Tassonomia europea, il greenwashing si è fatto istituzione

Includendo nella tassonomia delle attività sostenibili il gas e il nucleare, il parlamento europeo ha istituzionalizzato il greenwashing

L'aula del Parlamento europeo a Bruxelles © Callan Quinn/iStockPhoto

La scelta del Parlamento europeo di approvare il progetto della Commissione europea, che include nella tassonomia delle attività economiche considerate sostenibili il gas e il nucleare è la vittoria del greenwashing. Di più: è l’istituzionalizzazione del greenwashing. È l’abdicazione della sovranazionalità – cuore del progetto di Europa unita e motore del processo di allargamento e integrazione – ai nazionalismi e agli interessi particolari. È l’aver contaminato il luogo più alto e più sacro delle istituzioni democratiche con il virus della mancanza di coraggio. È la cessione di sovranità alle lobby industriali e ai potentati.

La scienza ci ha spiegato – numeri, studi, paper e rapporti alla mano – che se vogliamo avere qualche possibilità (ammesso che ancora ce ne siano) di limitare la crescita della temperatura media globale a 1,5 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali, dobbiamo abbandonare il prima possibile tutte le fonti fossili. Tutte. E lasciare sottoterra tutto ciò che non è ancora stato estratto: che si tratti di carbone, petrolio o gas è del tutto irrilevante.

Ciò nonostante, il parlamento europeo, ovvero chi rappresenta la popolazione, i cittadini, noi, presso le istituzioni comunitarie, ha deciso che il gas può ancora andare bene. A determinate condizioni, certo, e in via transitoria, ma va considerato sostenibile.

Il nucleare, i cui rischi in caso di incidente non sono un black-out ma una catastrofe lunga decenni, e che produce “effetti collaterali” chiamati scorie radioattive che nessuno – né la scienza, né gli industriali – sa ancora come gestire, allo stesso modo può andare bene. Nonostante i costi folli (e sistematicamente fuori controllo) e i tempi biblici di costruzione (anch’essi fuori controllo) che rendono tale energia indiscutibilmente incapace di risolvere il problema del necessario abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra. Perché questo va fatto ora, subito, non tra dieci, quindici o vent’anni.

Così, in futuro chi investirà in prodotti sostenibili rischia di finanziare una fonte fossile e un’altra che produce scorie a costi astronomici. Per fortuna c’è chi andrà oltre le indicazioni dell’Unione europea. Chi ha già sostituito un ormai annacquato, se non totalmente screditato concetto di sostenibilità con qualcosa di più stringente, efficace e avanzato. La speranza, però, era che chi fa finanza etica non fosse più un pioniere. Era che determinati paletti potessero essere diventati ormai un patrimonio comune. Ma, evidentemente, di acqua sotto ai ponti della cultura nel mondo troppo spesso impermeabile della politica deve scorrerne ancora molta.

I 328 parlamentari che hanno votato a favore di gas e nucleare, assieme ai 33 che si sono astenuti, hanno deciso che la strada non dovrà essere quella che le scienze (la fisica, la climatologia, ma anche l’economia) hanno indicato. Hanno deciso che le due commissioni parlamentari competenti per materia, che avevano bocciato il progetto, avessero torto. E hanno deciso che gli esperti nominati dalla stessa Commissione di Bruxelles, che avevano allo stesso modo bocciato il progetto, avessero torto.

Per fortuna la battaglia non è ancora terminata. Austria e Lussemburgo hanno già da tempo fatto sapere che ricorreranno alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Greenpeace ha annunciato un’iniziativa analoga. Fonti ben informate negli uffici di Bruxelles indicano che le possibilità di successo non sono poche.

Nel frattempo, occorrerà difendersi anche dalla disinformazione. Proprio in questi giorni imperversano farneticazioni di «cause naturali dei cambiamenti climatici». Chissà se dettate da sincera incomprensione di ciò che indicano le evidenze scientifiche (può capitare anche a chi ha la parete tappezzata di titoli di studio e premi) o da semplice volontà di andare a tutti i costi controcorrente. Magari per sollevare polveroni e avere i propri cinque minuti di notorietà. Il nostro giornale continuerà a riferire ciò che la scienza, o almeno il 99,9% di essa, ci sta indicando da decenni. Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.