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Tassare di più ricchi e imprese: l’arma di Biden per uscire dalla crisi

La riforma fiscale è stata un pilastro della campagna elettorale di Joe Biden: le tasse per uscire dalla crisi da coronavirus

La politica fiscale è una delle armi su cui punta Joe Biden nella sua campagna elettorale, per vincere le elezioni Usa e portare il Paese fuori dalla crisi. Tra le sue proposte anche quella di realizzare la riforma sanitaria disegnata da Obama © janeb13 Pixabay License per uso editoriale

Il coronavirus, e la crisi economica che ha provocato, hanno travolto (e stravolto) gli Stati Uniti. Un Paese che ha visto morire per la pandemia 231mila persone, con oltre 9 milioni di contagiati, dove un quinto degli americani è senza lavoro e che sta affrontando la peggiore crisi economica dalla seconda Guerra mondiale. Anche nelle ultime elezioni americane la crisi ha avuto un peso enorme. E durante la campagna elettorale le proposte dei due candidati per tirare fuori dal guado il Paese hanno avuto un grande rilievo. In tal senso, la politica fiscale ha acquistato un’importanza superiore rispetto a ogni altra elezione Usa. 

coronavirus negli Usa
La mappa del coronavirus negli Usa (dal New York Times, www.nytimes.com/interactive/2020/us/coronavirus-us-cases.html)

Biden ha puntato sulle tasse, Trump no

In realtà ad aver preso questa strada è stato soprattutto il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden: “Più tasse, più spesa” è stato uno dei motti della sua campagna elettorale. Donald Trump non ha fatto altrettanto: la riforma fiscale è stata un pilastro della “Trumpeconomics” durante il suo mandato, non tanto durante la campagna elettorale. Quello che voleva fare, lo ha già fatto nel 2017, con la firma del Tax Cuts and Jobs Acts (Tcja), che ha diminuito l’imposizione fiscale ad aziende e persone fisiche e generato un maxi rientro di capitali (3.300 miliardi di dollari). Ora dichiara che qualsiasi aumento delle tasse per i ricchi sarebbe rovinoso per l’economia. Trump dichiarava di voler mantenere le tasse più basse emanate nel 2017 nel Tcja, che scade alla fine del 2025, e voler approvare ancora più tagli fiscali (seppure non abbia mai comunicato i dettagli).

Le proposte, e le promesse, di Biden, invece, sono state molte, per avere più entrate fiscali da investire nella ripresa e nel sostegno alle fasce più deboli e per ottenere una redistribuzione della ricchezza dalle classi molto alte di reddito verso quelle medio-basse. L’ex numero due di Obama ha presentato un piano dettagliato per aumentare le tasse sulle società e sull’1% più ricco della popolazione Usa. E concedere poi una serie di agevolazioni fiscali alle famiglie con redditi più bassi.

«Alcune proposte sembrano meramente di facciata, o almeno con un valore simbolico superiore a quello effettivo. Altre invece sono di sostanza – commenta Alessandro Santoro, professore ordinario di Scienza delle finanze all’Università Milano-Bicocca – Bisogna però vedere se manterrà davvero queste promesse. Per alcune ho dei seri dubbi».

Biden: più tasse ai ricchi e alle multinazionali

Donald Trump nel 2017 aveva abbassato le tasse sui profitti delle corporation: dal 35 al 21%. Biden propone di riportare l’aliquota massima al 28%, con un recupero per il fisco calcolato su base decennale di oltre 500 miliardi di dollari

Più prudente sulle tasse individuali sui ricchi, per non rischiare fughe di capitali. Biden propone di riportare l’aliquota marginale per chi guadagna più di 400mila dollari dall’atuale 37% al 39,6%, come prima della riforma Trump. E di raddoppiare l’imposta sui capital gain al 39,6% per redditi al di sopra di 1 milione di dollari. Un rapporto dell’Urban-Brookings Tax Policy Center stima che l’1% più ricco della popolazione Usa vedrà una riduzione media dei profitti al netto delle imposte pari al 15,9%. Per Tax Foundation del 7,7%.

Manterrà le promesse?

