Va tutto molto, molto bene. Anche troppo
“Con il termine bolla speculativa si definisce il sentiero esplosivo che si forma nel prezzo di un bene e che lo porta, progressivamente sempre più ...
“Con il termine bolla speculativa si definisce il sentiero esplosivo che si forma nel prezzo di un bene e che lo porta, progressivamente sempre più distante dai valori compatibili con le fondamentali economiche dello stesso, dove con fondamentali economiche ci si riferisce a quelle particolari ragioni economiche che sottostanno al movimento di un prezzo. Quando le quotazioni di Borsa capitalizzano aspettative impossibili da misurare si possono formare bolle speculative, destinate a scoppiare, dato che non tutte le iniziative prese dagli investitori avranno successo”.
La definizione è tratta dal sito di Borsa Italiana. Il problema di fondo per investitori, mercati ed economia nel suo complesso è capire se ci si trova in presenza di una bolla, se i prezzi sono saliti troppo e se si rischia a breve uno scoppio con conseguenze nefaste. In mancanza di una sfera di cristallo, una semplice possibilità è studiare l’andamento dei mercati nel recente passato.
Proviamo allora a dare un’occhiata al più importante mercato finanziario del pianeta, Wall Street.
Sono diversi gli indici che vengono utilizzati per comprendere in che direzione si sta muovendo la Borsa: il Dow Jones misura il corso azionario delle imprese quotate a New York; il Nasdaq viene solitamente identificato con le imprese ad elevato contenuto tecnologico, la cosiddetta “new economy”; lo Standard & Poor’s 500 rileva l’andamento delle 500 imprese a maggiore capitalizzazione quotate negli USA. In realtà le definizioni di questi e altri indici sono più complesse, ma l’importante è che sono tre degli indici più diffusi e utilizzati per seguire l’andamento dei mercati finanziari a stelle e strisce.
Se guardiamo alla loro evoluzione negli ultimi 20 anni, vediamo che ci sono delle differenze sostanziali, ma anche un andamento comune. Due bolle e due crolli sono bene evidenti nei grafici riportati di seguito. La prima bolla è quella della new economy, ed è particolarmente chiara guardando il Nasdaq: il picco dei primi mesi del 2000, poi l’impressionante crollo nel 2001. Meno evidente, ma comunque ben visibile, la bolla dei subprime con il picco del 2007 e il successivo crollo del 2008-2009.
L’effetto della bolla dei subprime è più visibile andando a vedere come si è comportato l’indice Dow Jones, che a differenza del Nasdaq include anche banche e altre imprese finanziarie. In questo caso la bolla della new economy appare più smussata, mentre diventa ben visibile l’impatto di quella dei mutui subprime pochi anni dopo.
Il terzo indice, lo S&P500, evidenzia bene entrambe le bolle, quella del 2000-2001 e la successiva del 2007-2008.
Fatte queste considerazioni, il dato che emerge è però un altro, che risulta fin troppo evidente spostando lo sguardo sul lato destro dei grafici. Il Nasdaq è tornato al valore raggiunto durante il picco massimo di febbraio 2000. Tutti i commentatori hanno segnalato (ovviamente a posteriori) che ci si trovava in presenza di una bolla totalmente folle, qualsiasi impresa del settore elettronico o operante su internet vedeva il proprio valore schizzare alle stelle, al di là di qualsiasi fondamentale economico. Oggi siamo di nuovo a quei livelli.
E’ se possibile ancora più impressionante guardare l’andamento recente degli altri due indici. Il massimo raggiunto dal Dow Jones prima del crollo legato ai subprime era stato di 14.198, a ottobre 2007; nell’estate 2014 lo stesso indice ha superato quota 17.000, e continua a salire. Riguardo lo S&P500, i due picchi del 2000 e del 2007 erano entrambi appena sopra quota 1.500; ad agosto 2014 è stata sfondata quota 2.000.
Le possibilità sono due. La prima è che i fondamentali dell’economia non sono mai andati così bene. Ci troviamo in un momento di crescita economica mai vista prima, con aspettative di ulteriore crescita e profitti che sostengono i corsi azionari e obbligazionari verso nuovi record. La seconda, è che ci troviamo in prossimità di un’ennesima bolla finanziaria, ancora più grande delle precedenti e che rischia di scoppiare da un momento all’altro. Nel 2000 furono i titoli tecnologici, nel 2007 gli immobili, oggi a fare gonfiare la bolla è la gigantesca liquidità immessa dalle banche centrali e dai governi proprio per salvare le banche e l’intero sistema finanziario dopo il disastro del 2007-2008. Una liquidità che solo in minima parte è finita nell’economia reale e nella creazione di posti di lavoro, e che in gran parte è rimasta incastrata nei circuiti finanziari, spingendo al rialzo il corso di azioni e obbligazioni oltre qualsivoglia fondamentale e logica economica. In altre parole si esce dallo scoppio di una bolla creandone una ancora peggiore, e via per un altro giro di giostra.
Non è possibile dire in maniera certa se sia vera la prima ipotesi (aspettative di crescita reale fortissima e duratura) o la seconda (bolla speculativa). Un dato che può aiutare è l’andamento del PIL statunitense: dal 2007 a oggi è cresciuto di circa il 16%, come si vede dal grafico qui di seguito.
Riassumendo, nel periodo 2007 – 2014, il PIL aumenta del 16%, i due principali indici della Borsa USA crescono rispettivamente del 20% e del 33%. Attenzione, non stiamo “solamente” dicendo che i mercati finanziari crescono più velocemente dell’economia reale; stiamo dicendo che la crescita è maggiore partendo dal picco massimo raggiunto dai mercati finanziari alla vigilia dello scoppio della peggiore crisi della storia recente, ovvero che la finanza è cresciuta più veloce dell’economia anche partendo dal valore massimo raggiunto durante la precedente bolla speculativa. Se al contrario prendiamo il punto più basso raggiunto dall’indice S&P500 nel febbraio del 2009, la crescita è stata di qualcosa come il 170%, in poco più di cinque anni (sempre a fronte di una crescita del PIL di circa il 16%). Nessuno ha la sfera di cristallo, ma forse non è necessaria per iniziare a preoccuparsi almeno un po’.