Strade senza uscita: un libro sulle autostrade e gli sprechi di denaro pubblico
Tagliare nastri sembra essere lo sport più diffuso tra amministratori pubblici e politici del Belpaese. Cantieri, cantieri e ancora cantieri. Potrebbe essere questo lo scenario ...
Tagliare nastri sembra essere lo sport più diffuso tra amministratori pubblici e politici del Belpaese. Cantieri, cantieri e ancora cantieri. Potrebbe essere questo lo scenario che si presenterà ai nostri occhi nei prossimi anni, se andranno in porto gli oltre 2.000 km di nuove autostrade preventivate. Costo stimato: 50 miliardi di euro.
La nuova colata di asfalto, spiega Roberto Cuda, giornalista che si occupa di economia e di finanza nel suo libro Strade senza uscita, colpirà soprattutto le regioni del Nord e in particolare la Lombardia, dove le arterie in costruzione aumenteranno del 90 per cento l’attuale dotazione autostradale. Una bomba inesplosa che potrebbe sfigurare per sempre il paesaggio ma anche cambiare gli assetti del potere economico nel nostro Paese.
Tuttavia, ci rivela l’autore, molti progetti sono al palo e la colpa non è degli ambientalisti, ma delle finanze. Le decantate «grandi opere» non hanno la copertura necessaria. I soldi a disposizione sono pochi e le banche, che si erano gettate a capofitto nella partita, ora si stanno sfilando.
Che sta succedendo? Conviene davvero investire su queste strade?
Un caso emblematico è quello della BreBeMi, che pure ha avuto i finanziamenti: 62 km di autostrada per 2,4 miliardi di euro complessivi, costo raddoppiato negli ultimi anni, per rientrare dal quale la concessionaria dovrà incassare 10 milioni di euro al mese per 20 anni. Intanto, la Milano-Serravalle è sull’orlo del fallimento. Una cosa è certa, spiega Cuda: grazie ai «trucchi» del project financing all’italiana, ad accollarsi i rischi non saranno i Signori del cemento ma gli italiani, sui cui ricadranno i debiti accumulati.
Roberto Cuda – Strade senza uscita. Banche, costruttori e politici. Le nuove autostrade al centro di un colossale spreco di denaro pubblico – Castelvecchi
Dalla prefazione di Anna Donati
Questo è un libro utile, direi necessario, che aggiorna gli ultimi dieci anni di storia delle concessionarie autostradali italiane, dove nonostante la grave crisi economica, calo del traffico, mancanza di risorse pubbliche e private, debolezza del sistema bancario, crisi ambientale e consumo di suolo, ci si ostina a voler costruire ancora 2000 chilometri di nuove autostrade dal costo stimato di circa 50 miliardi di euro.
Risorse che nessuno ha, semplicemente indebitando e pregiudicando il futuro, come dimostra in modo inesorabile questo testo di Roberto Cuda, che svela gli intrecci tra concessioni autostradali, consigli di amministrazione, imprese di costruzioni, banche e politica: una lunga storia di affari, inchieste e politiche assenti o sbagliate nel campo dei trasporti.
Una storia partita nel dopoguerra con l’avventura autostradale degli anni ’60, poi fermata a causa della crisi petrolifera e dei conti che non tornavano, come certificò la Commissione Adorisio nel 1975, e come scrisse lucidamente l’ing. Guglielmo Zambrini su questioni di mobilità, trasporti e territorio intorno alla Politica autostradale e Programmazione. Poi il tentativo di rilancio negli anni ‘80 con il Piano Decennale di grande viabilità, di nuovo fermato nel 1992 dalla magistratura con le inchieste “mani pulite” su “tangentanas”, che provocò un brusco arresto, non solo a parole ma molto concreto, di un intero sistema affaristico e politico legato alla costruzione di strade ed autostrade.
Dalla fine degli anni ’90, riparte il rilancio dei progetti autostradali grazie alla proroga generalizzata della durata delle concessioni invocata per realizzare nuovi investimenti grazie alle tariffe da incassare – in genere ventennale ed autorizzata proprio dai fautori del libero mercato. Poi la privatizzazione delle concessionarie pubbliche, a partire da Autostrade per l’Italia, autentica gallina dalle uova d’oro dell’I.R.I., ceduta ai privati proprio quando – realizzati a carico delle casse pubbliche i maggiori investimenti – era giunta l’ora di incassare dai pedaggi e ripagare il pesante debito pubblico generato.
Basta scorrere il libro del prof. Giorgio Ragazzi, I Signori delle Autostrade, per questa storia poco edificante per l’interesse pubblico. Infine, come documenta benissimo questo libro, si ripropone la solita vecchia lista di autostrade da realizzare con la nuova Legge Obiettivo voluta dal Governo Berlusconi nel 2001 per semplificare la realizzazione di grandi opere “strategiche” ma aggiornata con nuove parole d’ordine: il Project Financing, l’autofinanziamento, il mercato che paga le grandi opere.
Proprio su questa ultima fase si concentra la rigorosa ricerca di Roberto Cuda, smascherando con dati incontestabili che non si tratta di capitale di rischio messo da soggetti privati, che non è vero che le nuove autostrade si ripaghino da sole con i pedaggi, e certificando la prudenza delle banche e dei fondi d’investimento a sostenere le nuove opere.
