Dietro la “censura” al film-denuncia sul latte: «Una bugia per il consumatore e un attacco al comparto europeo»
«Potevano sentire anche noi per la stesura del film». Massimo Forino, direttore di Assolatte difende il proprio "no", acuito dalle difficoltà del settore
La parola alla difesa. Che, in questa storia, ha forse peccato di un eccesso (preventivo) di legittima difesa. Così potremmo introdurre l’intervista a Massimo Forino, direttore di Assolatte, una delle due grandi organizzazioni di categoria dell’agroalimentare italiano – l’altra è Coldiretti – che hanno firmato l’esposto contro The Milk System, il docu-film che denuncia le distorsioni e i meccanismi perversi della filiera globale del latte. Esposto che, nel 2018, ha di fatto determinato la sospensione delle proiezioni del film nel nostro Paese fino all’annunciata ripresa, fissata dal distributore per il 23 gennaio 2019, a Brescia.
Assolatte: un film che porta il consumatore “sulla cattiva strada”
«La sensazione che abbiamo avuto dal film è che fosse scandalistico, che si facesse molto rumore per nulla», spiega Massimo Forino.«Ci abbiamo visto un forte attacco al sistema europeo, che segue le stesse regole italiane. Far passare il messaggio che il latte andrebbe prodotto solo in montagna, significa togliere il latte al consumatore italiano ed europeo. Così come far passare l’idea che gli animali soffrano, animali che per la maggior parte vivono liberi nei recinti».
Latte, un docufilm svela il sistema perverso che droga il latte europeo
«E ci stupisce anche leggere le parole del regista, che sostiene che li avremmo intimiditi. Non abbiamo intimidito nessuno. Ci è sembrato che il film potesse portare gli spettatori su una strada sbagliata rispetto alla realtà. E così abbiamo chiesto all’organo competente che valutasse».
Alla fine avete però alzato l’attenzione sul film. E quanto all’aspetto intimidatorio, nell’esposto fate riferimento a danni miliardari…
«Può essere che abbiamo alzato l’attenzione sul film, in effetti, ma abbiamo fatto presente la nostra visione. E se si verificassero questi danni ne chiederemmo conto. In caso contrario non chiederemo i danni a nessuno».
Italia esclusa nella realizzazione del film
Insomma, sui danni nessuno scherzava. Ma allora ci si chiede come mai questo atteggiamento di preoccupazione si sia verificato nel nostro Paese e non altrove. E il direttore Forino non si nasconde, e spiega.
«Se ci avessero detto: stiamo facendo un docu-film su questi temi, voi che siete la più grande organizzazione Europea, parlando di Coldiretti, voi che siete quelli che comprano il latte e lo trasformano, cosa ne pensate? L’essere completamente esclusi dal dibattito prima della realizzazione, e scoprire i contenuti a cose fatte, sicuramente non ha favorito il dialogo. Nel film, inoltre, si parla molto della Commissione europea, si intervistano le industrie del nord Europa: che non si sia pensato di portare all’interno della pellicola anche la voce italiana, può darsi che abbia dato fastidio al settore».
«Il latte fa bene»
«Il nostro ragionamento è questo: consumare il latte è importante? Sì. Lo dicono tutte le piramidi alimentari, lo dice lo studio di “Lancet” che 250 grammi di latte al giorno sono importanti per una dieta corretta, che bisogna limitarsi, ma rimanendo nelle dosi che noi consigliamo di consumare tutti i giorni. Per raggiungere questi consumi bisogna allevare degli animali, nel rispetto delle regole. Tutto lo scandalismo che si costruisce intorno a questo sistema mi sembra da un lato decettivo (cioè ingannevole, ndr). E poi contrario all’interesse dei consumatori che, per motivi di varia natura, si allontano sempre più da questo tipo di alimento. E tra qualche anno rischiamo di vederne gli effetti sulla salute».
Col latte in difficoltà le critiche fanno più paura
Ma non sarà che la reazione italiana (scomposta?) sia scaturita dalle ansie per una situazione economica un po’ fragile?
«Il latte alimentare sta soffrendo in Italia anni di difficoltà. C’è una riduzione del consumo di latte da bere, mentre quello del formaggio è sostanzialmente stabile. Il sistema complessivamente cresce grazie all’export (in 10 anni siamo passati da una bilancia commerciale in rosso per 500 milioni di euro a un dato positivo intorno al miliardo di euro). Quindi non c’è una situazione di crisi che allerta. Anche se i consumi di latte alimentare in Italia sono scesi del 20% in 5 anni. Ed è una tendenza abbastanza generalizzata».
E un film può incidere su questo scenario?
«Sono film visti da poche migliaia di persone. Non credo che questo tipo di film incida in modo drammatico, ma contribuisce ad allontanare i vegani, i vegetariani, un certo mondo animalista. Percentuali di popolazione limitate, che non spaventano le imprese, che comunque stanno crescendo: del 20% in Canada, del 20% in Giappone».
Nel film si racconta che gli attuali meccanismi del mercato rendono la vita difficile ai piccoli produttori. Non corrisponde alla realtà?
«Dissento in parte anche da questo. Perché è vero che si sta riducendo il numero delle aziende di trasformazione e i piccoli allevatori stanno chiudendo le stalle, però la produzione sta aumentando. Ed è una tendenza generale che va avanti così da anni. Un processo dissociato dall’andamento dei prezzi. Aziende molto piccole, magari gestite da persone anziane, i cui figli hanno deciso di non continuare con questo tipo di attività, lasciano gli allevamenti. E la loro produzione viene assorbita da qualcun altro. Non ci vedo alcun disegno e neppure la conseguenza delle politiche della grande industria.
Cessano l’attività quegli allevamenti che non riescono a stare sul mercato. Il che deve far pensare a una razionalizzazione della produzione, anche a un miglioramento qualitativo. Perché i controlli in un numero di aziende agricole più piccolo sono più facili; è più facile che l’azienda più grande abbia dei sistemi di produzione rispondenti alle regole attuali, che sono più severe di quelle di 50 anni fa. E quindi l’adeguamento richiede investimenti, denaro e professionalità che 50 anni fa non c’erano».
Lo spauracchio cinese e la filiera (quasi) perfetta
Siete preoccupati dell’espansione delle industria lattiero-casearia cinese?
«Il colosso cinese non può che preoccupare. L’industria sta crescendo moltissimo e ha territori e spazi e forza economica molto grande. Fino ad oggi è un Paese importatore. Ma la Cina compra latte, partono interi container pieni di latte UHT per il mercato cinese, per soddisfarne la domanda. Con l’aumento del reddito pro capite i cinesi hanno inserito nella loro dieta proteine animali come latte, uova, carne. Se poi pensiamo al land grabbing, la Cina ha comprato intere porzioni di territorio in altri Paesi per sviluppare l’agricoltura».
Ma qualche criticità in questa filiera perfetta ce la vedete anche voi oppure no?
«Ci sono criticità relative alla nostra capacità competitiva, al fatto che non siamo ancora autosufficienti. E che la maggior parte della produzione di latte è concentrata nelle quattro regioni più industrializzate, con una concorrenza pazzesca tra quella che è la necessità di questo paese di avere infrastrutture (strade, autostrade, ferrovie, ponti…) e quella di avere spazio per allevare gli animali e coltivare nel miglior modo possibile».