«I redditi più alti nel sistema Usa (e non solo) spesso sfuggono all’imposta personale sul reddito – spiega Alessandro Santoro – Perché, per esempio, vengono adottati meccanismi di trasformazione dei redditi da lavoro in redditi da capitale, che sono tassati di meno. Il metodo classico è la distribuzione delle stoke option, che sono tassate meno dei salari: un 15-20%, che non è né l’attuale 39%, né il 37% a cui la vuole riportare Biden. Una proposta, quindi, che ha un valore simbolico perché aumenta le imposte ai ricchi, che è vero, ma che non credo avrà grandi effetti».

«Più sistematica e dai risultati superiori la corporate tax, anche se non so quanto sia credibile come mossa – aggiunge il professore – È vero che Donald Trump nel 2017, abbassando le tasse per le imprese, ha fatto un regalo alle grandi corporation americane, ma non era una mossa priva di una sua logica. Ha permesso infatti di far rientrare quei capitali che erano stati portati all’estero perché tassati meno rispetto agli Usa. Riportando l’aliquota dal 21% di Trump al 28%, come propone Biden, i capitali rischiano di tornare all’estero, dove le aliquote viaggiano tra il 24 e il 25%, senza parlare dei paradisi fiscali (in Irlanda siamo al 12%). Non credo quindi che Biden lo farà»

Per quanto riguarda invece coloro che guadagnano meno di 400.000 dollari all’anno (più del 90% dei contribuenti), Biden si è impegnato a non aumentare le tasse, anzi a diminuirle dal 37 al 36%.  «Un intervento di certo molto più significativo di quanto sarebbe in Italia. Perché negli Usa riguarda un numero elevato di persone», commenta il professor Santoro. 

Per risollevare l’economia

Secondo il Tax Policy Center, le proposte fiscali di Biden aumenteranno le entrate del Governo di 4.000 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2030. Per Tax Fondation tra 2.800 e 3.300 miliardi.

Le spese previste dal candidato (welfare, infrastrutture, assistenza alle imprese) superano invece i 7.500 miliardi. Questo per i piani strutturali. Ci sono poi le spese straordinarie per il sostegno ai disoccupati creati dal Covid: oggi 15 milioni (ad aprile si toccarono i 40), di nuovo in aumento visto che nella prima settimana di ottobre le richieste di sussidio di disoccupazione hanno superato le 800mila: in tempi normali sono in media 200mila. E va finanziato il piano d’emergenza per le piccole aziende.

Quasi un terzo delle nuove uscite è attribuito agli investimenti in infrastrutture (2,4 trilioni), suddivisi fra i trasporti (900 miliardi), sostegno al “made in USA” (700 miliardi), energia e ambiente (490 miliardi), altre strutture (300 miliardi). Tutte le uscite per questa voce sono previste nel periodo 2021-24. Il secondo contributo viene dall’istruzione (2 trilioni), per sostegno a tutti i livelli di scolarità inclusa l’università (azzeramento delle tasse presso università pubbliche per famiglie con reddito inferiore a 125 mila dollari annui). Al terzo posto il sostegno ad assistenza e previdenza, che prevede 1,5 trilioni. 

… e attuare la riforma sanitaria disegnata da Obama

La Bidenomics prevede di mettere mano alla riforma sanitaria: l’Affordable Care Act del 2013, il famoso “Obamacare”, prevedeva l’estensione progressiva dei benefici del Medicaid (per i poveri) e del Medicare (anziani) nel percorso verso il servizio sanitario universale sul modello europeo, se non gratuito almeno sostenibile. Trump, spinto dalle lobby della sanità, ha smantellato la riforma con misure amministrative opposte e non varando i previsti decreti attuativi, lasciando di nuovo privi di copertura 30 milioni di americani. Biden vuole ripristinare la situazione delineata da Obama. Per la spesa sanitaria è previsto un rialzo netto di 1,5 trilioni, con un rafforzamento di Obamacare (1,8 trilioni) parzialmente controbilanciato dal controllo dei costi per il rimborso dei farmaci e altre misure (per circa 350 miliardi).