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Un mondo di (dis)servizi

L’immagine è parte della nostra storia: il nonno, con il suo libretto di risparmio che da un rendimento basso ma certo, che mette da parte ...

L’immagine è parte della nostra storia: il nonno, con il suo libretto di risparmio che da un rendimento basso ma certo, che mette da parte qualcosa per figli e nipoti. Le Poste sono da sempre il porto sicuro per chi non ha nessuna propensione al rischio e poca o nessuna conoscenza finanziaria, e vuole gestire i propri soldi in tutta sicurezza. Un’immagine di un passato decisamente lontano, almeno a giudicare dalle durissime critiche mosse dalla Consob alle Poste e riportate nei giorni scorsi da Andrea Greco in un articolo su Repubblica: prodotti complessi e rischiosi, forme di marketing scorrette, pressioni sui dipendenti per realizzare obiettivi di budget sempre più ambiziosi, conflitti di interesse tra BancoPosta e Poste SpA, e altro ancora.
Le normative impongono a chi vende strumenti finanziari di valutare la conoscenza e la propensione al rischio di chi acquista. Un tentativo di superare l’asimmetria informativa e tutelare i piccoli risparmiatori, ai quali intermediari senza scrupoli potrebbero vendere strumenti tanto rischiosi quanto incomprensibili. Normative evidentemente insufficienti se, come riportato da Repubblica, “tre quarti dei clienti BancoPosta sono concentrati sui tre livelli più alti di esperienza e conoscenza”. Siamo diventati un popolo di esperti di finanza? Purtroppo non è così, al contrario tutte le indagini segnalano una quasi totale mancanza di competenze in ambito finanziario.
Di fronte a tali accuse colpisce la risposta delle Poste: non negando queste pratiche scorrette, ma segnalando che sono già partite le contromisure per correggere la rotta. Non sembra essere contestata nel merito quella che appare come una bruttissima vicenda, emblematica di cosa sia diventata gran parte della finanza: non uno strumento al servizio delle persone e dell’insieme della società, ma un fine in sé stesso con l’unico obiettivo di fare soldi dai soldi, dove tutto o quasi diventa lecito: “vanno fatti i numeri”, nelle parole di un dirigente delle Poste, con buona pace degli obiettivi e degli interessi della clientela.
Presi con le mani nella marmellata, si promette di non rifarlo più. Non può essere così semplice, anche perché rimangono alcune domande di fondo: prima tra tutte, cosa avviene per i milioni di risparmiatori che negli scorsi anni sono stati spinti a sottoscrivere prodotti complessi e forse rischiosi, senza un’adeguata comprensione? Quanto le Poste hanno goduto di un “sussidio implicito”, guadagnando da tali prodotti senza remunerare i clienti per i rischi corrispondenti? Ancora a monte, per quale motivo le Poste si lanciano in tali operazioni ponendosi come obiettivo la massimizzazione del profitto e non l’interesse generale, come dovrebbe fare un ente sotto controllo pubblico? E’ questo il brillante risultato della trasformazione delle Poste in una SpA? E cosa potrebbe succedere nei prossimi anni, se dovesse andare in porto la sciagurata proposta di privatizzazione, e il conseguente ingresso di investitori interessati unicamente alla remunerazione del proprio capitale?
La vicenda non riguarda unicamente una richiesta di correzione di rotta da parte della Consob, ma è molto più ampia. Da un lato impone una riflessione su quale modello finanziario si sia imposto a livello culturale prima ancora che economico. La seconda riflessione deve partire da ognuno di noi e dall’uso che viene fatto del nostro denaro. Quanto siamo nello stesso momento vittime e complici inconsapevoli di un sistema finanziario che ci ha trascinato nella peggiore crisi degli ultimi decenni, e quanto potremmo fare per cambiare rotta, interrogandoci sull’uso dei nostri soldi e pretendendo la massima trasparenza. Se apro un conto in banca, li affido a un gestore o a un qualsiasi intermediario – Poste comprese – sono sempre soldi miei. Ho il diritto, e per molti versi il dovere, di sapere come vengono impiegati, se alimentano l’economia del territorio o la speculazione, qual è il rischio del mio investimento e via discorrendo. La finanza etica dimostra da oltre 15 anni che una scelta differente e consapevole è possibile. Operando in completa trasparenza e valutando le ricadute non economiche dell’agire economico. Decine di migliaia di persone in Italia hanno già fatto una scelta. Di fronte a chi continua a usare i nostri risparmi come fiches di un casinò, abbiamo una soluzione tanto semplice quanto efficace: non con i nostri soldi.