Unicredit dice addio al carbone. Ma anche a 8.000 lavoratori
Dopo Generali Unicredit: basta carbone! E petrolio e gas nell'Artico. E fracking. Peccato per gli 8.000 esuberi, soprattutto in Italia. L'ambiente ringrazia, i lavoratori meno
Stop ai finanziamenti al carbone entro il 2023; addio anche agli investimenti per l’estrazione di petrolio e gas naturale nell’Artico e a progetti per la ricerca di petrolio e gas con la contestatissima tecnica del fracking; 9 miliardi di euro in più di impegni per le rinnovabili. Sono alcuni degli punti che Unicredit ha annunciato, presentando la sua strategia per la sostenibilità lungo periodo, il 26 novembre a Milano, durante una conferenza stampa. L’amministratore delegato Jean Pierre Mustier ha parlato di “transition financing”, finanza per la transizione e ha descritto la politica in ambito ESG (Environmental, Social, Governance), ambientali, sociali e di governance del gruppo bancario.
Fin qui le buone notizie.
Peccato che solo una settimana dopo, il 3 dicembre, sia stato presentato il piano industriale 2020-2023. Un piano dall’impatto pesantissimo per la forza lavoro: entro il 2023 verranno chiuse 500 filiali e lasciati a casa 8.000 dipendenti. Diciamo che in un’ottica ESG – ambientale, sociale e di governance – fare passi avanti sul fronte della tutela dell’ambiente, ma contemporaneamente provocare un simile impatto sul fronte sociale non appare molto coerente. O non molto in linea con una vera ottica Esg.
Ma iniziamo dagli aspetti positivi.
📌 #BankingThatMatters #UniCredit4ESG: quest'oggi #UniCredit ha annunciato i nuovi target #ESG nell'ambito del suo impegno sulla #sostenibilità nel lungo periodo, in linea con il principio guida: "Fai la cosa giusta"! 🌱
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Meno emissioni da parte della banca…
«La sostenibilità è parte integrante del DNA del Gruppo e un elemento chiave del nostro modello di business», ha dichiarato Jean Pierre Mustier alla conferenza stampa. L’amministratore delegato ha quindi esposto la strategia sulla sostenibilità nel lungo periodo del gruppo. Impegni rivolti all’interno, con una riduzione delle emissioni inquinanti da parte della banca, e all’esterno, con un progressivo disinvestimento da alcuni comparti dannosi per l’ambiente, come il carbone.
Dal 2008 Unicredit ha dimezzato le emissioni di gas serra, con l’obiettivo di raggiungere il 60% di riduzione entro il 2020 e l’80% entro il 2030. Il Gruppo ha inoltre preso l’impegno di utilizzare esclusivamente fonti di energia rinnovabile nelle proprie sedi in Italia, Germania e Austria entro il 2023. La banca sta anche portando avanti una politica di eliminazione della plastica nelle proprie sedi e di riduzione della carta.
…e, soprattutto, stop al carbone (e non solo)
«Abbandonare completamente progetti di estrazione del carbone per la produzione di energia entro il 2023». Questa la promessa di Unicredit, che, quindi, non finanzierà più nuovi progetti di estrazione del carbone per la produzione di energia, anche elettrica. E interromperà anche «il finanziamento di nuovi progetti per l’estrazione del petrolio artico e del gas offshore artico così come dello shale oil & gas e relativo fracking, del petrolio da sabbie bituminose e il finanziamento delle attività di estrazione di olio e gas in acque profonde».
La banca si è anche impegnata ad aumentare i finanziamenti del 25% (a oltre 9 miliardi di euro) al settore delle energie rinnovabili entro il 2023 e a incrementare i prestiti alla clientela per l’efficienza energetica del 34% per le PMI dell’Europa Occidentale, del 25% per gli individui dell’Europa Occidentale.
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Soddisfazione da Re:Common..
Positiva la reazione anche da parte dei più critici verso Unicredit, come Re:Common, che da anni partecipa alle assemblee degli azionisti della banca per chiedere di uscire dal comparto del carbone, soprattutto in Turchia.
«Accogliamo con soddisfazione la decisione di Unicredit di non fornire più finanziamenti per progetti di centrali e miniere di carbone – dichiara Re:Common – Dopo Generali, Unicredit è il secondo colosso finanziario italiano a compiere questo passo».
