Giù le mani dai movimenti per il clima

Il timore è che i movimenti per il clima possano essere considerati pericolosi: molto più per l'ordine costituito che per quello pubblico

La polizia sgombera attivisti per il clima a Lützerath il 13 gennaio 2023 © Stefan Müller/Flickr

Il tintinnare delle manette. Il sospetto, legato ad una serie di episodi, è che le operazioni di espulsioni, sgombero, “contenimento” delle manifestazioni dei vari gruppi che compongono la galassia dei movimenti per la difesa del clima possano assumere i connotati della repressione.

Sia chiaro: se nel villaggio tedesco di Lützerath gli attivisti che cercano di impedire l’ampliamento della miniera di carbone a cielo aperto di Garzweiler sono soggetti a un ordine di evacuazione è normale che le forze dell’ordine lo eseguano. Ma è anche normale che quegli stessi movimenti adottino tutte le strategie possibili per sensibilizzare la popolazione e la politica sulla gravità dei cambiamenti climatici. E che possano considerare necessarie anche forme di disobbedienza civile nonviolenta, pagandone eventualmente le conseguenze di fronte alla giustizia.

Ciò che non è normale è il fatto che i governi continuino, imperterriti, a voler usare i combustibili fossili come fonte di transizione. Che si tratti di gas «perché non possiamo più usare il carbone». O che si tratti di carbone «perché il gas non arriva più dalla Russia». La crisi climatica non cambia in ragione delle crisi geopolitiche o energetiche del nostro mondo. La crescita della temperatura media globale resta inesorabile. E se vogliamo limitarla non possiamo far altro che smettere al più presto di bruciare quegli stessi combustibili fossili.

In questo senso, quello delle ragazze e dei ragazzi che manifestano, che riempiono le piazze, che spruzzano vernice su edifici o opere d’arte, che occupano villaggi, che organizzano sit-in davanti alle sedi dei colossi dell’energia o delle società che li finanziano deve essere preso per ciò che è: un grido disperato. Se per un azionista c’è, al massimo, in gioco un dividendo, per un’impresa uno zero in più nella colonna dei ricavi netti, e per un governo un’elezione, per loro in gioco c’è il futuro. C’è la possibilità di vivere su un Pianeta ancora sufficientemente accogliente. È normale che si dimenino, che urlino, che scalcino.

La vicenda di Simone Ficicchia, attivista di Ultima generazione, è emblematica. La questura di Pavia ha richiesto misure restrittive di sorveglianza speciale nei suoi confronti per aver partecipato ad alcune manifestazioni che hanno preso di mira opere d’arte e monumenti. Perfino il pubblico ministero, ovvero la pubblica accusa, ha giudicato sproporzionata l’attitudine punitiva della questura. Che infatti il tribunale ha respinto. Lo ripetiamo: le leggi dello Stato vanno rispettate. E gli attivisti per il clima sono perfettamente coscienti che la disobbedienza civile può comportare delle conseguenze. Ma la risposta delle istituzioni deve essere commisurata ai fatti. Quando non lo è, si alimenta il sospetto citato in precedenza.

Le ragazze e i ragazzi di XR o FFF forse non erano neppure nati nel luglio 2001. Ma chi è abbastanza grande da poterlo ricordare ha ancora negli occhi la repressione che subì il movimento no global in occasione del G8 di Genova. Quel movimento era cresciuto, aveva proposto delle alternative concrete, stava facendo breccia nella società e stava mettendo seriamente in discussione il sistema economico mondiale. Impossibile non sospettare che, agli occhi di molti, fosse diventato pericoloso. Molto più per l’ordine globale che per l’ordine pubblico.

Ciò che accade oggi con i movimenti per il clima sembra essere esattamente la stessa dinamica: la critica mossa è oggettivamente (e scientificamente, in questo caso) impossibile da respingere. Le istanze portate avanti sono sempre più sentite dall’opinione pubblica. E la constatazione dello stato attuale del mondo, a partire dal suo clima, non ha potuto che portare quegli stessi movimenti a una critica profonda dei modelli di sviluppo.

Anche loro stanno diventando troppo pericolosi? Anche nel loro caso dobbiamo aspettarci infiltrazioni nei cortei, scuole Diaz e caserme di Bolzaneto? E se invece cominciassimo a togliere a queste ragazze e questi ragazzi la necessità di scendere in piazza a gridare disperati? Non sarebbe più semplice attuare serie politiche di difesa del clima, smettere di investire migliaia di miliardi in nuovi progetti di sfruttamento delle fonti fossili e impegnarsi in una profonda e concreta transizione ecologica? Perché, soprattutto in Italia, sono così pochi coloro che nel mondo della politica si fanno carico di portare nelle istituzioni le istanze dei movimenti per il clima?

I movimenti per il clima non vedono l’ora di non essere più necessari. E concentrarsi sulla loro “pericolosità” significa guardare il dito anziché la Luna. «Gli attivisti per il clima sono talvolta descritti come radicali pericolosi. Ma i radicali veramente pericolosi sono i Paesi che stanno aumentando la produzione di combustibili fossili. Investire in nuove infrastrutture per le fonti fossili è una follia etica ed economica». A dichiaralo nell’aprile dello scorso anno il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. È decisamente il caso di ascoltarlo.