Il voto Usa visto dai giovani: «Biden e Trump non ci rappresentano»

Pubblichiamo il contributo di un giovane che commenta le elezioni presidenziali americane

Filippo Fibbia
L'elefante è il simbolo dei repubblicani, l'asino è quello dei democratici. Sono in bilico, in queste elezioni Usa dal sapore incerto fino alla fine
Filippo Fibbia
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Non mi aspettavo certamente un plebiscito in favore di Joe Biden, ma neanche il divario irrisorio, che si sta concretizzando, in termini di voti rispetto al suo rivale, Donald Trump (circa 3 milioni di voti a fine giornata del 4 novembre). Il modello americano è molto diverso da quello europeo e per noi spesso difficilmente comprensibile. Prevedere qualcosa in termini di risultati è ormai diventato impossibile. Certo è che se nemmeno i sondaggisti americani sono riusciti a codificare correttamente gli umori della piazza e le intenzioni di voto dell’elettorato americano, noi non potevamo certamente fare di meglio.

Ho molte più aspettative per il post election day. La frattura all’interno della società americana è profonda e ben radicata. Indipendentemente da chi vincerà, gli americani – che siano suprematisti bianchi o afroamericani, raggruppando banalmente le due categorie – scenderanno nuovamente in piazza a protestare.

Perché il voto a Trump: qualche merito nonostante tutto

Per quanto inadeguato, fuori luogo, offensivo, superficiale, grossolano, maleducato e imbarazzante sia stato Donald Trump, bisogna dargli atto e merito di una cosa: ha risollevato l’economia americana, rimettendo in moto la produzione statunitense. Molti critici e analisti contestano al Tycoon di aver ereditato una situazione pressochè ottimale dalla precedente amministrazione, ma, dati alla mano, la crescita economica e occupazionale del Paese è stata davvero notevole. A gennaio, prima del sisma Covid, i nuovi posti di lavoro creati sotto l’amministrazione Trump erano 6,7 milioni. Per una larga fascia della popolazione americana – quella che vive lontano dalla costa e fuori dalle grandi città, la Rust Belt, tanto citata in questi giorni – avere un posto di lavoro e, di conseguenza, uno stipendio, è la priorità. Conta molto di più della tutela delle minoranze, dei diritti civili e i rapporti internazionali con l’Europa o con il NAFTA (North American Free Trade Agreement, l’Accordo nordamericano per il libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico).

Un repubblicano contro l’establishment repubblicano

Trump inoltre non rappresenta pienamente il partito Repubblicano. John McCain, storico senatore repubblicano, eroe di guerra, candidato alle presidenziali, sceso in campo nel 2008 contro Obama, votò contro l’abolizione dell’Obamacare, la riforma sanitaria voluta dall’allora Presidente. E, prima di morire nell’agosto del 2018, impedì a Trump attraverso le sue ultime volontà di partecipare ai suoi funerali. Mitt Romney, candidato repubblicano alle presidenziali nel 2012, ha votato in senato a favore dell’impeachment contro il presidente Trump. Il Tycoon non è ben visto dal partito in quanto non è espressione diretta dei Repubblicani: si tratta di un cane sciolto, fuori dall’establishment e contro l’intero establishment.

Mentre Biden è un uomo del sistema

Concentrandosi su Biden invece, egli “paga” certamente il suo passato da vice di Obama – e quindi di eterno numero due – oltre alla sua età e all’aspetto non proprio giovanile. Inoltre, così come per Hilary Clinton quattro anni fa, è un uomo molto inserito nell’establishment Democratico e di Washington. Oggi essere visti come un uomo del sistema e parte dell’ingranaggio è un grosso difetto agli occhi degli elettori delle fasce più basse della popolazione.

In america conta moltissimo la persona e la campagna elettorale: sono due fattori in grado di ribaltare profondamente gli esiti. Molti elettori si muovono in base alle promesse e al programma elettorale presentato.

Per tutti questi motivi il risultato è incerto: nessuno dei due candidati incarna la figura dell’ ἥρως greco, una semi divinità in grado di condurre l’umanità verso un futuro migliore.

Biden pensa all’ambiente, Trump no. E calpesta diritti delle minoranze

Analizzando i punti delle due campagne elettorali da esterno, da millennial italiano, direi che tra i primi temi cruciali c’è l’ambiente. Trump non si rende conto dell’imminente disastro ambientale che stiamo correndo. Il piano di Biden per tagliare i gas serra è – a mio parere – il punto migliore del suo programma. A ruota seguono i diritti civili e sociali delle minoranze: se i primi sono stati solamente minacciati, i secondi invece sono stati letteralmente calpestati da Trump che non ha perso occasione per gettare benzina sul fuoco e accendere gli animi del Paese.

4 anni senza conflitti internazionali

Ultimo, ma non ultimo, la politica internazionale. L’isolazionismo di Trump ci ha “garantito” quattro anni senza nuovi conflitti intrapresi o fomentati dagli Stati Uniti. Mettiamo da parte quello che tutt’ora sta succedendo in Sud America, dove l’influenza stelle e strisce sta tornando fortemente in auge e molte delle agitazioni popolari potrebbero non essere frutto del caso. Sul piano internazionale Trump ha raggiunto alcuni discreti risultati. Basta pensare agli accordi tra Israele e Arabia Saudita in chiave anti iraniana, riuscendo soprattutto a non causare la terza guerra mondiale o la prima guerra termonucleare. Sembra scontato, ma forse non lo è.

Millennial poco rappresentati

Immedesimandomi invece nei millennial americani direi che molti si sentano più rappresentati da Bernie Sanders piuttosto che da Biden e Trump. Perchè, citando una famosa frase di Winston Churchill, “Chi non è di sinistra da giovane è senza cuore, ma chi non è di destra da vecchio è senza cervello.”

Una cosa è certa. Quello che sarà per gli Usa dipenderà davvero tanto dall’esito finale di queste elezioni: con Trump si arriverà allo scontro, non più solamente commerciale ed economico, con la Cina. Con Biden invece lo scontro ci sarà ma non direttamente: penso che proseguirà la politica estera di Obama fatta di accordi e contenimento dell’avversario.

Per qunanto riguarda noi, credo che sia il caso di svegliarci e procedere con l’integrazione europea. Nè gli Usa, nè la Russia nè la Cina possono – e devono – essere nostri partner: a loro interessa maggiormente avere il controllo o la disgregazione dell’Europa che il reale benessere dei cittadini e del continente europeo.

L’autore dell’articolo è Filippo Fibbia, della redazione di TomorrowNews, composta interamente da millennial.