Eni in Costa d’Avorio, ovvero la “decarbonizzazione” fatta col gas

Eni inaugura la nuova produzione oil&gas nel Golfo di Guinea. In un'area politicamente instabile e ignorando il riscaldamento globale

Giovanni Cirone
Il porto di Abidjan in Costa d'Avorio © viti/iStockphoto
Giovanni Cirone
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È in pieno fermento il Golfo di Guinea, da Nord Est a Sud Ovest, tra estrazioni di idrocarburi e colpi di Stato. Il 28 agosto scorso Eni, Big Oil europea, annuncia infatti l’esordio di nuova produzione di petrolio/gas in Costa d’Avorio. Il 30 agosto – ad appena un mese dal golpe in Niger – il Gabon è vittima di un golpe militare, capeggiato dal generale Brice Oliqui Nguema.

Eventi diversi, per nulla correlati. I due Stati non sono prossimi, anche se le loro coste aprono e chiudono gli estremi del golfo di Guinea. In entrambi i casi, tuttavia, difficile non valutarne la sintesi da abecedario geopolitico. Leggasi alle lettere A e D: A, come accaparramento di risorse naturali, D come definizione di nuovi assetti della cosiddetta Africa francofona. In attesa dell’evoluzione di quest’ultimo putsch, molto si può invece dire sull’accaparramento di risorse naturali da parte di Eni.

Eni racconta la sua Africa, con partner Petroci Holding

Molto da dire, sì. Complice anche l’entusiastica dose di esternazione di Eni per la neonata produzione ivoriana: la più grande scoperta di idrocarburi nel bacino sedimentario della Costa d’Avorio. Del resto, la frequentazione del Paese è ultra-cinquantennale, grazie alla società Agip Côte d’Ivoire. Nel 2015, però, il cane a sei zampe attua una precisa rotta strategica, autentica chicca in chiave industriale. Con il partner Petroci Holding, assume partecipazioni di parti di mare e relativi fondali antistanti le coste. E lo dichiara espressamente: sono i blocchi CI-101, CI-802, CI-205, CI-501, CI-401, CI-801.

concessioni petrolifere in Costa d'Avorio
Carta delle concessioni petrolifere ivoriane nel golfo di Guinea

La cultura francofona gioca il proprio ruolo. Non a caso, la pioniera per la “pesca” Eni viene informalmente ribattezzata per il suo utilizzo nei campi di ricerca ed estrazione. Nasce il giacimento Baleine – balena con l’accento d’Oltralpe – che si estende tra il blocco CI-101 e CI-802. Partecipazioni alla mano, il blocco CI-101 vede l’Eni all’83% e Petroci al 17%. Questo blocco s’inabissa nell’Atlantico tra i 200 metri e i 2 chilometri e mezzo. Gli abissi sono il pane quotidiano di queste estrazioni. Tanto per dire: il blocco CI-205, che è sito in un’area di 2 km per 2,5 km, piomba nelle profondità che oscillano tra 2 km e 2,7 km, distante tra 50 e 80 km sulla direttrice a sud-ovest della capitale Abidjan.

La balena parla italiano, ma batte bandiera panamense

Baleine è un giacimento offshore, dunque. Gli idrocarburi sono estratti dai fondali dell’Atlantico, mentre produzione e stoccaggio sono possibili grazie a Fpso (Floating Production Storage and Offloading unit) Baleine. Questa nave, battente bandiera panamense, si chiama in realtà Fpso Firenze, e salpa da Dubai il 6 aprile scorso per posizionarsi davanti alle coste ivoriane.

Ristrutturata e potenziata alla bisogna, Fpso Firenze può trattare fino a 15mila bbl/d (barili al giorno, ndr) di petrolio e circa 25 Mscf/d (mille piedi cubi al giorno, ndr) di gas associato. A fine 2024, la sua produzione si eleverà a 50mila bbl/d per il petrolio e circa 70 Mscf/d per il gas. Toccate tali soglie, nell’ultimo obiettivo sono attesi rispettivamente a quota 150mila bbl/d e 200 Mscf/d.

