Sustainability-linked bond in caduta libera: più che dimezzata la raccolta nel 2024
Tra difetti strutturali, accuse di greenwashing e avversione agli strumenti Esg, i sustainability-linked bond perdono terreno
I sustainability-linked bond sono obbligazioni legate alle performance di sostenibilità delle aziende che ne fanno ricorso. Nello specifico, alcune loro caratteristiche – come il rendimento – sono legate a specifici indicatori prestabiliti. Ad esempio riduzione delle emissioni nette, decarbonizzazione, aderenza agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Quindi, al contrario delle obbligazioni green, social e sustainable, queste non vanno a finanziare direttamente specifici progetti di sostenibilità. E hanno requisiti di trasparenza e monitoraggio meno onerosi.
Molte meno nuove emissioni di sustainability-linked bond
Dalla loro creazione fino al 2023, questi strumenti avevano raccolto circa 280 miliardi di dollari a livello globale. E l’Italia figurava al primo posto per somma raccolta, seguita da Francia, Germania e Cina. A far la parte del gigante nel nostro Paese? Enel. Oltre ad averli usati per prima, l’azienda resta la maggiore emittente al mondo con più di 31 miliardi a novembre 2023 e ulteriori emissioni nel 2024.
Ad oggi, la cifra raccolta a livello globale è salita a circa 320 miliardi. Un aumento molto meno marcato rispetto agli anni precedenti. Infatti, se nel 2021 le emissioni complessive di sustainability-linked bond avevano superato i 100 miliardi di dollari (dalle poche decine dell’anno precedente), negli anni seguenti la cifra è andata sempre a diminuire. E nel 2024, secondo un articolo di Bloomberg pubblicato a dicembre, la raccolta ha sfiorato i 38 miliardi. Meno della metà rispetto all’anno precedente.
I problemi strutturali e di credibilità dei sustainability-linked bond
Le ragioni? Tante e variegate. A partire dalle caratteristiche intrinseche dello strumento. Per esempio, monitorare il raggiungimento degli obiettivi può risultare molto difficile. La scarsa ambizione di questi ultimi, la poca trasparenza sui progressi fatti (e sugli indicatori per misurarli) e le penalità che derivano dal mancato raggiungimento hanno destato diverse critiche.
C’è per esempio chi accusa le aziende di scegliere penalità facili da implementare e sostenere economicamente. In questo modo, paradossalmente diventano più convenienti rispetto al raggiungimento degli obiettivi. Spesso esse consistono in un aumento del rendimento dello strumento. Come è successo ad alcuni bond di Enel quest’anno, dato che l’azienda non ha centrato gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Ma, in altri casi, i rimedi sono molto più difficili da tracciare. Ad esempio, alcune obbligazioni prevedono che sia sufficiente fare una donazione o comprare carbon credits.
Tra accuse di greenwashing e avversione agli strumenti Esg
Infine, anche questi strumenti sono spesso stati tacciati di greenwashing. Un report dell’International capital market association di ottobre 2023 ha rivelato che, sulle prime 100 aziende con l’ammontare maggiore di emissioni di sustainability-linked bond, ben 15 erano state oggetto di controversie.
Entra in gioco anche il minore appeal per gli strumenti Esg, l’acronimo inglese di “ambiente, società e governance”, i tre criteri attraverso i quali dovrebbe essere valutata la sostenibilità. Dovuto anche al contesto internazionale e a regolamentazioni più rigide (soprattutto in Europa, il mercato maggiore dei sustainability-linked bond). Fino all’avvento (o al ritorno) di politiche e orientamenti meno attenti alla sostenibilità, testimoniati – e favoriti – dalla rielezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti e dalla messa in discussione del Green Deal in Europa. Tanto che quest’anno, negli Stati Uniti, non c’è ancora stata nessuna emissione di sustainability-linked bond. E, infatti, sono proprio le Americhe a registrare il calo più netto. Superate, per la prima volta, dall’Asia.
È tutto ciò che è “sostenibile” a essere sotto attacco
Il minor utilizzo dei sustainability-linked bond, quindi, è dovuto anche al generale clima di avversione nei confronti di tutto ciò che è marchiato come “sostenibile” o con l’acronimo Esg. «Negli Stati Uniti c’è stato un dibattito surreale negli ultimi mesi intorno agli stessi termini Esg, sostenibilità e dintorni», dice Andrea Baranes di Fondazione Finanza Etica. «Diverse voci sono arrivate a dire che ogni attenzione all’ambiente da parte della finanza era “anti-americana”, perché poteva avere impatti sull’economia e l’occupazione, visto il numero di posti di lavoro e la quantità di Pil legati al petrolio negli Stati Uniti. Tant’è che molti dei maggiori investitori istituzionali hanno smesso di usare termini come Esg perché “troppo controversi”».
«In Europa, al contrario, regna una confusione enorme. Definizioni differenti in diverse direttive, spesso parziali o che si sovrappongono, comportano difficoltà tanto per le imprese quanto per la finanza. Difficoltà che ora diventano alibi per scardinare il poco che è stato fatto. Con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che ha dichiarato recentemente che vuole riaprire le norme sulla rendicontazione di sostenibilità, sulla tassonomia e sulla due diligence per farne una sola legislazione “omnibus”. In queste condizioni è estremamente difficile ritrovarsi, la confusione genera incertezza».
Ed è di questa incertezza che alcuni fondi approfittano facendo uso di definizioni alternative per vendersi come sostenibili ai clienti. Spiega Baranes: «In generale, per dirsi “sostenibili” ai sensi per esempio della CSRD (la direttiva sul reporting di sostenibilità) bisogna rispettare tutta una serie di vincoli e controlli. Molti fondi però sfruttano confusione e asimmetrie informative dei clienti per descriversi come “green”, “amici del clima”, “in transizione” o qualsiasi altro termine che non comporti il rispetto di una qualche legislazione».