Lo stress idrico minaccerà il 31% del Pil mondiale nel 2050
Entro la metà del secolo un miliardo di persone in più nel mondo sarà esposto a stress idrico estremo. A spiegarlo due rapporti
L’impatto dei cambiamenti climatici sull’acqua sarà enorme. Entro il 2050, tre miliardi di persone potrebbero non avere un accesso adeguato e sicuro alla risorsa più importante per l’umanità. Al contempo, la crisi idrica innescata dall’alternarsi di siccità estreme e inondazioni porterà con sé «un aumento esponenziale di fame, migrazioni forzate e epidemie». Tanto che «nel prossimo futuro nei dieci Paesi più colpiti dalla crisi climatica – Somalia, Haiti, Gibuti, Kenya, Niger, Afghanistan, Guatemala, Madagascar, Burkina Faso e Zimbabwe – la malnutrizione cronica crescerà del 30%». E potrebbero esserci fino a 216 milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case e le loro terre.
«Abbiamo di fronte una delle più gravi minacce per l’umanità»
A spiegarlo è un rapporto pubblicato il 24 agosto da Oxfam, intitolato “Water Dilemmas” (“I dilemmi dell’acqua”, in italiano). Già oggi, si legge nel documento, «in vaste zone dell’Africa orientale oltre 32 milioni di persone al momento sono alla fame estrema a causa di 5 anni di siccità. Emergenza aggravata dai conflitti in corso e dalla crescita dei livelli di povertà. Altre zone della stessa regione sono invece colpite da alluvioni improvvise e piogge imprevedibili, che devastano i raccolti e i mezzi di sussistenza della popolazione allo stesso modo della siccità. E la situazione è destinata peggiorare».
«Quella che abbiamo di fronte è una delle più gravi minacce che l’umanità abbia mai affrontato e a pagarne il prezzo più alto sono già i Paesi più poveri e meno preparati, che paradossalmente spesso sono anche i meno responsabili delle emissioni inquinanti», spiega Paolo Pezzati, policy advisor sulle emergenze umanitarie di Oxfam Italia.
Un altro rapporto, intitolato “Aqueduct”, e curato dal World Resources Institute (WRI), conferma l’allarme. Venticinque nazioni nel mondo devono fronteggiare situazioni di “stress idrico elevato”. Ciò significa che consumano più dell’80% dell’acqua a loro disposizione. Una situazione che non farà altro che peggiorare nel corso dei prossimi anni, a causa principalmente del riscaldamento globale e dei conseguenti cambiamenti climatici.
Acqua, la maggiore pressione su Medio Oriente e Maghreb
Secondo il rapporto del WRI «le regioni più a rischio di stress idrico nel mondo sono il Medio Oriente e l’Africa settentrionale. Qui l’83% della popolazione è sottoposta a problemi estremamente elevati legati all’approvvigionamento di acqua». Ma a preoccupare è anche l’Asia meridionale, sul cui territorio il problema affligge il 74% dei residenti.
Nello specifico, secondo il rapporto i sei Paesi che si trovano maggiormente in difficoltà sono Bahrein, Kuwait, Libano, Oman, Qatar e Cipro. L’isola è tra le sole tre nazioni europee a figurare nella classifica, assieme alla Grecia e al Belgio. Quest’ultimo caso risulta particolarmente interessante, poiché non parliamo di uno Stato situato ad una latitudine propizia per lunghi periodi con temperature roventi.
A pesare, nel caso del Belgio è soprattutto, si legge nel rapporto, «la domanda industriale, che rappresenta quasi il 90% del consumo idrico nazionale», come spiegato all’emittente americana Cnn da Samantha Kuzma, tra gli autori del rapporto.
A livello globale, come facilmente ipotizzabile, la pressione dei cambiamenti climatici sarà drammatica. Di qui al 2050 si prevede che un miliardo di persone in più, rispetto ad oggi, sarò costretto a fronteggiare penurie e problemi di approvvigionamento. Nel caso del Medio Oriente e del Maghreb, sarà l’intera popolazione ad essere colpita. E ciò qualora la temperatura media globale non dovesse superare i 2,4 gradi centigradi di aumento, rispetto ai livelli pre-industriale. D’altra parte, non soltanto diminuirà l’offerta. Al contempo crescerà la domanda globale di acqua dolce. Si prevede un aumento compreso tra il 20 e il 25% nei prossimi 27 anni.
Lo stress idrico, l’aumento demografico e la sicurezza alimentare
Tutto ciò comporterà conseguenze, ovviamente, in termini di sicurezza alimentare. In un Pianeta nel quale la popolazione globale si prevede possa crescere a 10 miliardi di persone sarà necessario aumentare fortemente il quantitativo di produzione agricola. Partendo da una situazione, quella attuale, già decisamente poco confortevole. Oggi, «il 60% dell’agricoltura irrigata è soggetta a stress idrico estremamente elevato. In particolare la canna da zucchero, il grano, il riso e il mais».
In termini economici, ciò comporterà impatti potenzialmente drammatici. Ad essere, la vario titolo, esposte allo stress idrico saranno nel 2050 produzioni che valgono qualcosa come il 31% del Pil mondiale. Ovvero 70mila miliardi di dollari. Contro i 15mila miliardi del 2010. Eppure, basterebbe investire l’1% del Pil attuale, per risolvere gran parte del problemi legati alle risorse idriche nel mondo. «Sarebbero sufficienti 29 centesimi di dollaro al giorno, a testa, di qui al 2030», insiste il WRI.
«Il riscaldamento globale sta aumentando la frequenza e la gravità dei disastri, che colpiranno sempre più duramente negli anni a venire. Mentre l’enorme mancanza di investimenti nel rafforzamento dei sistemi idrici sta lasciando i Paesi più poveri e vulnerabili del tutto impreparati ad affrontare nuovi disastri naturali», sottolinea Pezzati. Ancora una volta, è una questione di volontà politica. E di lungimiranza.