incredibilmente complessi, spesso appare molto, ma molto meno affidabile ed efficiente dell’immagine che ci viene quotidianamente dipinta.