Obiettivi climatici europei a rischio, la Corte dei Conti: «Pochi investimenti»
Secondo un rapporto della Corte dei Conti europea gli obiettivi climatici che si è fissata l'Unione europea sono a rischio
Si dice che fra il dire e il fare ci sia di mezzo il mare. O gli oceani, che proprio in questi giorni stanno subendo un aumento della temperatura superficiale che in certe zone arriva anche a +5 gradi centigradi sopra la media.
Il 27 giugno, sul sito della Corte dei Conti europea, è stato pubblicato un report che rappresenta un campanello d’allarme rispetto alla sfida forse più importante che l’Unione ha davanti a sé. Ossia il raggiungimento degli Obiettivi in materia di energia e di clima. Secondo questa ricerca, nonostante i buoni propositi, le tante parole e i pacchetti come Fit for 55 o REPowerEU, il rischio di non centrarli è alto.
I punti al centro dell’Agenda 2030
L’Agenda 2030, delineata nel 2014, consta di tre punti principali: la riduzione del 40% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990; l’incremento del 27% della quota di energia da fonti rinnovabili; il miglioramento dell’efficienza energetica del 27%, ossia la riduzione del consumo di energia. Il punto d’arrivo dovrebbe essere raggiungere le emissioni nette zero nel 2050.
Ma secondo questa relazione, fra il dire e il fare c’è, appunto, di mezzo il mare. In particolare ci sono di mezzo i finanziamenti: ci sono infatti ben “pochi segnali” che quelli previsti saranno sufficienti. Secondo le stime, per raggiungere gli obiettivi al 2030 servirebbero 392 miliardi di euro l’anno in più solo nel settore energetico. E mille miliardi l’anno in più di qui al 2050 per arrivare allo zero netto del 2050.
Se per il periodo 2014-20 l’Ue aveva speso il 20,1% del bilancio per la lotta ai cambiamenti climatici, per il periodo 2021-2027 ne stanzierà il 30%. Può sembrare tanto ma si tratta di 87 miliardi l’anno. Meno del 10% degli investimenti necessari. Una parte preponderante dovrebbe quindi arrivare da fonti private e nazionali. Ma fare i conti senza l’oste è sempre pericoloso.
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Gli obiettivi al 2020 raggiunti “grazie” alla pandemia
L’Ue fa leva sul trend positivo che ha visto raggiunti e superati gli obiettivi per il 2020. Ovvero almeno +20% di energia rinnovabile, almeno un 20% di riduzione di consumo di energia tramite efficientamento energetico. Anche qui però la Corte dei Conti mette in guardia.
Per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili, infatti, abbiamo raggiunto il 22,1% nel 2020. Ma ciò è accaduto anche grazie all’enorme flessione dovuta alla pandemia, senza cui saremmo arrivati appena al 20,5%.
Lo stesso ragionamento vale per l’obiettivo di riduzione del consumo energetico, che senza il calo del 2020 non sarebbe nemmeno stato raggiunto: avremmo avuto infatti un calo di -17,8%, mancando l’obiettivo. Il Covid ha permesso di arrivare addirittura a -24%. Peraltro, questa è la media europea. Ma nonostante il rallentamento economico causato dalla pandemia, sette Stati membri (Austria, Belgio, Bulgaria, Germania, Lituania, Polonia e Svezia) non sono comunque riusciti a raggiungere i rispettivi obiettivi nazionali per il 2020.
Inoltre, nel 2021 c’è stato un forte rimbalzo (+5,6%) e dal -24,6% del 2020 si è passati al -20,3%. Visto così, il trend sembra molto meno positivo del previsto.
Anche la compravendita di quote di emissioni ha aiutato a raggiungere gli obiettivi
Insomma: pensare di aver raggiunto gli obiettivi 2020 perché siamo stati bravi è fuorviante. E, per trarre insegnamenti utili dall’esperienza del decennio passato, la Commissione non può non tenere conto della pandemia e della coda lunga della crisi economica del 2008.
E ancora: siccome gli obiettivi sono ripartiti anche fra i singoli Stati, in certi casi sono stati perseguiti grazie alla possibilità di acquistare quote di emissioni da altri Stati membri. O altrimenti di utilizzare crediti internazionali relativi a investimenti mirati alla riduzione di emissioni in Paesi in via di sviluppo. Per dare un’idea: Germania, Irlanda e Malta nel periodo 2013-2020 hanno acquistato più di 17 milioni di tonnellate di CO2 e di quote di emissioni di gas a effetto serra da altri Stati membri che avevano già conseguito l’obiettivo e realizzato riduzioni “in eccesso”. Il prezzo medio è stato di 39,9 euro per tonnellata di CO2: si parla quindi di acquisti per 790 milioni di euro.
Obiettivi climatici: Europa leader della transizione solo di facciata?
L’aspetto più delicato però ha forse a che fare con il rischio che l’Europa si riveli un leader mondiale della transizione solo di facciata. Se fra il 1990 e il 2020 ha decarbonizzato la propria economia più velocemente della maggior parte delle grandi economie, è anche vero che nella rendicontazione a livello mondiale si tiene conto delle emissioni prodotte sul territorio, non di quelle consumate. Basta che le imprese ad alto tasso di emissioni di CO2 trasferiscano la loro produzione in Paesi con requisiti meno rigorosi – territori considerati sacrificabili e inquinabili – perché quelle emissioni non vengano contabilizzate.
Con un approccio di stampo meno colonialista, basato cioè sul luogo di consumo e non di produzione delle emissioni, quelle dell’Ue risulterebbero più elevate dell’8%: 300 milioni di tonnellate di CO2 in più. La rendicontazione attuale non prende in considerazione nemmeno le emissioni relative al trasporto internazionale aereo e marittimo. Ma i voli internazionali rappresentano il 90% delle emissioni dovute al traffico aereo.
Le note positive
Note positive: negli obiettivi per il 2030 saranno prese in conto quantomeno le emissioni di traffico internazionale interno alla Ue. E nel piano Fit for 55, l’Ue inizierà a compilare dati sulla «rilocalizzazione delle emissioni di CO2», il che potrebbe man mano portare verso un approccio «basato sul consumo».
Nella sua risposta la Commissione europea cerca di rassicurare, affermando il proprio impegno nel «portare avanti la collaborazione con gli Stati membri al fine di migliorare i piani, la loro pianificazione a lungo termine e la comunicazione dei progressi compiuti, nonché a sostenerli nell’attuazione della legislazione approvata». Sottolinea inoltre che a partire dal 2026 sarà attivo un meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere (CBAM) che dovrebbe contribuire a ridurre il “peso” in termini di emissioni climalteranti delle importazioni dell’UE e del commercio internazionale, così da far fronte al rischio di rilocalizzazione delle emissioni di biossido di carbonio.
Speriamo sia così, altrimenti sarà difficile andare verso una transizione “giusta”. Finora l’Europa sta mettendo buona parte delle sue emissioni sotto il tappeto, riversandone il conteggio e le conseguenze su Paesi più deboli e spesso più duramente soggetti ai cambiamenti climatici, e rischiando di perdere una sfida troppo importante per poterla affrontare barando.