Decarbonizzare”: grazie a petrolio, gas e nuovi fornelli in cucina

Un nuovo gasdotto condurrà in terra ivoriana l’idrocarburo di Baleine. Ne dovrebbe usufruire il mercato elettrico domestico del Paese, ma non solo. Anche i vicini confinanti dell’immensa area antistante il golfo di Guinea dovrebbero beneficiarne. Costa d’Avorio, quindi, hub energetico regionale. Naturalmente, con tutti i crismi che promettono la riduzione di emissioni.

Se non bastasse? Si compensa. Cioè? I propositi sembrano allettanti. Fornitura e distribuzione alle comunità locali di fornelli migliorati: a quanto sembra, con “migliorati” s’intende fornelli a gas, per eliminare quelli a consumo di legna o carbone. I nuovi fornelli sarebbero su piazza dall’anno scorso e, in sei anni, la distribuzione punta a soddisfare oltre un milione di persone. Ciliegina sulla torta, infine, la ricerca. Eni sta studiando: studia progetti di Nature-Based Solutions su 380mila ettari di foreste protette.

Estrarre petrolio e gas, parlando di emissioni zero

Trattasi, dunque, di un progetto di produzione che aspira a emissioni zero in Africa. L’intento è allinearsi agli obiettivi climatici sugli Scope 1 e Scope 2, classificazione stabilita dal GHG Protocol Corporate Standard. Ardita prospettiva, per una società come Eni che ha per mission lo sfruttamento di risorse naturali, come giacimenti di petrolio e gas. Ardita prospettiva, anche per il suo partner nell’affaire Baleine.

Petroci Holding, che dichiara un capitale di 20 miliardi di franchi CFA, mira a rendere la Costa d’Avorio «fulcro del commercio di prodotti petroliferi per tutti i Paesi della subregione e anche per tutta l’Africa». Per meglio dire, Petroci Holding vuole costruire «un’economia petrolifera integrata e diversificata, ottimizzando gli sforzi di ricerca e lo sviluppo delle risorse di idrocarburi». Le sue mission, quindi, vanno dalla ricerca e dallo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi allo stoccaggio, commercio e trasporto di tutti i prodotti petroliferi. Da qui la recentissima nomina, in qualità di Ceo, dell’ingegnera ivoriana Fatoumata Sanogo: parole d’ordine, rivoluzionare la compagnia petrolifera ivoriana e chiudere con lo scandalo del gas butano scomparso.

In chiave idrocarburi, non solo Africa. Europa regina dell’import

In conclusione, se in Costa d’Avorio si “decarbonizza” con petrolio e gas, l’Europa non si tira certo indietro. Eccola, regina mondiale dell’importazione di petrolio greggio via mare nei primi 7 mesi di quest’anno. Ad assegnarle il palmares la società di brokeraggio navale Banchero Costa.

In un suo report di agosto, infatti, si precisa che «i carichi globali di greggio sono aumentati dell’8,2% su base annua, raggiungendo 1.262,3 milioni di tonnellate, escludendo tutti i traffici di cabotaggio, secondo i dati di monitoraggio delle navi di Refinitiv (società americano-britannica, fornitrice globale di dati e infrastrutture sui mercati finanziari). Questo dato è ben al di sopra dei 1.166,4 milioni di tonnellate del gennaio-luglio 2022 e dei 1.083,3 milioni del gennaio-luglio 2021, ma anche leggermente al di sopra dei 1.223,2 milioni dello stesso periodo del 2019».

Idrocarburi docet, insomma. E così sia. La scienza ha a più riprese sottolineato che occorre diminuire nel più breve tempo possibile l’uso di qualsivoglia combustibile di origine fossile, gas incluso, poiché la traiettoria attuale in termini di limitazione del riscaldamento globale non è tale da porci al riparo da una catastrofe climatica. Ma l’informazione, evidentemente, ai piani alti di piazzale Enrico Mattei non è arrivata…