Il Sud del mondo e la trappola debito-combustibili fossili

Una serie di meccanismi perversi intrappola le nazioni povere nella dipendenza dai combustibili fossili, e le indebita ancor di più

Le fonti fossili stanno incastrando una serie di nazioni povere in un circolo vizioso che compromette il clima e le loro finanze pubbliche © arild lilleboe/iStockPhoto

I Paesi del Sud del mondo sono bloccati da quelli ricchi e dalle istituzioni finanziarie in una trappola che, per ripagare il debito, li costringe a investire in progetti di combustibili fossili. Allontanandoci dalla transizione ecologica e aggravando la crisi climatica. A rivelare l’esistenza di questa “trappola debito – produzione di combustibili fossili” è una recente analisi dell’associazione anti- debito Debt Justice, intitolata “The Debt Fossil Fuel Trap”.

Secondo il rapporto, il debito è aumentato, dal 2011 al 2023, del 150% e 54 Paesi si trovano in una crisi legata a tali esposizioni. La pressione per il rimborso dei debiti costringe le nazioni povere a non poter abbandonare i combustibili fossili. Poiché i proventi ad essi legati consentono loro di ripagare i prestiti concessi, appunto, dalle nazioni più ricche e delle istituzioni finanziarie. Le entrate previste dallo sfruttamento di carbone, petrolio e gas sono però spesso gonfiate e i Paesi sono costretti a enormi esborsi per raggiungere i rendimenti previsti. Ciò li porta a indebitarsi ulteriormente e a legarsi ancora di più tramite il debito al Nord del mondo.

Una fuga di petrolio da una nave © iStockPhoto

Gli alti livelli di debito impediscono ai Paesi di accedere ai finanziamenti per le energie rinnovabili

Insomma, senza adeguati finanziamenti per il clima molte nazioni del Sud del mondo sono costrette a contrarre prestiti, indebitandosi maggiormente. Secondo gli ultimi dati dell’OCSE, il 71% dei finanziamenti per il clima viene erogato sotto forma di prestiti, mentre solo il 26% sotto forma di sovvenzioni. Questo aumenta i livelli di indebitamento e fa ricadere i costi della crisi climatica sui Paesi che hanno fatto meno per crearla.

Quando i livelli di debito sono elevati, inoltre, i Paesi non sono più in grado di contrarre prestiti dai mercati internazionali. Di conseguenza perdono l’accesso a questa opzione di finanziamento per le energie rinnovabili. Gli alti livelli di debito, quindi, possono rappresentare un ostacolo importante per l’accesso ai finanziamenti necessari per la transizione energetica. E in mancanza di fonti pulite dalle quali trarre ricavi, gli Stati meno ricchi sono costretti a continuare a trivellare.

I Resource Backed Loans, contratti pericolosi e legati agli andamenti dei mercati

Alcuni contratti di prestito, come i Resource Backed Loans (RBL), contribuiscono poi a “incastrare” i governi nella produzione di combustibili fossili. I RBL si riferiscono a contratti di prestito in cui il rimborso viene effettuato o direttamente in risorse naturali – come petrolio o minerali – o a fronte di un futuro flusso di reddito legato alle risorse di un Paese. Secondo Debt Justice questi accordi vengono spesso nascosti all’opinione pubblica e non si trovano nelle statistiche internazionali sul debito. Presentano inoltre rischi per i governi mutuatari, poiché questi potrebbero trovarsi nell’impossibilità di far fronte ai rimborsi del debito in caso di calo del valore delle materie prime.

Secondo il rapporto, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale sovrastimano spesso i benefici in termini di entrate previsti dai progetti sui combustibili fossili. Questo è dovuto a molteplici fattori. I Paesi del sud globale, ad esempio, sono esposti in modo sproporzionato – a causa del retaggio coloniale di dipendenza dalle materie prime – ai potenziali impatti della volatilità dei prezzi e della domanda di materie prime. Questi tuttavia non sono sempre presi in considerazione quando viene ipotizzata la crescita delle entrate derivanti dalla produzione di combustibili fossili.

Dal Mozambico al Suriname: alcuni casi concreti

In Mozambico nel 2010 sono state scoperte delle riserve di gas naturale. L’onere del debito del Paese è stato raddoppiato, nel 2013, dai prestiti concessi da tre banche londinesi, sulla base delle proiezioni dei guadagni derivanti proprio dalle scoperte dei giacimenti di gas.

Il Paese è però sprofondato in una crisi debitoria a seguito del calo dei prezzi del petrolio e del gas del 2014-2016. E le soluzioni adottate dai finanziatori internazionali per salvare la nazione africana si sono basate sul rimborso dei prestiti… ancora una volta attraverso i futuri ricavi del gas. Il debito causato dai combustibili fossili è stato strutturato per essere ripagato, insomma, con le stesse fossili. Anche il Suriname ha affrontato una situazione simile. Dopo il default sul debito, nel 2020 il Paese ha siglato un accordo che avrebbe concesso ai creditori il diritto a quasi il 30% delle sue entrate petrolifere fino al 2050.

Qualche soluzione possibile

Per eliminare gli elevati oneri del debito come ostacolo significativo all’eliminazione dei combustibili fossili e alla transizione verso l’energia pulita, Debt Justice propone alcune soluzioni. Innanzitutto chiede ai governi e alle istituzioni dei Paesi ricchi di attuare una cancellazione del debito per tutti i Paesi che ne hanno bisogno.

In secondo luogo, chiede che i debiti accumulati dai progetti sui combustibili fossili vengano riconosciuti come illegittimi e cancellati. In questo modo i Paesi non sono costretti a rimborsare attività che hanno causato danni ai cittadini e all’ambiente. Infine, l’associazione richiede un aumento significativo dei finanziamenti pubblici per il clima, basati su sovvenzioni. Anziché su prestiti.