Cacciato dalla porta, rientra dalla finestra. Il TTIP risorge?
USA-UE stanno trattando segretamente su un nuovo trattato commerciale. Decine di associazioni in allarme: diritti ambientali e sanitari a rischio. Il governo italiano che farà?
Stava per arrivare l’inverno 2016 quando il controverso Transatlantic Trade and Investment Partnership si era avviato verso un binario morto. Sepolto dall’elezione del protezionista Donald Trump alla presidenza Usa e dallo scetticismo di molti Stati Ue. E non da ultimo, da una campagna internazionale che ne aveva fatto emergere i punti più oscuri e pericolosi sul fronte ambientale, sanitario e occupazionale.
Ma in diplomazia e in politica, quattro anni sono un’eternità. E oggi, proprio sulla spinta di Trump, il TTIP sembra sul punto di risorgere. Per di più, non con una trattativa complessa e laboriosa. Ma con un blitz che l’inquilino della Casa Bianca vuole chiudere «in settimane, non mesi» come ammesso dal ministro dell’Agricoltura di Trump, Sonny Perdue.
L’allarme di parlamentari e associazioni sul ritorno del TTIP
L’allarme è stato lanciato da una serie di parlamentari (di maggioranza) e importanti organizzazioni italiane e internazionali intervenuti in una conferenza stampa congiunta alla Camera dei Deputati organizzata dalla Campagna Stop TTIP-CETA Italia.
In realtà, nonostante i proclami protezionistici di Trump, il negoziato è proseguito sotto traccia. Il 21 marzo 2019, la Commissione europea aveva ricevuto dai Governi europei – anche di fronte a un secco “no” del Parlamento – un nuovo mandato perché fossero «mossi i passi necessari a una rapida implementazione di tutti gli elementi della dichiarazione USA-UE del 25 luglio 2018» in cui Trump e la Commissione hanno dichiarato di voler rendere gli scambi transatlantici più facili e sostanziosi.
Il mandato doppio in mano alla Commissione le consente di esplorare, da un lato, come evitare l’imposizione di nuovi dazi attraverso la concessione agli stati Uniti di quote di ingresso più sostanziose di quelle attuali per quasi tutti i suoi prodotti eccetto quelli agricoli, per evitare una nuova insurrezione di produttori e consumatori. Dall’altro, per abbattere i costi per gli esportatori, Bruxelles può capire come avvicinare le due sponde dell’Atlantico rispetto agli standard produttivi e alle regole di protezione di lavoratori, ambiente e consumatori-utenti, che stando alla valutazione della Commissione stessa rappresentano fino a circa il 70% degli ostacoli normativi attuali al commercio tra Usa e Ue.
Quel volo negli States di Juncker
Poi, nell’estate un viaggio galeotto dell’allora presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker a Washington. «Quel viaggio ha portato a sottoscrivere un accordo di principio per ricominciare a negoziare» spiega Monica Di Sisto, esponente della campagna Stop Ttip Italia. L’arma usata dal presidente Usa per costringere la Ue ai negoziati è nota a tutti: una pioggia di dazi, sui settori più cruciali per gli Stati europei. Automotive e agricoltura in primis. Proprio la spada di Damocle sul primo dei due comparti, molto caro alla Germania, ha spinto la nuova presidente della Commissione Ursula von der Leyen ad accelerare. Berlino le sta con il fiato sul collo: troppo importante per la Germania è riuscire a cancellare i dazi che frenano i suoi colossi automobilistici.
«La cosa assurda – prosegue Di Sisto – è che von der Leyen non soltanto accelera per un nuovo accordo, ma ha promesso a Trump di realizzarlo in poche settimane e appoggia la richiesta statunitense perché si negozi sull’agricoltura, argomento escluso nel mandato conferito dai governi dell’UE a marzo scorso». Con buona pace dei propositi di “svolta verde”, transizione ecologica e nuova agenda sbandierata dalla von der Leyen nei suoi discorsi in Europarlamento.
Principio di precauzione a rischio
La principale preoccupazione delle associazioni e dei parlamentari è che, in assenza di alcun impegno concreto sui dazi già imposti da parte di Trump, «la Commissione Ue sembra disposta a cedere su un trattato che disinneschi per sempre il Principio di precauzione, forzi le regole europee attualmente in vigore su pesticidi, OGM e NBT, apra – al di fuori di ogni controllo democratico e parlamentare – un canale permanente di negoziato transatlantico sugli standard di protezione sociale, ambientale e di sicurezza alimentare che sono il più grande ostacolo, attualmente, all’arrivo di merci USA nel mercato europeo» denuncia Di Sisto.
TTIP: un accordo senza valutazioni d’impatto
C’è poi un altro aspetto, affatto secondario. L’accelerazione delle trattative non sembra lasciare spazio alle indispensabili valutazioni d’impatto di un possibile accordo sulla sostenibilità sociale e ambientale e sulla quantità e qualità dell’occupazione e delle produzioni coinvolte.
Un aspetto non di poco conto. Che un simile accordo aiuti i livelli occupazionali europei, non è ad esempio per nulla scontato.