Grandi proclami e pompose inaugurazioni ma che dietro hanno il vuoto dei piani economici e finanziari, in realtà sempre protetti da garanzie pubbliche che assumono via via nuove forme ma senza in realtà cambiare la sostanza: l’allungamento della durata della concessione, il contributo a fondo perduto, il valore di subentro alla scadenza della concessione, il commissario straordinario, la vendita (o svendita) di azioni delle concessionarie pubbliche per far quadrare i conti, il “Prestito Ponte” delle banche in cambio di garanzie pubbliche, l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, il Proiect Bond, ed infine il credito d’imposta con la defiscalizzazione per aiutare i soggetti privati a realizzare le nuove autostrade, di recente approvazione.
Ed è proprio su questo crescendo di finanza “privata” in realtà garantita dal sistema pubblico che si concentrano diversi capitoli fondamentali di questo testo, arrivando a dimostrare che molte delle principali opere inaugurate di recente – come la Tangenziale Est Esterna di Milano o la Pedemontana Veneta – hanno finanziamenti e garanzie solo per piccoli lotti, creando dunque le premesse per opere incompiute, nuovi debiti per i futuri bilanci dello stato, e soprattutto per alimentare una pressione indebita verso la politica e le istituzioni, per trovare le risorse per il completamento delle opere già in corso.
E’ una vecchia tattica sempre utilizzata in modo consapevole dai fautori delle autostrade che gli ambientalisti ben conoscono: quando si propone un nuovo progetto l’opera si ripaga da sola in autofinanziamento e quindi come possono lo Stato, i Comuni ed i cittadini non accettare un simile regalo? Poi quando si passa alle approvazioni ed i costi crescono allora si cercano garanzie e soldi pubblici per far partire almeno un pezzo di nuova autostrada. Ben sapendo che poi una volta avviato il cantiere si metterà in moto un intero sistema territoriale per evitare l’incompiuta e lo scempio, che chiederà a gran voce – a partire da Comuni e Sindacati – il completamento dell’opera.
“Strade senza uscita” descrive in modo preciso e documentato chi sono i protagonisti ed i personaggi di questo “sistema” viziato, a partire dal mondo delle imprese di costruzioni, delle banche e della finanza, in realtà “porte girevoli tra politica e concessionarie” autostradali, spesso con forte contiguità se non con l’impegno diretto, nei Partiti ed in Parlamento, che decide (o dovrebbe decidere) le regole del settore. Così come parla di “sottobosco dell’illegalità”, raccontando di numerose inchieste della magistratura, che hanno coinvolto molti protagonisti del sistema, sia sul fronte delle imprese, delle banche che della politica.
Ma il libro non è solo di denuncia sul “sistema autostrade” ma contiene anche una significativa analisi sulla politica dei trasporti e sul deficit infrastrutturale che pesa sul nostro paese, dove tra studi e confronti con altri paesi europei, si capisce che il vero deficit in Italia è nelle città e nelle aree urbane, dove mancano davvero chilometri e chilometri di reti metropolitane, tranviarie, ferrovie locali e servizi per i pendolari, per essere allineati alle più competitive ed efficaci esperienze delle città europee. Qui dovrebbero concentrarsi le scarse risorse pubbliche e tutte le garanzie e protezioni pensate per il sistema autostradale italiano, per migliorare la mobilità urbana dove si spostano due terzi della popolazione, per aprire cantieri utili, per dare occupazione e sostegno ad un green new deal utile al Belpaese.
Racconta anche dell’impegno di ambientalisti, associazioni e comitati sparsi sul territorio per contrastare le autostrade sbagliate, capaci di leggere gli impatti ambientali, i piani finanziari gonfiati o inesistenti, smascherare proposte superate e dati di traffico, ed anche proporre alternative, magari con l’aiuto di esperti, credibili e praticabili al modello “tutto strada”. Che fanno propria la famosa frase di Goudevert, ex presidente della Ford Germania: “Chi semina strade e parcheggi, raccoglie traffico e code”, riportata anche nel testo, che insieme a dati aggiornati su ambiente, salute, consumo di suolo, tutela del paesaggio e del territorio agricolo, futuro dell’auto e fine del petrolio, spiegano l’impatto ambientale e l’assenza di una strategia “capace di futuro” che sta sempre dietro queste scelte che vengono dal passato e vengono riproposte senza troppe domande per il futuro “all’infinito”.
Alla fine tra le tante sensazioni che si ricavano dalla lettura di “strade senza uscita” ne resta una amara verso la maggioranza trasversale della politica pubblica: che anche quando non è apertamente complice del sistema insieme a banche e costruttori, risulta insensibile e debole, senza una politica dei trasporti che orienti in modo coerente le scelte verso la sostenibilità economica ed ambientale. Senza la capacità di contrastare in mondo lungimirante la lista delle grandi opere, più preoccupata di una “valutazione di impatto elettorale” di breve periodo con l’annuncio dell’opera, piuttosto che ad offrire soluzioni durature ai problemi in tempi di crisi economica ed occupazionale. Incapace di definire regole e vigilanza per fare “l’interesse pubblico” nel sistema dei trasporti e delle infrastrutture, diventando quindi ostaggio di un sistema potente come quello delle concessionarie autostradali, capace di orientare la comunicazione, le opinioni, se non direttamente il sistema di finanziamento ed elezione del sistema politico.