Solo lo 0,4% dei piani di transizione climatica delle aziende è credibile
L'ong CDP ha cercato e analizzato i piani di transizione climatica di più di 18mila aziende. Il risultato? Più che deludente.
Un report dell’organizzazione non governativa Carbon Disclosure Project (CDP) ha analizzato più di 18mila aziende. Tra queste, più di 4mila hanno pubblicato un piano di transizione climatica. Ma solo 81 di questi risultano «credibili», secondo la stessa ong. Appena lo 0,4%…
I piani di transizione: cosa sono e a cosa servono
Un piano di transizione climatica non è altro che un programma che delinea le strategie e i tempi di un’impresa per allineare le proprie attività alle raccomandazioni scientifiche dal punto di vista climatico. Ovvero serve a dimostrare – a consumatori e azionisti – che l’azienda ha adottato una strategia che punta a azzerare le emissioni nette di CO2, in linea con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi. Tenere sotto controllo questi piani, quindi, rende le aziende più responsabili e più attente a rispettarli.
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Ma a cosa serve avere un piano di transizione climatica credibile? Prima di tutto a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Ma serve anche alle aziende stesse, perché così possono dimostrare agli azionisti e in generale ai mercati che continueranno a generare profitti. Quindi, se non lo vogliono fare per il Pianeta, almeno lo facciano per i loro interessi.
I risultati? Più che deludenti
Nel caso di più della metà delle aziende considerate dal rapporto, il loro impegno per la transizione climatica non risulta credibile. Infatti, sui 21 indicatori-chiave utilizzati per analizzare i programmi di transizione, le risposte fornite dalle aziende sono poche. Meno di sette in media. E solo 81 hanno risposto a tutti e 21. Ma, in ogni caso, alcuni progressi ci sono stati. Il 13% delle aziende soddisfa tra i 14 e i 20 indicatori chiave. E il 35% (più di sei mila) riferiscono che svilupperanno un piano di transizione entro due anni.
Nel report dell’anno scorso, le aziende che soddisfacevano in pieno tutti i requisiti erano 135. La riduzione è dovuta anche al fatto che quest’anno CDP ha utilizzato criteri più rigidi. Perché? Per adeguarsi alla necessità di azioni più ambiziose che possano ridurre l’impatto sul clima e impedire di superare gli 1,5 gradi di riscaldamento climatico. Anche tenendo conto dell’appello del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Che a gennaio, al forum di Davos, si è rivolto al settore privato affinché contribuisca alla transizione ecologica. Visto che, allo stato attuale delle cose e senza ulteriori azioni, il riscaldamento globale raggiungerebbe addirittura i 2,8 gradi. Generando una vera e propria catastrofe climatica.
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Il rapporto, quindi, mostra che la maggior parte delle aziende non è realmente preparata a portare avanti strategie e azioni per la salvaguardia del clima. Ma neanche ad affrontare la regolamentazione che sta arrivando dalle autorità competenti in giro per il mondo. Come, ad esempio, nel Regno Unito. Dove la Financial Conduct Authority (FCA) – l’autorità di regolamentazione e controllo dei mercati equivalente della Consob italiana – ha reso obbligatori i piani di transizione climatica per le aziende quotate e gli istituti finanziari dal 2023.
Nell’Unione Europea si sta andando nella stessa direzione. E anche negli Stati Uniti. Dove la Securities Exchange Commission (SEC) – la Consob americana – è finita nel mirino del partito Repubblicano proprio per la proposta di rendere obbligatoria la pubblicazione, da parte delle aziende quotate, delle informazioni relative al loro impatto ambientale e alle loro emissioni.
I settori e i Paesi più virtuosi
Le aziende prese in considerazione appartengono a 13 settori diversi e sono distribuite in 135 Paesi. Quelle dei settori energetico e delle infrastrutture si sono rivelate le più propense a rivelare informazioni riguardo tutti i fattori chiave. Mentre le industrie dell’abbigliamento, dei combustibili fossili e dell’ospitalità sono state quelle meno pronte. Solamente un’azienda per ognuno di questi settori, infatti, ha risposto a tutti gli indicatori necessari per un piano di transizione climatica credibile.
Per quanto riguarda i Paesi, il più virtuoso risulta essere il Giappone. Delle aziende con un piano credibile, ben 16 sono giapponesi. Nel Regno Unito 404 aziende su 1.448 hanno dichiarato di avere un piano di transizione climatica allineato con l’Accordo di Parigi. Ma solamente sei aziende hanno risposto agli indicatori chiave. Considerando tutta l’Europa, circa la metà delle imprese dichiarano di averlo. Ma solo il 5% mostra sufficienti progressi nello svilupparlo.