Re:Common ricorda come la mossa di Unicredit arrivi pochi mesi dopo la pubblicazione del rapporto “Un Paese di Cenere”, sul ruolo che la banca stessa ha svolto nel supportare il business del carbone in Turchia, in particolare nella regione di Mugla, dove tre impianti ampiamente obsoleti da decenni provocano impatti devastanti sulle comunità locali. «Val la pena ricordare che dalla firma dell’accordo di Parigi, nel 2015, la più importante banca italiana ha finanziato progetti legati all’estrazione del carbone per oltre 5 miliardi di dollari», precisa Re: Common.
«La sfida sul carbone che abbiamo posto ai vertici di Unicredit all’inizio di quest’anno in occasione dell’assemblea degli azionisti della banca è stata in buona parte vinta, a dimostrazione che il mondo della finanza è sempre più sotto pressione per l’urgenza climatica», ha dichiarato Antonio Tricarico di Re:Common.
…ma si attende l’addio al carbone dell’Est Europa
«Ma UniCredit deve ancora fare la vera cosa giusta – aggiunge Antonio Tricarico di Re:Common – mollare per sempre i baroni del carbone dell’Est Europa, che oggi finanzia con corporate finance, ed ammettere che il carbone in Turchia non solo ha ucciso e devastato l’ambiente, ma ha fatto perdere centinaia di milioni di euro agli azionisti».
Infatti, spiega Antonio Tricarico, «mentre al 2023 la banca uscirà da finanziamenti in corso dei progetti a carbone, purtroppo il management di Piazza Gae Aulenti non ha avuto il coraggio di scrivere nero su bianco una data entro cui uscire anche dal finanziamento dei clienti carboniferi esistenti che oggi sostiene con prestiti non legati a progetti specifici.Questo il caso del “barone” del carbone ceco, EPH, che continua a comprare e gestire impianti decotti in molti paesi europei, inclusa l’Italia. La società civile aveva avanzato la data del 2030, in linea con quanto richiesto dalla comunità scientifica internazionale per salvare il clima.
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8.000 dipendenti a casa entro 4 anni, soprattutto in Italia
Ma il buonumore attorno a Unicredit è durato poco, giusto una settimana, fino alla presentazione del piano industriale 2020-2023. Il gruppo bancario ha annunciato un taglio di 8.000 dipendenti nell’arco dei 4 anni a cui si riferisce il piano e la chiusura di circa 500 sportelli.
I tagli del personale si concentreranno soprattutto in Italia, Germania e Austria. Il nostro Paese, in particolare, appare destinato a sostenere la parte più consistente degli esuberi: secondo la First Cisl, in Italia verranno chiuse 450 filiali e ci saranno dai 6.000 ai 6.500 esuberi.
Duro il commento della Fabi, il sindacato autonomo dei bancari: il segretario Lando Sileoni ha ricordato come «gli 8.000 esuberi inseriti nel nuovo piano industriale si andrebbero ad aggiungere ai 26.650 posti di lavoro tagliati a partire dal 2007. Stesso discorso per gli sportelli: ne sono stati chiusi 1.381 e Mustier ne vorrebbe chiudere altri 500, recidendo ancora di più il rapporto con la clientela e il legame col territorio. Una decisione che, a giudizio della Fabi, non guarda “alla crescita, allo sviluppo e al futuro”».
Il nuovo piano strategico @CMD2019 di #UniCredit taglia 500 filiali e 8,000 lavoratori ma non i prestiti alle compagnie turche del carbone. Con la partecipazione diretta del 30% in Yapi Kredi #Mustier dovrebbe avere il coraggio di scaricare gli inquinatori @UniCredit_IT @Recommon
— Antonio Tricarico (@atricarico72) December 3, 2019
Una decisione che la banca inserisce in una strategia che punterà sul digitale, favorendo “il proseguimento della migrazione delle transazioni verso canali diretti”, si legge nel comunicato della banca. L’impiego dei canali digitali è previsto in aumento durante il piano dal 45% dei clienti nel 2018 al 60% nel 2023.
ESG significa anche tutela dei lavoratori
La banca avvierà a breve una trattativa con i sindacati per la gestione degli esuberi. Intanto, forse, è importante ricordare a Unicredit che la sigla ESG significa ambientale, sociale e di governance (Environmental, social, governance). Che tutte e tre queste componenti devono essere egualmente considerate. E che nella “S” di “Social” una componente fondamentale è proprio la tutela dei lavoratori e dei loro diritti. Ma anche per la “G” di “Governance” conta la gestione dei dipendenti. Una riduzione degli esuberi e una buona gestione della fuoriuscita dei lavoratori, insomma, sono elementi centrali per un’impresa che voglia definirsi “sostenibile”.