In occasione del precedente trattato, nel 2016, la direzione generale Politiche interne dell’Europarlamento realizzò un’analisi che evidenziò «una sostanziale riallocazione di posti di lavoro» con un sicuro impatto negativo nel breve periodo, bilanciato (forse) da effetti positivi a lungo termine. Per l’Italia le conseguenze sarebbero potute essere particolarmente pesanti: sarebbe stato infatti il secondo Paese per la perdita di posti di lavoro (circa 300mila) mentre i guadagni di reddito medi pro capite non sarebbero stati superiori allo 0,5%.
Le promesse di Trump ai suoi agricoltori
A chi giova quindi un blitz sul nuovo testo? Degli interessi tedeschi, si è già detto. Ma il primo beneficiario è Trump. «The Donald – spiega Di Sisto – ha l’esigenza di arrivare alle elezioni di novembre, presentandosi con dei risultati rispetto al deficit commerciale con l’Unione europea. Lo ha detto più volte: gli USA importano troppo dall’Europa».
E il campo agricolo è uno dei settori con il maggiore sbilancio: intollerabile per Trump perché proprio i piccoli agricoltori degli Stati centrali della federazione sono i suoi maggiori elettori e lo hanno votato in massa. Difficile andare da loro con nulla di concreto in termini di risultati. Lo ha spiegato il titolare dell’Agricoltura Usa, Perdue a Bruxelles: «dobbiamo conciliare il deficit di 10-12 miliardi di dollari con l’UE» relativamente agli scambi di prodotti agricoli.
Trump vuole meno lacci per pesticidi e OGM
In tutto questo, ovviamente, ogni governo europeo ha voce in capitolo. E quello italiano sembra essere decisamente appiattito sulle posizioni di Trump e von der Leyen. Il Conte 1 (a trazione 5 Stelle-Lega) non ha discusso la sua posizione né con le parti sociali né tantomeno con il Parlamento italiano, prima di concedere il nuovo mandato negoziale. Ma anche quello attuale tace sull’accelerazione impressa alle trattative. «La ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova, incontrando il collega americano Perdue, si è addirittura mossa al di fuori del perimetro del mandato europeo che esclude l’agricoltura dalle trattative. Questa mancanza di trasparenza è inaccettabile» attacca Di Sisto.
La minaccia di Trump è chiara: 40,5 miliardi di dazi sull’export agroalimentare Made in Italy. Altrettanto chiaro ciò che Purdue si aspetta da Roma: il sostegno per contrastare l’opposizione frontale del presidente francese Macron e del “suo” governo, che rifiuta ogni apertura, a seguito del disimpegno statunitense dall’Accordo di Parigi sul clima.
Quali concessioni chiede Washington nel merito dell’accordo? I due punti principali sono un allentamento delle maglie delle norme sanitarie e fitosanitarie, così come dei limiti massimi consentiti di residui di pesticidi e altre sostanze chimiche nel cibo, oltre al cambio della legislazione europea sugli OGM per consentire il commercio di alimenti geneticamente manipolati, soprattutto se prodotti con le nuove tecniche di creazione varietale.
Perdue lo ha spiegato senza timidezze: l’approccio complessivo alla sicurezza vigente in Europa non è accettabile e la nuova Commissione Von der Leyen deve abbandonare il principio di precauzione, vincolante secondo l’articolo 191 del Trattato di funzionamento dell’Unione (TFEU).
E il governo italiano sul TTIP che fa?
I parlamentari intervenuti alla conferenza stampa ricordano come i partiti di cui fanno parte (M5S, LeU e in parte anche il Pd) abbiano promesso fuoco e fiamme contro il TTIP. La scelta del governo dovrebbe quindi essere scontata. Eppure l’approccio di Conte & Co. sembra molto più timido di quanto ci si aspetterebbe. «Il governo italiano – chiedono dalla rete di associazioni – apra un confronto programmatico trasparente con i parlamentari nazionali e europei, i sindacati, le associazioni ambientaliste, di produttori e della società civile perché l’Italia diventi capofila di nuove politiche commerciali che lavorino meglio per l’economia, per i diritti, per l’ambiente e per i territori. Nel frattempo respinga l’offensiva di Trump per un nuovo trattato transatlantico come e peggio del TTIP».
Posizioni condivise dall’ex ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Lorenzo Fioramonti secondo il quale «non possiamo lasciare il tema della protezione della qualità e dei territori a chi pratica un nazionalismo settecentesco. Esistono valutazioni sull’impatto ambientale del commercio internazionale possiamo fare una negoziazione al rialzo semplicemente esportando gli standard europei e proponendoci, come Italia, come capofila in questa direzione a partire dalle competenze espresse in questi anni».
La deputata di LeU ed ex presidente di Legambiente, Rossella Muroni ha inoltre presentato un’interrogazione al ministro dell’Agricoltura, Bellanova: «Su ambiente, sicurezza alimentare, salute e diritti non si tratta. Il nuovo TTIP scardinerebbe il principio europeo di precauzione e renderebbe possibile sul nostro mercato la vendita di cibi contenenti alti residui di pesticidi e ogm. Dall’esecutivo vorrei una parola chiara contro ogni ipotesi di trattato che abbia le caratteristiche citate».