Clima, armi, diritti e non solo. Le battaglie di Shareholders for Change
Siamo stati al meeting annuale di Shareholders for Change, a Milano, per farci raccontare le più recenti attività di engagement
La carbon neutrality, cioè l’azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra, entro il 2040. Una promessa che ha un certo peso soprattutto se arriva da Carrefour, un colosso da 90,8 miliardi (miliardi!) di euro di fatturato a livello globale. Se non ci si accontenta dei titoli dei comunicati stampa, però, si scopre che è una promessa a metà. È quanto hanno fatto notare all’azienda stessa alcuni azionisti critici, membri della coalizione Shareholders for Change.
Quando i piani per il clima sono pieni di lacune
Il piano per il clima di Carrefour mostra infatti due macroscopici punti deboli. Il primo: la carbon neutrality è stata promessa esclusivamente per le emissioni Scope 1 e Scope 2, cioè quelle generate dai supermercati e dall’energia elettrica che consumano.
Resta fuori lo Scope 3, costituito dalle emissioni che si generano lungo la filiera, a partire dalla produzione delle merci messe in vendita, passando poi al loro imballaggio, trasporto e uso. Per queste emissioni indirette Carrefour si è data soltanto un obiettivo per il 2030 che, per giunta, è meno ambizioso: il -29% rispetto al 2019 (contro il -50% promesso per le emissioni Scope 1 e Scope 2).
Nella documentazione ufficiale, le emissioni Scope 3 non sono nemmeno rendicontate. Quando lo sono – e qui sta il secondo punto debole – riguardano soltanto i punti vendita che l’azienda gestisce in prima persona. Peccato che, in Francia, essi siano circa il 10% del totale. In Europa si arriva all’incirca al 25%. Tutti gli altri sono in franchising e, nel piano per il clima, risultano pressoché invisibili. Non c’è dunque da stupirsi se l’ultimo Corporate Climate Responsibility Monitor, che analizza gli impegni e le azioni compiute delle 24 più grandi multinazionali globali, boccia senza appello Carrefour.
Com’è andata l’attività di engagement con Carrefour
«Abbiamo rivolto domande a Carrefour per gli ultimi vent’anni, ma non siamo mai riusciti ad avere un vero dialogo con loro», spiega a Valori Alix Ditisheim, ESG Analyst della società di investimenti francese Phitrust. «Quest’anno le cose sono cambiate, perché abbiamo inserito un punto sul clima nell’ordine del giorno dell’assemblea generale degli azionisti. L’azienda si è quindi messa a disposizione per alcune riunioni in cui ha risposto alle nostre domande e, tra le altre cose, ha accettato di pubblicare le emissioni Scope 3 a partire dal 2024. È un buon passo avanti. Continueremo a dialogare con Carrefour nei prossimi anni, magari focalizzandoci di più sui temi sociali».
Perché l’engagement serve
«Il dialogo con gli azionisti porta benefici a tutti, anche alle imprese»
Jean-Pascal Gond: «L’engagement su temi ambientali, sociali e di governance porta benefici finanziari, ma anche di comunicazione, apprendimento e impatto politico»
Non è banale aggiungere un punto all’ordine del giorno dell’assemblea degli azionisti. «In Francia bisogna avere lo 0,5% del capitale, il che è tanto quando si ha a che fare con società enormi. In questo caso siamo riusciti a raggiungere l’1,1%», sottolinea Cesare Vitali, Head of ESG di Ecofi, la società di gestione del risparmio che fa capo a Crédit Coopératif, che ha sostenuto Phitrust in questa iniziativa. Entrambe fanno parte della coalizione di azionisti critici Shareholders for Change.
Come opera Shareholders for change
Shareholders for Change (“Azionisti per il Cambiamento” in italiano) è una rete di investitori europei che svolgono attività di engagement. Ciò significa che, in qualità di azionisti, dialogano con le grandi imprese per influenzarle ad adottare comportamenti sostenibili e responsabili nel medio-lungo periodo. Fra i temi più dibattuti ci sono senza dubbio quelli climatici, con i piani di abbattimento delle emissioni di CO2. «Ma il nostro obiettivo è anche di sviluppare alcuni temi “orfani”, in particolare per quanto riguarda i diritti umani, ma anche la responsabilità d’impresa e la giustizia fiscale», aveva anticipato a Valori nel 2021 Aurélie Baudhuin, all’epoca presidente, che nel 2022 ha passato il testimone a Ugo Biggeri.
Shareholders for Change nasce nel 2017 da sette fondatrici: Bank für Kirche und Caritas eG (Germania); Ecofi Investissements, Groupe Crédit Coopératif (Francia); Etica Sgr, Gruppo Banca Etica (Italia); fair-finance Vorsorgekasse (Austria); Fondazione Finanza Etica (Italia); Fundacion Fiare (Spagna); Meeschaert Asset Management (Francia).
Questo nucleo iniziale si è allargato in fretta. Tant’è che, al meeting annuale che si è tenuto a Milano il 6-7 giugno 2023, le organizzazioni presenti erano ben 17. Una bella sfida, in termini di complessità. Ma anche una dimostrazione di quanto ci fosse bisogno di una coalizione simile.
Shareholders for Change fa engagement anche con gli Stati
Fra le storie di successo di Shareholders for Change ce n’è anche una che non ha nulla a che vedere con consigli di amministrazione e assemblee degli azionisti. Infatti, è grazie a uno dei suoi membri fondatori – Bank für Kirche und Caritas – se la Namibia è diventata il 184mo Stato a unirsi alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi biologiche. Un testo che risale al 1975 e rappresenta una presa di posizione forte. L’uso di armi biologiche era stato proibito già cinquant’anni prima, ma la Convenzione vieta anche di svilupparle, produrle e stoccarle. E impone di distruggere gli arsenali.
Bank für Kirche und Caritas possiede alcuni titoli di Stato della Namibia. Quando ha aggiunto tra i propri criteri di esclusione anche la mancata ratificazione della Convenzione sulle armi biologiche, poteva fare due cose. La prima era, semplicemente, disinvestire. La seconda era approfittarne per innescare un cambiamento. Così è stato. Ci sono voluti due anni ma, a febbraio 2022, il governo della Namibia ha ufficializzato la sua adesione.
«Penso che questo esempio possa e debba essere replicato», sottolinea a Valori Tommy Piemonte, Head of Sustainable Investment Research di Bank für Kirche und Caritas. «Ci vuole più lavoro, perché gli interlocutori da contattare sono tanti, per esempio i vari ministeri. Non è possibile farcela da soli: bisogna avere degli alleati, come ONG, organizzazioni internazionali, altre istituzioni semistatali. Infine, penso che ci si debba sempre esporre pubblicamente, perché il potere ultimo spetta agli elettori. Gli investitori dunque hanno la responsabilità di informarli sulle proprie campagne: se gli elettori sono d’accordo, possono diventare una forza in più; se non lo sono, hanno il diritto di opporsi».